martedì 4 novembre 2025
I racconti dei volontari al fronte di guerra
“Aiutare gli ucraini in Ucraina”, una frase ridondante, ma chiarificatrice dell’innegoziabile diritto di autodeterminazione del popolo ucraino e del supporto nei suoi confronti che prosegue, ormai, sino alla soglia del quarto anno di guerra. Questo, in estrema sintesi, è l’obiettivo di EUcraina, associazione nata all’indomani dell’invasione russa, nel febbraio 2022, e fondata dall’ex magistrato e politico italiano Giovanni Kessler. Dopo circa 10 anni da responsabile per il servizio anti-frode e anti-corruzione presso la Commissione europea, oggi dedica le sue energie a dirigere un progetto a suo dire “di piccole dimensioni”, ma dall’enorme risvolto pratico e umano. Da sempre forgiata nel sostegno della Provincia autonoma di Trento, luogo natio di Giovanni, EUcraina riceve solidarietà non solo da donatori italiani ma anche internazionali, e conta 30 associati. Tra loro c’è Paolo Zurlo, un ragazzo di 22 anni, avvicinatosi a questa realtà attraverso le parole di Giovanni in occasione di un evento tenuto a Kiev dal Mean (Movimento europeo azione nonviolenta). A mettere i due in dialogo è stato proprio il desiderio di fornire un aiuto concreto.
L’attività dell’associazione segue procedure chiare, volte a massimizzare l’intervento umanitario una volta raggiunto il territorio ucraino. “Grazie alle nostre amicizie a Kiev, il lavoro parte qui, dall’analisi dei bisogni del popolo ucraino, solo poi viene la fase di raccolta dei fondi e acquisto dei beni richiesti”, spiega Giovanni. A erogare parte dei finanziamenti è proprio la Provincia autonoma di Trento, secondo programmi previsti per situazioni di emergenza. A questi si sommano le donazioni dei privati cittadini, venuti a conoscenza di EUcraina tramite eventi organizzati sul territorio e un grande lavoro di documentazione su social network e media. Si tratta di due pilastri centrali per l’acquisto sia di beni di prima necessità, come i generatori per le comunità locali più colpite dagli attacchi alle infrastrutture energetiche, sia di strumenti di primo soccorso, ambulanze di seconda mano e fuoristrada, essendo tra i principali bersagli nel mirino russo. Non a caso, il raccolto viene trasportato dagli stessi associati in viaggi della durata di tre settimane o un mese, per i quali sono previste autorizzazioni doganali, sia in entrata che in uscita dal Paese, volte a evitare frodi nelle importazioni di matrice umanitaria. Fondamentale, in un’opera del genere è, dunque, la cooperazione con associazioni locali per spostamenti e appoggi logistici.
Pragmaticità. È quanto si legge nel sottotesto del racconto di Giovanni, che dà spazio alla realtà cruda, alle azioni più che ai sentimenti. “Aiutiamo i MedEvac, i reparti che lavorano al fronte nel soccorso dei feriti e nel recupero dei morti, portiamo rifornimenti a un ospedale di Kherson e a un centro di aiuto rifugiati a Dnipro, spesso acquistando prodotti alimentari in loco, poi distribuiti”. Viaggiando per strade sconnesse, attraverso ogni forma di intemperie e accolti dalle sirene di allarme, chi, come Paolo, sceglie di mettersi in prima linea a supporto ucraino, sa che ad attenderlo vi è un percorso intenso, lungo l’intera fascia orientale dell’Ucraina, da Odessa a sud fino a Charkiv nel nord-est. E non sono queste le uniche difficoltà. Alcuni itinerari tracciati per associazioni come EUcraina, ormai conosciute nel territorio, sono oggi chiusi perché sotto tiro dei droni Fpv russi. Nel complesso, il percorso si stima attorno ai 1.500 chilometri e coinvolge associazioni e rappresentanti della politica locale.
A completare la macchina della solidarietà è la corposa rete di legami e amicizie che ogni membro tesse e stringe con le proprie mani. Ogni incontro, ogni volto e ogni voce si incastrano in autonomia, sviluppando connessioni tra volontari e cittadini. Paolo racconta i suoi incontri presso i reparti di evacuazione: “Mi segna vedere ragazzi della mia età che fanno questo tipo di vita da più di tre anni, tutti i giorni. Mi ricordo di uno di loro, 22 anni ed era già sergente nella sua unità militare. Parlandoci, mi ha colpito la lucidità con cui descriveva la sua scelta, legata al futuro del suo Paese. Altri, come lui, mi hanno detto che chi vive in una democrazia e in pace tende a dimenticare il prezzo che, spesso, è stato necessario pagare per quella condizione, loro non sono disposti a vedere la propria pace e la propria famiglia schiacciata da un oppressore, seppur consapevoli del rischio che corrono. È un sentimento comune anche tra gli anziani, nonostante il loro retroterra sovietico”.
