martedì 11 novembre 2025
L’American Israel public Affairs committee è una lobby: non è la più ricca e nemmeno la più influente, ma sicuramente quella che attira più attenzioni. La ragione è legata molto più al pregiudizio, che non ai fantomatici (ovvero fantasiosi) pericoli che rappresenterebbe per la democrazia negli Stati Uniti – o per l’intero sistema internazionale, stando alla non mai esaurita immaginazione di certa opinione pubblica occidentale. Insomma, Aipac ha tutti gli occhi puntati contro: sia quelli degli europei – ma se da oggi iniziamo a criticare le lobby, abbiamo un’Unione europea da radere al suolo completamente – che degli stessi americani o, meglio, quello zoccolo duro antisemita che resta tale con o senza Aipac tra i piedi.
Facciamo un passo indietro. Iniziamo dal numero 117, ovvero tutte le Aipac che servirebbero per eguagliare in dollari investiti nelle attività di lobbying dalle industrie farmaceutiche. Stando ai dati del 2024, mentre Aipac ha investito 3,3 milioni di dollari, le industrie farmaceutiche hanno applicato una pressione pari a 387,5 milioni di dollari (la spesa è poi aumentata ulteriormente, con oltre 227 milioni solo nel primo semestre del 2025). Certo, potremmo asserire che attraverso Aipac, Political action committee e United democracy project, l’associazione abbia investito ben 126,9 milioni di dollari in finanziamenti nelle campagne elettorali. Ma siamo d’accordo che finanziare un determinato candidato e fare lobbying all’interno delle sedi istituzionali siano due cose alquanto diverse. Bisogna aggiungere, inoltre, che questi investimenti hanno coperto una frazione irrisoria dell’enorme quantità di denaro speso in finanziamenti per le attività elettorali da parte di tutti i soggetti che si trovano nella posizione di influenzare la politica americana.
A questo punto, si potrebbe anche accusare Aipac di corruzione, basandosi sull’altissimo tasso di successo delle campagne elettorali che l’associazione decide finanziare (circa il 96-98 per cento), se non fosse per il fatto che Aipac finanzia, nella gran parte dei casi, politici che nei sondaggi hanno già un largo scarto sul secondo o terzo candidato. Si tratta, infatti, di esponenti politici moderati con ampie basi di consenso. E quindi no, Aipac non è un profiler che va alla ricerca del candidato più sconosciuto e più pro-Israele, ma punta su “cavalli vincenti” dall’ampia affidabilità. In soli tre casi Aipac può essere accusata di avere direttamente preso posizione e favorito direttamente la sconfitta di un candidato: si tratta delle campagne che l’associazione ha finanziato contro i Dem Jamal Bowman, Cori Bush e Andy Levin.
Sono state campagne importanti? Assolutamente sì. È raro che in America delle associazioni prendano posizione e sanciscano la vittoria di un candidato? Assolutamente no. L’ultima accusa che si potrebbe fare ad Aipac è che l’associazione appoggi in blocco ogni decisione del Governo israeliano. Tale affermazione non potrebbe essere più fuorviante: Aipac supporta in blocco le posizioni dei suoi membri, tra i quali si annoverano alcuni dei più accesi critici delle politiche di Israele. Una delle più puntute proteste verso Tel Aviv si sollevò nel 2019 dopo l’entrata del reazionario Itamar Ben-Gvir all’interno della compagine di governo di Benjamini Netanyahu. Il punto centrale di questo articolo non deve essere l’equazione: finanziamenti di Aipac = finanziamenti dei buoni; altri finanziamenti = finanziamenti dei cattivi. Qui le domande a cui trovare una risposta sarebbero in realtà almeno due.
La prima riguarda l’entità dei finanziamenti di Aipac. Se basta essere una lobby di medio livello per destare le critiche dell’intero Occidente progressista, com’è possibile che alcune delle lobby tra le più influenti al mondo non vengano mai nemmeno citate? Più si raccolgono informazioni, più la questione diventa una vera e propria miniera di paradossi: ogni singolo dollaro raccolto da Aipac è americano, ogni singolo membro dell’Aipac è americano. Al contrario, non è mai stata fatta alcuna obiezione (e questo riguarda gli Stati Uniti quanto l’Europa) rispetto alle lobby qatariote, saudite e cinesi, che spendono cifre multiple di quelle di Aipac rappresentando interessi tutt’altro che americani (o, nel nostro caso, europei) e tutt’altro che limpidi. La seconda si focalizza, invece, su come sia possibile che influencer americani di primo piano abbiano intessuto relazioni finanziarie direttamente con i governi sponsor del terrorismo, senza sollevare nemmeno una frazione dello scandalo generato da Aipac?
