Crimini africani: gli assassini del Sudan

mercoledì 19 novembre 2025


Chi sta assassinando il Sudan? Sentiamo che cosa sostiene in proposito il super wokist quotidiano francese Le Monde. Facciamo prima un meme, in premessa: mentre l’attuale guerra civile risale all’aprile 2023, le condizioni di instabilità in cui si collocano i fatti recenti hanno origine, in ordine cronologico, dapprima in un colpo di Stato del 2021 dei militari che, a loro volta, avevano posto fine a una transizione civile del potere, favorita da una sorta di Primavera africana, che aveva sfidato con successo la feroce dinastia di Omar Hasan Ahmad al-Bashir, ininterrottamente al potere dal 1989 al 2019. Dieci anni prima della sua caduta, nel 2009, la Corte penale internazionale aveva emesso nei confronti del dittatore sudanese un mandato di cattura internazionale, per i crimini di guerra e contro l’umanità, commessi dall’esercito sudanese in Darfur ai danni della popolazione civile di etnia non araba. Scene da un delitto che si sono ripetute regolarmente, a partire dalla fine di ottobre scorso. Ma quali attori statuali agiscono sulla scena internazionale per la destabilizzazione della regione del Darfur e, in generale, dell’Africa sub sahariana, che include Stati come Nigeria, Etiopia, Sudafrica, Kenya, Angola, Camerun, Ghana e Mali? Quando il tutto è iniziato, è stato proprio l’approccio vittimistico del wokism occidentale a occultare le responsabilità africane connesse alle stragi nel Sudan occidentale, facendo prevalere l’approccio umanitario, mentre si oscuravano i veri problemi ambientali, sociali e politici che avevano reso possibili simili massacri. Così, a molti anni di distanza, ci si trova confrontati agli stessi attori armati, anche se un po’ invecchiati, ma altrettanto ambiziosi come ieri, e per nulla preoccupati della sorte delle comunità che essi stessi pretendono di rappresentare.

Ma, come nota Le Monde, ciò che è cambiato radicalmente in questa tormentata regione africana è lo scenario internazionale, in cui si è posto in secondo o terzo piano l’aspetto del diritto internazionale, con l’emergere nei nuovi rapporti di forza tra potenze intermedie. E sono queste ultime che, per un motivo o per l’altro, pretendono di esercitare la loro influenza sul futuro del Sudan orientandone le alleanze internazionali, e avere l’ultima parola su come e chi deve dirigerlo per lo sfruttamento delle sue risorse. I due generali che si fronteggiano, Abdel Fattah Abdelrahman Burhan per l’esercito regolare (Saf, Sudanese Armed Force) e Mohamed Hamdan Dagalo, detto “Hemetti” per la milizia paramilitare delle Rsf (Rapid Support Forces), si sono ritrovati acerrimi nemici, dopo aver combattuto assieme in Darfur e messo agli arresti nel 2019 il presidente Al-Bashir, nel tentativo di contenere la rivolta popolare. E, sempre da alleati, avevano messo fine nel 2021 a un pasticciato governo di transizione, rivelatosi incapace sotto molti aspetti, ma che aveva come obiettivo primario quello di riprendere il timone di un’economia disastrata, sottraendola alla gestione dei responsabili della passata dittatura e dei vertici militari. Così, dal 2023 gli scontri armati tra le fazioni (che ormai viaggiavano per conto loro, senza più regole comuni) dei due generali rivali, dapprima limitati ai soli centri urbani, si sono rapidamente avviati verso una vera e propria guerra civile, coinvolgendo l’intero il Sudan.

La spiegazione di tutto ciò va ricercata, secondo il quotidiano francese, nella crisi abissale dell’economia sudanese all’epoca della fine del regime islamista, il quale, per puntellare il proprio potere, non aveva trovato di meglio che mettere le une contro le altre le comunità arabe e quelle più tradizionali africane. In tal senso, un ruolo fondamentale lo hanno giocato i servizi di intelligence militare della componente più islamista sudanese e le Rsf, esasperando con le loro condotte estreme le tensioni intercomunitarie, con il bel risultato di favorire l’avvento di milizie mercenarie pagate per depredare e distruggere le infrastrutture ancora esistenti. E sono proprio attori statuali come il Sud Sudan arabo, Ciad e Repubblica Sudafricana che stanno avendo un ruolo fondamentale nel sostegno logistico a questa economia di guerra. In tutto ciò, hanno avuto un peso notevole il fallimento della transizione dopo trenta anni di dittatura e le sempre più acuite disuguaglianze, sociali e regionali, che il governo di Al-Bashir aveva favorito in ogni modo in ossequio al famoso detto (in questo caso criminale) di “divide et impera”. Ma le ragioni vere del conflitto sono tutte da ricercare nel mutato quadro degli equilibri internazionali, che coinvolge nel conflitto gli interessi di Russia, Iran, Qatar, Turchia ed Egitto sostenitori delle Saf di Al-Bourhane, mentre dietro le Rsf si schierano Emirati Arabi, Ciad, Repubblica Centroafricana e la Libia di Khalifa Alftar. Anche qui: il livello di coinvolgimento dei vari attori statuali ha contorni e obiettivi molto più sfumati, che afferiscono ai loro diversi interessi regionali, come garantirsi l’accesso alle risorse minerarie, o esercitare una influenza politica più o meno egemonica sui futuri assetti del Sudan. Ma è indubbio che tutti insieme questi soggetti contribuiscono a perpetuare il conflitto in atto.

Meraviglia, in tal senso, la mancata presa di posizione della Cina, da molto tempo principale partner commerciale del Sudan, indifferente alle sorti di quel Paese in guerra e disposta a vendere a ciascuno dei due contendenti i suoi migliori droni, il cui impiego è già stato determinante nella battaglie per la conquista, o nella difesa, dei più importanti centri urbani. Il vero dramma in tutto questo è rappresentato dall’impotenza della diplomazia occidentale, che non solo deve vedersela con i conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, ma è obbligata per di più a tenere conto del peso che questi Stati (salvo le due nazioni paria di Russia e Iran) hanno nella sua bilancia commerciale e negli investimenti diretti da parte dell’Occidente. Meglio attenersi, quindi, agli aiuti umanitari indispensabili e alle dichiarazioni d’intenti e che non costano nulla, senza adottare le necessarie sanzioni per arrestare l’afflusso di armi nella regione, l’unico modo cioè che potrebbe contribuire a una vera soluzione politica. Così, l’Ue continua a non adottare nessuna iniziativa di ampio respiro, per sanzionare i veri responsabili della guerra sudanese e colpire i loro sostegni internazionali. Per come sono messe le cose, speriamo in un altro miracolo di Donald Trump per lo stabilimento di una tregua in Sudan, utile a sostenere la sua candidatura al Premio Nobel per la pace. Ma, ci si chiede: si può affrontare i destini del mondo in questo modo così irresponsabile?


di Maurizio Guaitoli