Perché non basta fermare la guerra

giovedì 30 ottobre 2025


Negli ultimi giorni, mentre a Kyiv e nelle capitali europee si intensificano i lavori per definire il quadro giuridico del futuro tribunale internazionale sul crimine di aggressione, il tema della giustizia postbellica è tornato al centro del dibattito politico e diplomatico.

In questo contesto, il 13 ottobre Kaja Kallas, Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza e vicepresidente della Commissione Europea, ha annunciato un finanziamento aggiuntivo di dieci milioni di euro per la creazione di un tribunale speciale per il crimine di aggressione contro l’Ucraina. Già a giugno, il governo ucraino e il Consiglio d’Europa avevano firmato un accordo per istituire questo Tribunale Speciale, che secondo le previsioni dovrebbe essere operativo nel 2026. L’accordo rappresenta un passo concreto verso la possibilità di perseguire i vertici politici e militari responsabili dell’aggressione contro l’Ucraina e costituisce uno sforzo tangibile, condiviso tra Kyiv e gli Stati europei, per prevenire ulteriori violazioni e riaffermare il primato del diritto. Come ha sottolineato il presidente Volodymyr Zelenskyy, l’obiettivo è dimostrare chiaramente che l’aggressione deve comportare punizione e che questa deve essere una responsabilità condivisa da tutta l’Europa.

Per gli ucraini, tuttavia, la giustizia va oltre la semplice fine delle ostilità. Il processo di pace non può prescindere dal perseguire i responsabili delle atrocità commesse dalle forze russe, sulla base delle prove raccolte dall’Ufficio del Procuratore Generale attraverso il Portale dei Crimini di Guerra. A questo lavoro si affiancano le analisi parlamentari, che tracciano una road map per percorsi di giustizia e riconciliazione basati sulla responsabilità, i diritti delle vittime e le riforme istituzionali. Il Commissario per i Diritti Umani della Verkhovna Rada, il parlamento ucraino, continua a monitorare le violazioni e a sostenere la tutela delle vittime.

Attualmente, la legislazione ucraina non consente la doppia cittadinanza. Chi ottiene un passaporto straniero perde automaticamente quella ucraina: un principio che, in tempo di guerra, ha assunto un valore politico e identitario ancora più forte. Tuttavia, la crescita della diaspora e la necessità di contrastare le politiche di “passaportizzazione” imposte dalla Russia nei territori occupati hanno riacceso il dibattito sulla possibilità di introdurre eccezioni controllate e strumenti di tutela per gli ucraini all’estero.

All’inizio del 2025, Zelenskyy ha annunciato una proposta di legge per introdurre la doppia cittadinanza, con l’obiettivo di rafforzare i legami tra lo Stato e le comunità ucraine all’estero. Il progetto prevede di riconoscere formalmente ai cittadini emigrati la possibilità di mantenere il passaporto ucraino anche dopo averne ottenuto un altro, a condizione che ciò non riguardi la Federazione Russa o altri Paesi ostili. La misura mira a proteggere l’identità nazionale e a contrastare la strategia russa di concessione forzata di passaporti nei territori occupati, che viene utilizzata come strumento di controllo politico e sociale. In prospettiva, la riforma punta anche a valorizzare il contributo della diaspora alla ricostruzione postbellica, creando un legame più saldo tra le comunità ucraine nel mondo e il Paese d’origine. Le autorità d’occupazione russe continuano infatti a imporre la cittadinanza russa, accompagnandola a deportazioni, revoche di cittadinanza e coscrizioni forzate, violando apertamente il diritto umanitario.

Mentre i colloqui di pace e gli sforzi diplomatici cercano di aprire spiragli per una tregua o scambi di prigionieri, gran parte della popolazione ucraina resta scettica verso qualsiasi accordo che non si fondi esplicitamente sulla giustizia e sul pieno ripristino della sovranità nazionale. I sondaggi indicano che quasi l’80 per cento dei cittadini si oppone a qualsiasi compromesso che riconosca il controllo russo sui territori occupati. L’opinione pubblica chiede processi, riparazioni e il ritorno in sicurezza dei bambini deportati. Secondo il Centro per le Libertà Civili, la giustizia in Ucraina deve includere processi per i responsabili, compensazioni per le vittime e un’azione decisa per il rimpatrio dei minori trasferiti con la forza in Russia.

Pur esistendo un consenso diffuso sull’importanza della responsabilità, restano aperti i dibattiti su come reintegrare i territori liberati, bilanciando esigenze di riconciliazione e necessità di punizione. Anche un eventuale cessate il fuoco, se non accompagnato da solide garanzie di giustizia e deterrenza, rischierebbe di essere solo una pausa temporanea prima di un nuovo conflitto. L’Ucraina teme che concessioni territoriali possano offrire alla Russia l’opportunità di riorganizzarsi, mentre Mosca teme che una pausa possa consentire a Kyiv di rafforzarsi e riconquistare le aree perdute.

Dal punto di vista ucraino, la giustizia significa perseguire i crimini di guerra, risarcire le vittime, ripristinare i diritti violati e riformare le istituzioni per evitare futuri abusi. Il sistema legale del Paese si evolve in parallelo ai procedimenti già avviati dal Procuratore Generale, che adotta un approccio incentrato sulle vittime e si ispira al diritto umanitario internazionale. Tra le misure più concrete adottate, nel novembre 2024 è entrata in vigore la Legge n. 4067, che prevede risarcimenti urgenti per i sopravvissuti a violenze sessuali legate al conflitto, mentre un Registro Nazionale dei Danni consente ai cittadini e alle imprese di documentare le perdite subite. I tribunali ucraini hanno già emesso oltre cento sentenze per crimini di guerra, inclusi casi di violenza sessuale e saccheggio, dimostrando la capacità del sistema giudiziario di garantire processi equi conformi alle norme internazionali.

Parallelamente, la società civile gioca un ruolo cruciale. Figure come la scrittrice e attivista Victoria Amelina hanno documentato con sensibilità le testimonianze delle donne e la memoria culturale della guerra, trasformandole in un potente strumento di consapevolezza e resistenza. Iniziative locali, piattaforme digitali e programmi di sostegno psicologico contribuiscono a preservare la memoria delle vittime e a dare voce ai sopravvissuti. Organizzazioni non governative come Zmina si impegnano per il ripristino dei diritti e l’inclusione delle persone sfollate o ancora nei territori occupati. Insieme, lo Stato e la società civile stanno costruendo un sistema solido e multilivello per una giustizia completa e duratura.

Qualsiasi possibile progresso diplomatico dovrà però confrontarsi con i vincoli costituzionali e morali dell’Ucraina. La Costituzione, confermata dalla Corte costituzionale nel 2025, vieta qualsiasi concessione territoriale senza il consenso popolare, riaffermando l’inscindibile legame tra sovranità e identità nazionale. Le priorità delineate dal governo pongono giustizia, riconciliazione e ricostruzione sociale come elementi indivisibili del processo di pace. Nel suo piano in dieci punti, Zelenskyy ha ribadito che solo il ripristino della sovranità, l’accertamento dei crimini di guerra, i risarcimenti e garanzie di sicurezza vincolanti potranno garantire una pace autentica e duratura. L’Ucraina lancia così un messaggio chiaro alla comunità internazionale: qualsiasi sostegno alla pace deve essere indissolubilmente legato alla giustizia e alla sovranità, perché solo su queste basi potrà fondarsi un futuro stabile.

(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza


di Renato Caputo (*)