mercoledì 12 novembre 2025
Nel dicembre 1989, il cancelliere tedesco Helmut Kohl dichiarò: “L’Ungheria ha scardinato la prima pietra del Muro di Berlino”. Le sue parole rivelano il ruolo sempre più spesso dimenticato che i decisori politici e la società ungherese svolsero nell’estate del 1989. Fu l’Ungheria a realizzare ciò che Ronald Reagan aveva invocato due anni prima, quando affermò: “Signor Gorbaciov abbatta questo muro!”. Tuttavia, mentre il ricordo di quell’anno memorabile svanisce, il suo messaggio continua ad essere attuale. Il Muro di Berlino sarà anche caduto, ma le divisioni che un tempo simboleggiava sono ancora profonde in tutta Europa.
Il ruolo dell’Ungheria nella caduta del Muro di Berlino non fu un caso isolato. Nel 1989, circa 2,5 milioni di tedeschi visitavano l’Ungheria ogni anno, provenienti in egual misura dalla Germania dell’Est e da quella dell’Ovest. Per decenni, questo Paese dell’Europa orientale è stato il punto d’incontro tra Est e Ovest. Sulle rive del lago Balaton, famiglie, amici e parenti provenienti da una Germania divisa potevano godere del clima, del cibo e dei benefici culturali del Paese. Qui erano disponibili anche musica e prodotti occidentali, cosa impensabile nella Repubblica Democratica Tedesca (Ddr). L’Ungheria era una destinazione nota e popolare per la sua apertura, il suo stile di vita rilassato e il suo atteggiamento lassista nei confronti del comunismo. Gli ungheresi applicavano le regole della loro dittatura con tocco umano, privandola delle sue conseguenze più gravi. Sebbene all’epoca fosse ancora una dittatura, era più morbida, con regole indulgenti e una leadership che non credeva appieno nei principi comunisti.
Queste circostanze uniche resero il 1989 un anno straordinario, che sarebbe culminato nella riunificazione definitiva della Germania. Dal 1988, le restrizioni di viaggio erano state allentate per gli ungheresi, eliminando la necessità del filo spinato ai confini occidentali dell’Ungheria. Inoltre, le rigorose infrastrutture di confine richiedevano l’importazione dall’Occidente di costose materie prime. In pratica, la recinzione ostacolava solo i tedeschi dell’Est che cercavano di fuggire dall’Est. La Repubblica Democratica Tedesca continuava a considerare il blocco orientale come una prigione ed esortava l’Ungheria a catturare coloro che cercavano di fuggire. In base a un accordo del 1969, la polizia di frontiera ungherese era obbligata a catturare i profughi della Ddr e a impedire loro di conseguire la libertà.
Non sorprende quindi che la prima crepa nel Muro di Berlino non si sia verificata a Berlino, ma al confine austro-ungarico vicino a Sopron, il 19 agosto 1989, in occasione del Picnic Paneuropeo. La nascente società civile ungherese, inclusi i futuri partiti politici come Mdf e Fidesz, organizzò un raduno per la popolazione locale austriaca e ungherese. Il picnic promuoveva un’Europa senza confini e amicizie tra i blocchi. Fu istituito un valico di frontiera provvisorio, rendendo il viaggio più agevole e meno faticoso. Con grande sorpresa degli organizzatori, molti cittadini della DDR si presentarono, incoraggiati dalla notizia dell’apertura provvisoria del confine. Smantellarono la vecchia barriera in legno del confine, dando vita al più grande esodo di massa dalla costruzione del Muro di Berlino nel 1961. Le guardie di frontiera ungheresi decisero di lasciarli passare pacificamente e più di 600 cittadini della Ddr raggiunsero l’Austria.
Questo non fu che l’inizio di un’ondata di rifugiati più ampia, poiché sempre più tedeschi dell’Est vedevano l’Ungheria come una via di fuga. Il governo ungherese acconsentì e sospese l’accordo del 1969 con la Ddr, permettendo ai tedeschi dell’Est di fuggire attraverso i propri confini. L’Ungheria divenne di fatto un campo profughi, con migliaia di tedeschi dell’Est in attesa di passare nel blocco occidentale. Dall’11 settembre 1989 furono abolite ulteriori restrizioni e fu loro consentito di trasferirsi senza riserve nel mondo libero.
