La guerra è malavita

giovedì 27 novembre 2025


Non solo i fallimenti sul campo di battaglia ma anche la corruzione hanno spinto l’Ucraina sull’orlo del baratro. L’Ufficio nazionale anticorruzione del Paese ha recentemente avviato un’indagine su un sistema di tangenti che coinvolge l’operatore nucleare statale Energoatom. Lo scandalo ha già portato al licenziamento dei ministri dell’Energia e della Giustizia ucraini, e il principale collaboratore di Volodymyr Zelensky, Andriy Yermak, e del capo del Consiglio per la Sicurezza nazionale, Rustem Umerov. Il momento non potrebbe essere peggiore per Kiev, mentre l’occidente sta esaurendo gli aiuti militari. La corruzione in Ucraina è sempre stato un fatto endemico, come confermato dal Fondo monetario internazionale.

Ma in una guerra così cruenta che richiederebbe lealtà e unità nazionale com’è possibile, uno pensa, una corruzione così sfacciata? Invece è possibile ed è purtroppo, indubbia perché, storicamente, l’opportunismo bellico è sempre esistito ai massimi livelli. A spiegarlo è il libro di uno dei marines più decorati nella storia degli Stati Uniti, Smedley D. ButlerLa guerra è un Racket, che cattura l’essenza, il potere e la rilevanza del denaro per la guerra. Il libro scritto nel 1935, è ancora attuale. Dopo una carriera di 34 anni trascorsi a combattere in quasi tutti i principali conflitti statunitensi a cominciare dalla guerra ispano-americana, Butler giunse alla conclusione che nelle guerre non si combatte per la democrazia, la libertà o la difesa nazionale ma per un “racket” attentamente orchestrato e progettato per generare enormi profitti per pochi eletti a spese di molti. Il significato di “racket” è molto simile a quello di organizzazione criminale o malavita, e la guerra secondo Butler è proprio questo.

Per l’ex pluridecorato marine il “racket” ha tre fasi. La prima è quella del lobbismo: potenti interessi commerciali (banchieri, produttori di armi, industriali, estrattori di risorse) fanno pressione sui governi affinché entrino in conflitto per proteggere o espandere i loro mercati e investimenti all’estero. La seconda è quella del profitto: gli stessi interessi realizzano guadagni enormi vendendo armi, munizioni, navi facendo debiti finanziati dai contribuenti che come militari o civili pagano con il sangue, la sofferenza e le tasse. La terza fase è quella della redditività del dopoguerra che si identifica con il periodo di ricostruzione, con gli accordi postbellici assicurando concessioni redditizie, diritti sulle risorse, prestiti e riparazioni per le nazioni sconfitte. Poiché la guerra è sempre e solo promossa dalle classi dirigenti è il popolo che paga il conto astronomico di queste tre fasi. Gli intrecci di interessi tra gruppi industriali, rappresentanti politici, e l’influenza delle multinazionali sulla politica estera, insomma tutta la speculazione bellica rimane secondo Butler la questione cruciale che domina la guerra. I suoi critici sostengono che egli abbia ridotto i complessi eventi geopolitici a sole motivazioni economiche trascurando, fattori come l’ideologia, il nazionalismo, le reali minacce alla sicurezza. Senza dubbio i fallimenti diplomatici giocano anch’essi un ruolo significativo nelle guerre ma è sempre la componente malavitosa a prevalere.

Il libro di Butler rimane un testo fondamentale per comprendere la critica al “complesso militare-industriale”, l’influenza delle aziende sulla politica estera e l’ingiustizia intrinseca del profitto bellico. Spinge i lettori a mettere in discussione le narrazioni ufficiali della guerra e a considerare i potenti interessi economici che spesso si nascondono sotto la superficie. Butler, inoltre, evidenzia un fattore che viene spesso trascurato o minimizzato. A suonare i tamburi di guerra in prima fila si trovano i media tradizionali perché anche loro ne traggono profitto non solo ottenendo più lettori ma venendo pagati per pompare la retorica tesa a far arruolare la carne da macello in nome della democrazia e del patriottismo. Per chi combatte sul campo, la guerra è un inferno. Ma per coloro che sono nelle sale dorate delle istituzioni e delle aziende, la guerra è un “racket” per fare soldi e la corsa al bottino richiede un’opportuna narrazione propagandistica da parte dei media. Le guerre sono omicidi di massa, furti su larga scala ma bisogna nascondere il trasferimento del bottino dai contribuenti all’industria bellica e i suoi partner con un lavaggio del cervello incessante.

Dunque, tornando all’attualità delle tangenti ucraine (che è solo la punta delliceberg di una corruzione molto più estesa che include Europa e Stati Uniti) il racket spiega perché la guerra venga prolungata e perché gli astronomici profitti che ne derivano siano un ostacolo primario a qualsiasi soluzione pacifica. Ma i ladri di Kiev sono solo la feccia che galleggia in superficie. I veri criminali sono in tutte le classi dirigenti che rendono possibile l’intero racket, un racket che dissangua le loro società e che non è più possibile ignorare anche se la propaganda dei media fa il suo meglio per nascondere che è condotto a beneficio di pochissimi e a spese della massa. Quello che è strano è che ancora così tante persone si bevono questa propaganda e chiedano il bis.


di Gerardo Coco