L’assessore di Molenbeek parla solo arabo

lunedì 3 novembre 2025


Per non saper né leggere e né scrivere. E neanche parlare. Mohammed Kalandar è assessore allo sport (in quota Partito socialista) a Molenbeekcommune di Bruxelles, già nota alle cronache dopo gli attentati del 22 marzo 2016. Esercita, dunque, una responsabilità pubblica, in uno dei quartieri più difficili della capitale belga. E lo fa senza esprimersi nelle due lingue richieste per lavorare nel regno del Belgio: francese e nederlandese.

Un problema non da poco, apparentemente inaccettabile, ma evidentemente non così grave da impedire a un funzionario pubblico di esercitare le sue funzioni. Almeno secondo certe consuetudini del governo di Molenbeek. La questione, tuttavia, va risolta. E allora qualcuno ha pensato bene di filmare e poi pubblicare, con l’obiettivo di aprire il caso politico, un video che riprende Kalandar mentre legge faticosamente una risposta in una seduta del consiglio comunale.

“Non si capisce niente di quello che dice, e probabilmente neanche lui capisce il testo che gli è stato scritto”, ha commentato Marcela Gori, assessore comunale ad Anderlecht, in un’intervista alla Derniere Heure (DH). In riferimento al video, l’esponente del Mouvement riformateur (Mr), il partito liberale francofono, aveva scritto qualche ora prima un post su Facebook: “Non ho alcuna intenzione di prendere in giro questa persona. Sono sicura che stia facendo del suo meglio per integrarsi in Belgio e imparare una delle nostre lingue nazionali”. Il problema, tuttavia, “è un assessore di un comune di Bruxelles che non parla nessuna lingua nazionale”. Com’è possibile, si chiede Gori. “Come può qualcuno ricoprire cariche politiche, rappresentare i cittadini e gestire i servizi comunali senza saper comunicare né in francese né in olandese? I requisiti linguistici minimi dovrebbero essere inclusi nella legislazione: quando si rappresenta un comune di Bruxelles, mi sembra ovvio che si debba parlare fluentemente almeno una lingua nazionale. Non capisco − continua Gori − come si possa accettare un simile incarico sapendo benissimo di non avere le competenze linguistiche necessarie. Perché farlo? Per il titolo? Per lo stipendio? Francamente − conclude − qualcuno dovrebbe spiegarmi come questo signore possa comunicare con i servizi, le istituzioni e, soprattutto, con i cittadini che dovrebbe servire”.

Gori, che è anche vicepresidente del Centro pubblico di azione sociale (CPAS) di Anderlecht, prende se stessa come esempio, e alla DH ricorda il suo percorso da immigrata e di aver iniziato a studiare il francese dall’età di 13 anni. Oggi si considera belga e dichiara di parlare francese e fiammingo. E annuncia che presenterà una mozione sull’obbligatorietà di prove di competenza linguistica per gli assessori, almeno di una delle due lingue richieste, a partire dal 2030. In caso di fallimento della prova, i candidati dovranno sottoporsi a corsi intensivi fino al superamento dell’esame. In teoria, niente di straordinario, non fosse altro perché, osserva, “non si può gestire una commune con il traduttore di Google”.

La proposta di mozione, invece, ha già creato molti malumori ad Anderlecht, con il borgomastro che ipotizza problemi legali che potrebbero complicare l’iter di un possibile disegno di legge. Il quotidiano Le Soir ha dato voce a due accademici per spegnere un po’ gli entusiasmi della mozione MR. Secondo Mathias El Berhoumi, professore di diritto costituzionale all’università Saint-Louis, imporre un livello di lingua ai politici eletti rischia di danneggiare la rappresentatività democratica, poiché “dei criteri troppo esigenti rischiano di escludere una parte della popolazione”. Al di là della lingua, infatti, “si potrebbero chiedere altri criteri, come le competenze per esaminare i dossier comunali o titoli di studio come la laurea”. Andare troppo lontano, osserva il docente, “rischia di portarci in una logica più aristocratica di suffragio censuario”.

Mostrarsi, da un lato, esigenti sul livello della lingua, trascurando, dall’altro, l’accesso al suo apprendimento per gli immigrati, “evidenzia una certa ipocrisia”, rileva Marco Martiniello, sociologo dell’ULiege. Nel video, fa notare, “è vero che l’assessore effettivamente non parla bene francese, ma si capisce perfettamente ciò che vuole dire. E del resto − fa notare − non abbiamo sentito nulla dal MR, quando hanno presentato un candidato che non parlava né francese né nederlandese sulla loro lista regionale”. Il riferimento è al candidato di origine pakistana, Rana Arbab, che in un video della campagna elettorale del 2024, viene palesemente doppiato dall’intelligenza artificiale. In una città come Bruxelles, osserva Martiniello, “il dibattito non può ridursi su un assessore che non parla bene il francese”, e “il test linguistico sembra un po’ un bazooka utilizzato per uccidere una mosca”. Il problema è “il deficit di sostegno nell’apprendimento delle lingue”. Pensare di risolvere “il problema delle competenze con il solo aspetto delle conoscenze linguistiche è un po’ riduttivo”.

Da par suo, Kalandar riconosce di avere qualche problema con le due lingue nazionali, ma non di comprensione o padronanza del francese. “Per vostra informazione − dice alla DH − parlo e capisco francese, turco, arabo, inglese.  Quindi la lingua non è assolutamente un ostacolo nel mio ruolo di assessore comunale”.

A mettere tutti d’accordo ci pensa il nuovo sindaco del comune fiammingo di Dilbeek, che vuole vietare il francese nei negozi. Con una lettera, Stijn Quaghebeur ha invitato autorità, cittadini e imprenditori a usare solo il fiammingo. “Il carattere nederlandese del comune è minacciato”, dice. Dilbeek “è un comune fiammingo e va rispettato”.


di Pierpaolo Arzilla