Geolocalizzare l’Europa: dove e chi siamo noi?

giovedì 30 ottobre 2025


Su tutti i tavoli della geopolitica mondiale, fa bella mostra di sé la chaise vide dell’Europa. E questo non perché lo voglia davvero Bruxelles, imprigionata com’è dai suoi trattati capestro e sempre al ribasso, ma semplicemente perché la forza di un conglomerato di Nazioni come il nostro, che solo sulla carta risulta il più ricco del mondo, risiede nella sua coesione federativa (vedi Russia e Stati Uniti), che oggi è totalmente mancante. Ed è proprio per recuperare quest’ultimo aspetto che occorre mettere a fattor comune le politiche di difesa, esteri e bilancio, fiscalità compresa, gestite da un Governo dell’Unione (in grado, pertanto, di confrontarsi alla pari con gli altri player globali, come Usa, Cina, India e Russia), e decise da un Parlamento federale democraticamente eletto. Oggi, con il ritorno in campo delle politiche di potenza e il prevalere in assoluto delle leadership rispetto al parlamentarismo, si assiste a un irreversibile switch da un mondo multilaterale (fondato sullo Stato di diritto e sulla mediazione dei conflitti in seno alle Nazioni unite), al suo opposto del multipolarismo, dove a comandare sono i grandi imperi di ritorno, russo, cinese e americano, con un contorno magmatico di altre potenze intermedie che aspirano al ruolo di ago della bilancia. Quindi, si torna indietro guardando avanti, visto che la Storia, in termini classici, è quella del conflitto permanente (con momenti di pausa) tra Stati, da quando questi ultimi sono nati. Ciascuno con un popolo; un sovrano (che ricomprende nel concetto la moneta e la politica estera); un territorio; una lingua e un’identità nazionale (etnico-religiosa, e così via).

Per i Paesi e continenti più poveri vale la forza dei grandi numeri, che si concretizza nelle incontenibili e devastanti migrazioni di massa, equivalenti a una guerra silenziosa planetaria per la supremazia genetica. La confrontation globale, al di fuori dell’artificiale pax americana, riprende così quota e si riconosce nelle sue forme di sempre, in cui il conflitto odierno è di tipo multilivello: economico, militare, commerciale. E in tutti questi aspetti sono oggi i super Stati ad agire per la relativa e complessiva supremazia, perché non basta prevalere in uno solo dei campi citati, come ancora si illude di poter far l’Europa, gigante economico e nano politico. Allora, quando la scelta prioritaria è la forza, come quella fatta dalla Russia di Vladimir Putin con l’invasione dell’Ucraina, è chiaro che lo scontro rischia in ogni momento di coinvolgere, come un perverso domino, le altre potenze mondiali. E questo vale anche per quelli che all’apparenza possono venir classificati come conflitti locali o regionali, sul modello della guerra israelo-palestinese, in cui proprio la superpotenza di tutela del più forte in assoluto dei contendenti (ovvero, Israele) è riuscita, con l’evidente, preziosa neutralità di Russia e Cina, a mettere fine alle ostilità. E si spera definitivamente, con il coinvolgimento (finalmente, verrebbe da dire) della componente araba. C’è da notare che, per entrambi conflitti, il ruolo dell’Europa è stato, in un certo senso, tragicomico. Sul versante ucraino, infatti, stritolata dal dialogo diretto e sincopato (tipo: m’ama-non-m’ama, o del gioco dello yoyo) tra Putin e Donald Trump, l’Europa si è rassegnata come un vassallo fedele a pagare i conti per sostenere lo sforzo bellico di Volodymyr Zelensky.

E lo ha fatto ben sapendo che non finirà bene questa guerra per proxy (in merito,  Kiev ha sempre detto, senza mezzi termini, che con il suo sacrificio stava garantendo la sicurezza dell’Europa), perché se il duo Trump-Putin dovesse un giorno accordarsi definitivamente sul dare-avere per l’interruzione delle ostilità, tutto ciò avverrebbe di sicuro a spese dell’integrità territoriale dell’Ucraina. E qui, storicamente, ci sarà per noi da pagare un conto salato, per aver gridato cento volte vittoria, del tipo: la Russia è rovinata economicamente dalle sanzioni occidentali; l’esercito russo sta perdendo la guerra; e altre amenità del genere, sempre molto pericolose per chi poi muore e combatte, nell’illusione di un’improbabile vittoria. Fin da ora, quindi, sarebbe bene che le nostre cancellerie facessero un bagno di realtà e trattassero con Mosca sulla base di un cinico principio di realtà, senza farci più illusioni su quanto siamo buoni noi! A Gaza, poi, abbiamo fatto ancora peggio. Ora che la tregua è in atto, faremmo bene a considerare che tra i “27” esistono Paesi membri (l’Italia in primis) che, avendo ottimi rapporti sia sul versante arabo-musulmano, che su quello Usa-Israele, potrebbero benissimo mettere in campo un robusto contingente di polizia militare e di protezione civile. E quest’ultimo aspetto lo dimentichiamo sempre, malgrado che l’Italia sia la meglio attrezzata di tutti per il soccorso alle popolazioni colpite da calamità naturali, dato che i terremoti fanno danni del tutto simili a quelli delle bombe israeliane che hanno raso al suolo Gaza. Eppure, ancora una volta, ci troviamo fuori dai tavoli della pace e della guerra, dato che in tema di difesa e di armamenti siamo i paria delle superpotenze, che non si sognerebbero mai di coinvolgerci nei loro discorsi sulla spartizione del mondo. Ben ci sta, così prima o poi impareremo la lezione che il dirittismo è solo un alibi per evitare dolorosissime scelte di campo e le conseguenti iniziative di riarmo.

Ora, come osserva Le Figaro, è proprio il ritorno di questa geopolitica brutale (fatti e non più chiacchiere!) che impone all’Europa irenista di riarmarsi se vuole in futuro, tra un paio di decenni, contare qualcosa. Per inciso: le capitali europee hanno già perso, senza mezzi termini, la grande sfida digitale che oggi si svolge sull’Ia, l’Intelligenza artificiale, avendo il vizio compulsivo di regolamentare l’innovazione planetaria altrui, senza aver mai compreso (e lo dovevamo fare già 20 anni fa, come ha fatto Pechino) che bisognava investire enormi risorse umane, scientifiche e finanziarie per sviluppare una Google (Internet) europea. Dotandoci per di più di social alla TikTok, che oggi ci massacrano con la loro estrazione di dati da tutte le fonti (fatte di centinaia di milioni di persone e altri soggetti residenti nel Vecchio continente) possibili e immaginabili, anche dal punto di vista della cyber security e delle guerre ibride. Allo stato dei fatti, a che cosa è servito, cara Europa, far finta che non vi fosse più bisogno di armarsi per difendersi da un nemico esterno, disposto a usare la forza contro di noi? E, certamente, questo è potuto accadere perché, in fondo, le due Guerre mondiali altro non sono state che una guerra civile a livello continentale. Il crollo degli imperi europei e del colonialismo ha creato tante piccole patrie e nessuna leadership unica per la loro unione a Ventisette. E non c’è modo di rendere l’Europa attraente a quella coalizione nota come Sud globale, che odia l’Occidente nel suo complesso, e vive la guerra in Ucraina come l’ennesima faida tra europei. Speriamo che l’antipatia di Donald Trump nei nostri confronti ci spinga prima o poi a un gesto d’orgoglio, per riprendere il nostro posto nell’era moderna.


di Maurizio Guaitoli