Mosca spegne Kyiv, Bruxelles apra gli occhi

mercoledì 12 novembre 2025


L’inverno non è ancora arrivato, ma la Russia ha già intensificato la sua campagna di bombardamenti contro le infrastrutture energetiche civili dell’Ucraina. Nei primi dieci giorni di ottobre, una serie di attacchi missilistici e con droni ha colpito duramente gli impianti di produzione di gas nell’est del Paese, lasciando ampie zone di Kyiv e delle regioni limitrofe senza elettricità né acqua. È l’ennesimo capitolo di una strategia ormai consolidata: sin dall’inizio dell’invasione su vasta scala, il Cremlino ha preso di mira linee elettriche, sottostazioni, oleodotti e depositi, nel tentativo di gettare l’Ucraina nell’oscurità e piegarla attraverso il terrore energetico.

La portata degli attacchi ha raggiunto livelli senza precedenti. Nella notte del 9 ottobre, la Russia ha lanciato circa 450 droni e 30 missili contro obiettivi energetici, un attacco che ha messo in difficoltà anche i più efficienti sistemi di difesa aerea ucraini. Un ulteriore attacco è stato sferrato nella notte tra l’8 e il 9 novembre. Oltre 450 droni e 45 missili hanno colpito centrali, depositi di gas e linee di trasmissione in diverse regioni del Paese, lasciando ampie aree di Kyiv, Dnipro e Kharkiv senza elettricità e acqua. Le autorità ucraine parlano di danni “sistemici” alla rete energetica nazionale e di un inverno che si preannuncia più duro che mai per la popolazione civile. Naftogaz, il colosso statale del gas, ha confermato che oltre il 60 per cento della produzione nazionale è attualmente bloccato.

Nonostante la gravità della situazione, l’Ucraina continua a mostrare una resilienza straordinaria. Squadre di emergenza riescono ancora, in poche ore, a ripristinare l’elettricità per milioni di cittadini. Ma con l’inverno alle porte e l’intensificarsi degli attacchi, la capacità di resistenza del Paese rischia di essere messa a dura prova. E gli effetti di questa guerra energetica non si fermeranno ai confini ucraini.

La crisi ucraina è ormai un problema europeo. Gli attacchi di Mosca contro la produzione e la distribuzione di gas non colpiscono solo Kyiv: destabilizzano i mercati energetici del continente, minacciano la sicurezza energetica dei Paesi vicini e fanno impennare i prezzi. Lo scorso febbraio, una serie di raid russi contro gli impianti ucraini ha già provocato squilibri significativi nei mercati dell’Europa centrale e orientale. Tra febbraio e settembre, per compensare le perdite interne, l’Ucraina ha acquistato quasi cinque miliardi di metri cubi di gas dai mercati europei, spingendo ulteriormente la domanda e facendo lievitare i costi in tutta la regione. Se gli attacchi continueranno nei prossimi mesi, l’impatto rischia di essere ancora più pesante.

Per evitare un deficit energetico generalizzato, i Paesi confinanti con l’Ucraina dovrebbero riconsiderare le restrizioni attuali sull’export di gas verso Kyiv. L’Europa dispone degli strumenti per intervenire, ma servono decisioni rapide e coordinate. Le forniture globali di gas naturale liquefatto (Gnl) sono destinate ad aumentare grazie all’espansione della produzione, in particolare negli Stati Uniti. Tuttavia, mentre le nazioni dell’Europa occidentale possono contare su terminali marittimi e infrastrutture efficienti, quelle più a est restano penalizzate da colli di bottiglia logistici, costi elevati e limitata capacità di trasmissione.

Le difficoltà si riflettono direttamente sull’Ucraina. Pur confinando con quattro Paesi dell’Unione Europea, Kyiv dipende quasi esclusivamente da Polonia e Ungheria per le sue importazioni di gas, mentre la Slovacchia – che dispone di ampie capacità di transito oggi inutilizzate – applica tariffe di trasmissione proibitive. A gennaio 2026, tali tariffe potrebbero aumentare di un ulteriore 70 per cento, aggravando ulteriormente il problema.

Situazione simile in Romania che, pur avendo una produzione di gas significativa e quattro interconnessioni con l’Ucraina, consente il trasporto solo su una linea, a capacità ridotta, e vieta le esportazioni dirette a Kyiv con la motivazione delle differenze nella qualità del gas. Anche qui, le tariffe di trasporto tra le più alte della regione scoraggiano eventuali flussi provenienti da altri Paesi europei.

Mantenere questi ostacoli significa creare deficit artificiali e alimentare ulteriori aumenti dei prezzi. Non è solo un problema per l’Ucraina, ma per l’intera regione, compresi consumatori e industrie di Slovacchia e Romania. Bruxelles e Washington sono consapevoli del rischio: la chiusura dei canali di transito danneggia anche le imprese statunitensi, che vedono ridotta la possibilità di vendere Gnl ai clienti dell’Europa centrale e orientale.

Le trattative per sbloccare la situazione sono in corso, ma il tempo stringe. Con l’arrivo dell’inverno, ogni giorno perso potrebbe costare caro. In uno scenario ideale, l’Occidente potrebbe valutare misure drastiche come la creazione di una no-fly zone per proteggere le infrastrutture civili ucraine. Tuttavia, la riluttanza della Nato a rischiare uno scontro diretto con Mosca rende questa ipotesi improbabile. Resta dunque una via più realistica e immediata: convincere i Paesi confinanti a collaborare, abbassare le tariffe di transito, rimuovere le restrizioni e sostenere concretamente Kyiv nella difesa del proprio sistema energetico.

Solo così l’Europa potrà evitare che la guerra dell’energia diventi anche la sua guerra.

(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza


di Renato Caputo (*)