La stessa audacia che spinge anche i più giovani a difendere la propria libertà con i denti è chiara, sotto altre vesti, in un episodio raccontato da Giovanni: “mi ricordo una frase pronunciata da una giovane donna che, nonostante il segnale acustico di arrivo dei missili, mostrava una totale indifferenza. Di fronte alla mia perplessità rispose “Se devo morire, non voglio morire con la paura”. A costituire l’essenza e il futuro di una società sono, però, i più piccoli. Chi, come i bambini ucraini, cresce, o addirittura già nasce, in un contesto di guerra, attribuisce a essa lo spazio della propria quotidianità. Giovanni e Paolo ne hanno incontrati tanti nei rifugi delle scuole e degli orfanotrofi, negli isolati circondati da macerie, financo in mezzo alla campagna. Lo scorso dicembre, presso Dnipro, una tra le città più colpite, hanno portato dei generatori per illuminare l’enorme sotterraneo di una scuola dove si continuano le lezioni anche in fase di allarme. L’efficienza dell’organizzazione è tale per cui la stessa direttrice, fiera, raccontava ai volontari di saper condurre, in soli quattro minuti, 700 bambini nel rifugio.
“Di loro colpisce soprattutto la resilienza”, osserva Giovanni. “I bambini sono orgogliosi di mostrare quello che sanno fare tra le tante attività extra scolastiche. Nella cultura ucraina è molto radicato il ballo, in diverse scuole a Dnipro bimbe di 10 e 12 anni ci hanno accolto mostrandoci balli sia tradizionali sia contemporanei di breakdance. Come il ballo, anche il canto esprime un rifiuto della guerra come motivo per cui tutto debba essere cancellato”. L’arte dei bambini non è, dunque, un tentativo di estraniarsi dalla realtà, ma una forma di cura verso la cultura ucraina e una corda tesa a trattenere momenti di dolce, e purtroppo fragile, quotidianità. A distanza di quasi quattro anni da quel 24 febbraio, viene spontaneo domandarsi se vi sia stato un supporto continuativo nei confronti di EUcraina o se, invece, una realtà globale segnata dalla proliferazione di conflitti abbia contribuito a frammentare l’attenzione mediatica, riducendo così anche le forme di sostegno economico all’intervento. C’è chi, come Paolo, sostiene che ciò, seppur vero, colpisca una dimensione più elevata rispetto alla loro, coinvolgendo, dunque, governi e Ong di grossa taglia. Nelle ultime missioni, infatti, sono state raccolte quantità considerevoli di fondi, anche da privati che già in passato avevano fatto la loro parte. Un’attenta osservazione in merito viene, però, da Giovanni, che mette in luce il rischio di assuefazione e stanchezza del donatore rispetto alla situazione ucraina. “L’emergenza per sua natura è temporanea e limitata nel tempo, aspetto non proprio di una guerra che dura da più di tre anni”.
Esistono, allora, ad oggi delle condizioni per giungere a quella che il manifesto di EUcraina chiama “giusta pace”? La risposta di Giovanni è no. “La guerra di Putin non è una guerra territoriale, ma esistenziale, che nega l’esistenza dell’Ucraina come Paese libero e indipendente nelle sue scelte, il diritto alla propria esistenza e alla propria libertà non è negoziabile per gli ucraini. Dunque è difficile trovare uno spazio di pacificazione, se non quello della rinuncia di Vladimir Putin. Gli ucraini possono negoziare un cessate il fuoco, degli scambi di prigionieri, il ritorno dei bambini rapiti dai russi. Altrimenti, quella che si vuol chiamare pace può essere semplicemente la loro resa, ma non è certamente una pace giusta e non sarebbe neanche una “pace”, seppur ingiusta. Per cui non vedo vicine queste condizioni, se non che le democrazie del mondo, non solo quelle occidentali, non si decidessero a far capire a Putin che non ha spazio nella sua pretesa di conquista”. Una dichiarazione forte, consolidata, inoltre, dall’idea che l’unica manovra diplomatica possibile, da parte statunitense, sia porre a Putin un ultimatum: “Se non si ferma, all’Ucraina saranno concessi tutti i mezzi per difendersi, compresi quelli che le consentano di fermare e distruggere i droni e i missili ancora presenti sul territorio russo”.
Dopo svariati tentativi di avviare una tregua e aprire una fessura per la consultazione diplomatica, ad oggi di miglioramenti concreti se ne vedono pochi. Gli stessi ucraini mostrano, ormai, attenzione solo ai fatti. “Gli evacuatori militari ci hanno detto di non pensare più di tanto alla fine della guerra, ma a salvare quante più vite possibile in un giorno” racconta Paolo. “Nell’interpretazione ucraina il Cremlino comprende solo il linguaggio della forza, non c’è più neanche l’illusione dell’inizio della guerra di riconquistare i terreni persi, ma c’è la volontà di ottenere, con un cessate il fuoco, quelle garanzie di sicurezza che gli permettano di vivere senza il rischio che i russi li invadano un’altra volta”.
di Siria Santangelo