Le azioni dell’Ungheria aprirono la prima breccia nella cortina di ferro e resero il Paese una calamita per migliaia di persone desiderose di trasferirsi in Occidente. Gli insoddisfatti che rimasero nella Ddr diedero rapidamente inizio alle proteste di massa che portarono alla caduta sia della Repubblica Democratica Tedesca che del muro di Berlino, il 9 novembre 1989.
I restanti 329 giorni che precedettero la riunificazione tedesca del 3 ottobre 1990 furono caratterizzati da una serie di manovre diplomatiche e politiche da parte di Helmut Kohl per convincere i vincitori della Seconda guerra mondiale a sostenere l’unificazione tedesca. Tuttavia, il Cancelliere dovette affrontare anche l’opposizione interna, con molti socialdemocratici e Verdi contrari alla riunificazione. L’Ungheria, per contro, sostenne la Germania nel suo sforzo di unità nazionale, più di molti tedeschi. Gli ungheresi erano solidali con la popolazione tedesca. La divisione della Germania era fin troppo simile alla divisione che l’Ungheria aveva dovuto affrontare dopo il Trattato di Trianon del 1920.
Sebbene la Germania sia unificata da 35 anni, continua a essere divisa in termini di atteggiamenti, mentalità e affiliazioni politiche. Per molti versi, il Muro rimane e la Germania è ancora un Paese diviso. I tedeschi occidentali non comprendono appieno ciò che i loro compatrioti del versante orientali sentono, pensano e come ragionano. Questa frattura nella comprensione reciproca attraversa ancora i confini geografici tracciati nel 1945, mantenendo la Germania un Paese diviso, nonostante la sua volontà di essere unificato.
Queste fratture della Guerra Fredda non sono solo linee di demarcazione per la Germania, ma anche per l’Europa, separando la “Vecchia Europa” dalla “Nuova Europa”. Questi confini immaginari si manifestano attraverso gli approcci politici dei Paesi dell’Europa centrale e orientale a questioni importanti come la sovranità nazionale, l’autoaffermazione, l’autonomia strategica e la connettività. Questi Paesi non si accontentano di essere ai margini della civiltà, terre di confine o campi di battaglia, ma vogliono essere il centro dell’azione economica, culturale e politica. Nelle politiche interne, queste nazioni proteggono i loro valori giudaico-cristiani, il patrimonio culturale e l’identità nazionale. Rifiutano la migrazione di massa, vogliono essere responsabili della propria vita, vivere in pace e libertà, realizzare il sogno europeo e condividere lo stile di vita europeo. Avendo vissuto il comunismo, non desiderano che altri dicano loro come pensare, vivere o votare e difendono strenuamente la loro libertà politica.
Nonostante facciano parte dell’Europa “occidentale”, i tedeschi dell’Est hanno una visione simile a quella degli ungheresi, dei cechi, degli slovacchi o dei polacchi. Chi ha vissuto la dittatura comunista è in grado di rilevare facilmente le minacce alla propria vita quotidiana, alla libertà, alla propria nazione e al proprio ambiente locale. Diffida di un potere centrale onnipotente e onnipresente, che si tratti di Berlino, Bruxelles o di altre città. Si ribella più facilmente e difende con fermezza i propri valori, la propria vita e il proprio Paese.
Quello che potrebbe sembrare un atteggiamento antieuropeo, antidemocratico o autocratico è in realtà l’opposto. I cittadini dell’Europa centrale e orientale, compresi i tedeschi dell’Est, sono diretti e schietti e, sebbene a volte possano essere politicamente scorretti, difendono con fierezza e onestà i principi per cui hanno lottato così duramente. Per loro, la bandiera o l’inno nazionale hanno ancora un grande significato e sono orgogliosi del loro Paese e della comunità delle nazioni europee. Più e più volte la loro voce della ragione, influenzata dall’esperienza piuttosto che da tendenze ideologiche transitorie, si è dimostrata degna di essere ascoltata se gli europei desiderano affrontare la moltitudine di problemi e sfide che il continente si trova ad affrontare.
(*) Tratto dal The European Conservative
(*) Traduzione a cura di Angelita La Spada
di Bence Bauer e Péter Dobrowiecki (*)