Il dramma del Sudan: ipocrisia politica o ignoranza?

giovedì 6 novembre 2025


Cosa sta accadendo in Sudan? Per buona parte dei sistemi di comunicazione di massa sembra che poco stia succedendo, salvo sporadiche fiammate informative dovute da un’effimera emotività collettiva, comunque nemmeno in grado di creare movimenti “pro-Sudan. Tuttavia, in questi ultimi giorni, è stato “svelato” che esiste nel Darfur, regione storica del Sudan, la citta di Al-Fashir, capitale settentrionale della regione – il Darfur ha cinque capitali regionali – dove si sta perpetrando l’ennesimo massacro, sempre troppo lontano dai radar mondiali. Atrocità giustificate da motivazioni etniche, da parte delle Rsf, Rapid Support Forces, guidate dal generale ribelle Mohamed Hamdan Dagalo, più noto con il nome di “Hemetti”, contro la popolazione civile: massacri indiscriminati, stupri, esecuzioni sommarie, rapimenti, attacchi agli operatori umanitari, saccheggi e inoltre forzati sfollamenti di massa. Ma anche in questo massacro la responsabilità è collettiva, come su molto di quello che sta accadendo in Sudan – e in buona parte del Continente africano – in quanto tale intensità di violenza non si sarebbe potuta manifestare senza l’intervento degli Emirati Arabi Uniti, di altri Paesi arabi e dell’Occidente in generale.

Il Darfur soffre di una crisi cronica globale iniziata nel 2003 e ripresa con maggiore veemenza nel 2023; e da alcuni giorni la situazione, se possibile, è ancora peggiorata in tutto il Sudan. È evidente in questo conflitto che le battaglie hanno almeno due connotazioni: quella per il potere, ovvero governare il Sudan ricchissimo di oro e preziose risorse naturali, combattuta tra l’esercito regolare, guidato dal generale e politico Abdel Fattah Abdelrahman Burhan, contro le Rsf, e quella su base etnica combattuta dalle Rsf nel Darfur. Lunedì, l’inconsistente Ufficio del procuratore della Corte penale internazionale, ha espresso la sua preoccupazione circa le atrocità e gli abusi commessi nella città di Al-Fashir – come se fosse una novità – affermando che tali azioni possono rientrare nei crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Imbarazzante “dichiarazione” in quanto superati tutti i limiti di criminalità perpetrabili ai danni di una “umanità” inerme. La tragedia che sta vivendo la popolazione di Al-Fashir ha assunto un livello di drammaticità unico, che va ad aggravare la catastrofe umanitaria in atto in Sudan, non paragonabile con quello che è accaduto a Gaza.

Le esortazioni a un cessate il fuoco, orchestrate a livello internazionale, dirette verso le parti in lotta, sono ad oggi totalmente inascoltate. In questo momento gli sforzi della diplomazia sono indirizzati soprattutto verso i miliziani delle Forze di supporto rapido, alle quali viene chiesto almeno di non allargare le operazioni in quei territori dove la popolazione civile si è rifugiata per sfuggire alle violenze. Tuttavia i negoziati per mettere intorno ad un “tavolo di mediazione” i contendenti, al momento hanno prodotto solo fallimenti; da diversi mesi Stati Uniti, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Egitto, hanno spinto per creare punti di convergenza tra le parti, ma la “dipendenza da guerra” che sta intossicando il Sudan, non ha permesso nessun incontro costruttivo. La situazione attuale è gravemente in stallo. Ricordo che la città di Al-Fashir è stata conquistata circa dieci giorni fa dai paramilitari delle Forze di supporto rapido, prima del conflitto milizie governative. L’esercito regolare di Al-Burhan ha così perso la sua ultima strategica roccaforte nella regione del Darfur. L’Esercito regolare, come le Rfs, nate dalle milizie Janjaweed che circa venti anni fa sono state artefici del genocidio in Darfur, un vero genocidio, sono accusate dalla Cpi di crimini di guerra. Una accusa del Cpi che dimostra l’inutilità e l’impotenza di questo “sistema di giustizia internazionale”, incapace di influire, anche minimamente, nella massima espressione di atrocità umana in atto.


di Fabio Marco Fabbri