Nel marzo 2025 Tucker Carlson ha condotto un’intervista con il primo ministro del Qatar Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, che ha raggiunto sei milioni di visualizzazioni in poche ore. Ciò che il commentatore dell’alt-right omise di segnalare è che l’intera operazione era stata orchestrata e pagata dal governo qatariota. Secondo i documenti depositati presso il Dipartimento della Giustizia americana (Fara), la firma di consulenza Lumen8 Advisors riceve 180mila dollari al mese dal governo del Qatar, specificamente per coordinare interviste “amichevoli” con personalità mediatiche americane, fornire punti di discussione pre-approvati e facilitare i viaggi stessi. L’intervista di Carlson comprende persino la dichiarazione “includes paid partnerships”, ammettendo pubblicamente che si tratta di un contenuto pagato.
Nel 2017 il Qatar è stato colpito da un blocco diplomatico dei vicini e ha avviato una massiccia campagna di lobbying negli Stati Uniti. Ha triplicato la sua spesa di lobbying, investendo complessivamente 225 milioni di dollari fino ad oggi. Ma a differenza di Aipac, che rappresenta interessi americani pro-israeliani (nei limiti ben definiti che l’associazione si pone), il Qatar rappresenta un governo estero che ha legami documentati con Hamas e l’Iran. Il Tesoro americano ha designato il Qatar come principale finanziatore di Hamas, trasferendo almeno 2 miliardi di dollari al gruppo terroristico negli ultimi anni. Mohammad Hannoun, cittadino palestinese radicato in Italia, è stato designato dal Tesoro americano nel 2024 per aver “materialmente assistito, sponsorizzato, o fornito supporto finanziario” a Hamas. Hannoun ha stabilito un’associazione di beneficenza Sham in Italia, La Cupola d’Oro, allo scopo di aggirare le sanzioni e raccogliere fondi per l’ala militare di Hamas attraverso donatori inconsapevoli.
La differenza cruciale rimane evidente: mentre Aipac finanzia candidati americani con denaro americano di semplici cittadini, il Qatar paga influencer americani con denaro straniero per influenzare la narrativa mediatica americana a favore di un Governo finanziatore del terrorismo. Eppure, questa situazione genera una frazione minuscola della controversia attorno ad Aipac. Carlson stesso ha subito un “cambiamento ideologico” repentino dopo questi contatti qatarioti, passando da critico di Hamas e del regime di Teheran a difensore accanito delle posizioni del Qatar sulla politica estera americana. Se osserviamo il fenomeno a livello europeo, il quadro diventa ancora più sconcertante. Leonardo (Finmeccanica), l’azienda italiana produttrice di armi e tecnologie per la difesa, riceve critiche costanti sui media europei. E non si sta dicendo che non sia legittimo criticare Leonardo ma, nel frattempo, altre società il cui profilo è significativamente più “torbido” operano nei corridoi del Parlamento europeo praticamente indisturbate.
Dal 2022 al 2023 le spese di lobbying delle prime 10 aziende europee di difesa sono aumentate del 40 per cento. Leonardo, insieme ad Airbus, Bae Systems, Indra, Mbda e Saab, rappresentava il nucleo del Group of personalities on defence research presso la Commissione europea. Nove dei 16 rappresentanti erano affiliati a società di armi o organizzazioni di lobbying dell’industria bellica. Leonardo riceve scrutinio mediatico, mentre i veri driver della militarizzazione europea rimangono nell’ombra – ovvero, vengono tacitamente esclusi dal salmodiare di accuse. E così, tutte le strade (e tutti i gasdotti) portano alla Gazprom. La multinazionale russa ha esercitato influenza sulla tassonomia verde dell’Ue utilizzando sussidiarie e associazioni commerciali di copertura – una strategia definita “lobbying russo a matrioska” – per inserire il gas fossile negli “investimenti sostenibili”, garantendo alla Russia miliardi di euro nonostante la guerra in Ucraina. L’Arabia Saudita ha pagato società di lobbying europee per centinaia di migliaia di euro mensili, nascondendo il cliente sotto nomi di società sorelle. Huawei è stata colta a corrompere regolarmente i deputati europei dal 2021 fino ad oggi. Saudi Aramco sponsorizza la Formula 1 che, a sua volta, fa lobbying presso l’Ue contro il divieto delle auto a combustione interna.
La realtà è disarmante: una lobby italiana che produce armi riceve uno scrutinio infinitamente maggiore di governi stranieri che finanziano il terrorismo, società cinesi che corrompono i deputati europei, e compagnie energetiche russe che manipolano la politica climatica dell’Ue. Il doppio standard europeo è almeno pari a quello americano.
di Flavio Pierucci