Le imprese ucraine trainano l’economia: la diaspora costruisce valore negli Usa e in Europa

venerdì 14 novembre 2025


A differenza di quanto sostiene la propaganda di Mosca, che descrive la diaspora ucraina come un peso per l’Occidente, i numeri raccontano tutt’altra storia. Gli ucraini che hanno lasciato il Paese dopo l’invasione russa non stanno gravando sui sistemi sociali europei e statunitensi: li stanno rafforzando. Imprese innovative, nuove competenze, lavoro qualificato e una sorprendente capacità di adattamento stanno trasformando la diaspora in un motore economico, non in un costo. Uno slancio che coinvolge tanto gli Stati Uniti quanto l’Europa e che va compreso per ciò che è: una forza di ricostruzione, non solo per l’Ucraina, ma per tutte le comunità che li hanno accolti. Valerii Iakovenko è arrivato in Pennsylvania nel 2022 insieme alla sua famiglia, fuggendo dall’invasione russa. Come molti ucraini approdati negli Stati Uniti, cercava sicurezza, ma anche una nuova opportunità per far crescere la sua impresa. In Ucraina era stato tra i pionieri dell’agricoltura con i droni, una tecnologia che permette agli agricoltori di individuare problemi invisibili da terra, valutare la salute dei campi e aumentare la produttività. Con i cieli ucraini ormai troppo rischiosi per l’uso civile dei droni, ha deciso di espandere la propria attività negli Usa, aprendo un centro d’ingegneria a New Town e fornendo droni e soluzioni avanzate a clienti dalla Carolina del Nord fino al Maine.

Per lui non è solo un business: è un modo per portare innovazione nelle aree rurali e attirare giovani talenti, un salto paragonabile – racconta – all’evoluzione dai telefoni a pulsanti agli smartphone. La sua esperienza rappresenta solo una tessera di un mosaico molto più ampio. Un nuovo studio dell’Ise Group, think tank con sedi a Varsavia, Washington e Kyiv, rivela che le imprese ucraino-americane stanno avendo un impatto economico impressionante negli Stati Uniti. Secondo il rapporto, queste aziende generano quasi 60 miliardi di dollari l’anno e sostengono circa 300mila posti di lavoro. È la prima analisi sistematica del contributo della diaspora imprenditoriale ucraina all’economia statunitense: i ricercatori hanno mappato 2.270 imprese distribuite in tutti i cinquanta stati e stimano che, complessivamente, queste attività paghino 24 miliardi di dollari in stipendi e almeno 8 miliardi in tasse federali, statali e locali. Il concetto di “azienda ucraino-americana” è stato definito in modo inclusivo, basandosi sull’autoidentificazione dei titolari: rientrano imprese fondate da immigrati, realtà create dalla diaspora, aziende delocalizzate e partnership tra Stati Uniti e Ucraina. Secondo Alexander Romanishyn, responsabile dello studio ed ex viceministro dell’economia ucraino, nel Paese ci sono circa 45mila imprese riconducibili alla comunità ucraina, un terzo delle quali con dipendenti. Il settore più rilevante è la tecnologia, che da solo impiega 130mila persone tra Bay Area, New York, Boston, Austin, Dallas e Seattle, con specializzazioni che vanno dallo sviluppo software all’intelligenza artificiale, dal machine learning all’integrazione cloud. Ma gli imprenditori ucraini sono attivi praticamente ovunque: consulenza, sanità, logistica, edilizia, finanza, retail, produzione, agricoltura.

Le concentrazioni maggiori si registrano in California, New York, Illinois, Florida, Texas e New Jersey. Una quota significativa di queste imprese è nata dopo il 2022, in parallelo con l’arrivo negli Stati Uniti di circa 180mila ucraini attraverso programmi umanitari. Per molti di loro, aprire una microimpresa è stato il modo più immediato per ricominciare, nonostante ostacoli come la mancanza di risparmi, l’assenza di una storia creditizia o le complessità dei visti. Le reti comunitarie stanno giocando un ruolo decisivo: nella Silicon Valley, ad esempio, l’Ukrainian Syndicate Club sostiene startup fondate da imprenditori ucraini, facilitando investimenti e mentoring. Gli studi citati dal rapporto indicano che il potenziale è enorme: nei prossimi anni potrebbero nascere dalle 18mila alle 27mila nuove imprese guidate da rifugiati ucraini. Il fenomeno, però, non riguarda solo gli Stati Uniti. In Europa, dove dal 2022 sono arrivati milioni di cittadini ucraini, si sta sviluppando una scena imprenditoriale altrettanto vivace.

La Polonia è l’esempio più evidente: oltre un milione di ucraini si è stabilito nel Paese e il 69 per cento oggi lavora, pagando più tasse di quanto riceva in sussidi. Varsavia, Cracovia e Danzica stanno assistendo alla nascita di centinaia di attività – dalla ristorazione creativa alle aziende It, dai servizi di trasporto alle manifatture artigianali – molte delle quali ora guardano all’espansione nell’Unione europea. Anche Germania, Repubblica Ceca e Paesi Bassi stanno registrando una crescita di startup ucraine integrate nei distretti tecnologici locali, spesso in collaborazione con università, incubatori e fondi di venture capital. Ovunque si stabiliscano, gli imprenditori ucraini portano con sé pragmatismo, creatività e una spiccata attitudine alla ricostruzione. Roman Nikitov, general partner di United Heritage, sintetizza questa dinamica con parole nette: gli ucraini non sono “mendicanti”, ma “costruttori”, capaci di rafforzare le economie in cui si inseriscono.

Lo stesso messaggio arriva dall’Ambasciata ucraina a Washington, che vede nel tessuto imprenditoriale ucraino-americano un motore di crescita per le comunità locali, ma anche un ponte strategico per la futura ricostruzione dell’Ucraina. Grazie alla profonda conoscenza di entrambi i mercati, queste imprese possono facilitare l’arrivo di capitali e tecnologie verso Kyiv e contribuire a una rinascita economica più rapida e solida. Il quadro che emerge è quello di un ecosistema dinamico, nato in circostanze drammatiche ma capace di generare valore su entrambe le sponde dell’Atlantico. Una realtà spesso ignorata, che mostra come gli ucraini in fuga dalla guerra non portino soltanto storie di sofferenza, ma anche competenze, idee e una determinazione straordinaria nel ricominciare e costruire.


di Renato Caputo (*)