venerdì 21 novembre 2025
Scrivere ciò che accade in Sudan diventa sempre più imbarazzante sia per le infernali atrocità che si stanno registrando, sia per la scarsa considerazione internazionale sulla più grande sciagura umanitaria in atto. Dopo aver puntato l’attenzione sulla guerra civile esplosa in questi ultimi due anni e mezzo causata, genericamente, dalla smania di potere tra i due rivali, l’esercito regolare del generale Abdel Fattah Abdelrahman Burhan e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) – che non sono altri che i famigerati Janjaweed – comandate dal generale conosciuto come Hemetti. Dopo avere mostrato che la guerra fratricida è anche su base etnica e dopo avere sottolineato quali Nazioni sostengono questo conflitto, ora la questione è la strage di bambini e di donne che nell’area del Darfur tocca i picchi più violenti. Se i motivi di questa guerra sono la lotta per le ricchezze del sottosuolo – enormi quantità di oro in primis – quali sono i veri motivi di questo prolungamento di un conflitto di cui oggi non si scorge la fine e che ha superato in atrocità le peggiori fantasie dantesche? Si può affermare semplicemente che questa guerra è alimentata dall’avidità sterminata di tutti coloro che traggono profitto da questo stato di cose.
Un conflitto che in più occasioni ho descritto, e che ad oggi ha causato oltre 160mila vittime, circa 12 milioni di persone sono sfollate nei Paesi vicini, su un totale di oltre 50 milioni di abitanti. Almeno 26 milioni di sudanesi vivono ora in condizioni di estrema povertà, privi dei basilari mezzi di sostentamento. Probabilmente la comunità internazionale ha sottovalutato i rischi di una destabilizzazione cronica del Paese, e non imponendo seriamente sanzioni stabilendo embarghi globali contro i paesi che finanziano e armano i due eserciti, ha permesso un mercato di contrabbando globale che favorisce i belligeranti da ambo le parti a danno dei civili, ma soprattutto la parte debole della società, ovvero donne e bambini, subiscono i martiri più crudeli.
Sin dall’inizio lo stupro di massa è stato l’aspetto più subdolo, vile e perverso di questa guerra. Spacciato come “arma tattica”, soprattutto dai miliziani delle Rsf, per demoralizzare gli avversari, è stato invece la strada più semplice per appagare istinti depravati e violenti martoriando bambine e donne, spesso anche ragazzi. In questo lugubre scenario la guerra ha annientato interi villaggi, in particolare sono stati distrutti quelli con gruppi etnici definiti che vengono sistematicamente sterminati. Qui la peggiore sorte tocca alle donne vittime delle violenze più inaudite, quindi violentate e rese schiave del sesso dai miliziani, ma altre, probabilmente le più indomite, risulta che vengono crocefisse.
In realtà, come la quasi totalità degli Stati africani, dopo avere ottenuto una pseudo indipendenza dal colonialismo, che comunque dava una certa stabilità, hanno sperimentato una sorta di “colonialismo di secondo livello”. Infatti il Sudan, dopo l’indipendenza ottenuta il 1 gennaio 1956, è stato governato da attori ex colonialisti britannici, e con una importante impronta egiziana. Il Cairo ha poi mantenuto fino ad oggi un determinante peso anche nella politica golpista. Il primo risultato del raggiungimento dell’indipendenza è stata una guerra interetnica tra il nord ed il sud del Paese che nel 2011 ha diviso il Sudan in due parti creando lo stato del Sud Sudan. Divisione controllata nel periodo coloniale (1889-1956). Le successive sei rivoluzioni popolari contro i generali al soldo degli ex colonialisti anglo-egiziani, non hanno fatto altro che minare cronicamente la polveriere Sudan. Così in questi ultimi 70 anni le immense risorse del Paese, come oro, minerali rari, petrolio, ma anche prodotti agricoli, frutto della grande risorsa idrica donata dal Nilo, non hanno impedito di portare il Paese verso carestie e povertà.
L’ultima rivoluzione del 2018 ha condotto in piazza giovani sudanesi contro la cosiddetta dittatura di Omar al-Bashir, che per un trentennio aveva governato con severità il Paese. Un regime autocratico che in certi contesti sociali è l’unica soluzione per un freno a correnti anarchiche e rivoluzionarie, contaminate da irrisolvibili divisioni etniche ma anche da caratteristiche antropologiche. La sua deposizione, come quella dell’iracheno Saddam Hussein, del libico Muammar Gheddafi, e del maliano Ibrahim Boubacar Keïta (2022), ha solo condotto il Paese in un abisso di sofferenze e morte. Ora l’orizzonte dei sudanesi è più che mai plumbeo, la comunità internazionale è emersa come impotente sia verso i belligeranti che verso chi li “nutre”. Infatti dopo il golpe del 2018, previsto già da tempo anche alla luce degli intesi colloqui più o meno ufficiali, propedeutici al golpe, tra Al-Bourhane ed il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite si è astenuto dal condannare il colpo di Stato, preferendo credere, con miope e forse cinica strategia, che i negoziati con i golpisti avrebbero riportato lo status quo nel Paese.
Ma come prevedibile i golpisti si sono spropositatamente arricchiti e i civili sudanesi muoiono, le donne stuprate e crocefisse e secondo dati Unicef migliaia di bambini periscono sotto gli attacchi di ambo gli eserciti, circa 130mila, e quelli che riescono a sopravvivere subiscono violenze sessuali e mutilazioni. Ma non si notano manifestazioni “pro-Sudan”.
di Fabio Marco Fabbri