mercoledì 29 ottobre 2025
La Russia ha annunciato di aver portato a termine il primo test a lunga distanza del Burevestnik, un missile da crociera a propulsione nucleare che, secondo Vladimir Putin, rappresenterebbe una svolta tecnologica senza pari in Occidente. Il presidente russo, apparso in uniforme mimetica in un video diffuso dal Cremlino, ha ascoltato il capo di Stato maggiore Valery Gerasimov descrivere una prova che avrebbe dimostrato la capacità del missile di percorrere 14.000 chilometri in 15 ore, volando a bassa quota per eludere i sistemi difensivi. L’annuncio, oltre a un chiaro messaggio di forza verso l’Occidente in un momento di crescenti tensioni legate alla guerra in Ucraina, potrebbe diventare una carta negoziale futura nei colloqui sul controllo degli armamenti con Washington.
Tuttavia, la pretesa innovazione del Burevestnik sembra meno solida di quanto suggerisca la narrazione del Cremlino. Molti esperti sottolineano infatti come l’arma, pur teoricamente capace di restare in volo per tempi quasi indefiniti grazie al reattore nucleare che ne alimenta la propulsione, si basi su un concetto considerato obsoleto. In un contesto in cui i missili subsonici vengono regolarmente intercettati in Ucraina dai sistemi di difesa moderni, la lentezza del Burevestnik rappresenta un handicap più che un vantaggio, soprattutto mentre le potenze militari stanno virando sui missili ipersonici, molto più veloci e difficili da fermare.
Non solo: il reattore nucleare stesso emetterebbe radiazioni che renderebbero il missile rilevabile da grande distanza, persino dallo spazio. Le esigenze tecnologiche del lancio, poi, aggiungono complessità e fragilità: per raggiungere la velocità necessaria all’attivazione del reattore sono necessari più stadi di propulsione convenzionale, con un’improbabile affidabilità in scenari operativi reali. Gli analisti si chiedono se un simile sistema possa essere prodotto in serie e mantenuto in condizioni di sicurezza accettabili.
Il progetto, d’altra parte, non è nuovo. Già negli anni ‘50 gli Stati Uniti avevano esplorato l’idea della propulsione nucleare applicata a missili da crociera, salvo abbandonarla quando i missili balistici intercontinentali mostrarono di possedere prestazioni decisamente superiori. Anche in Russia i primi studi risalgono allo stesso periodo e non avevano mai superato la fase sperimentale. A rilanciare il concetto fu l’uscita degli Stati Uniti dal Trattato anti-missili balistici nel 2002: Mosca temette allora che le difese americane potessero sbilanciare l’equilibrio nucleare e cercò soluzioni capaci di aggirarle.
Il Burevestnik venne svelato pubblicamente da Putin nel 2018, con un video in computer grafica che mostrava il missile colpire gli Stati Uniti dopo aver evitato le difese passando dal Polo Sud. Ma la distanza tra propaganda e realtà apparve subito evidente. I primi test registrarono voli di pochi minuti, fallimenti ripetuti e perfino un disastro: nel 2019 un’esplosione durante un esperimento nel Mar Bianco uccise cinque scienziati nucleari, evento che molti collegarono direttamente al programma. L’arma è dunque costata a Mosca non solo risorse ingenti ma anche vite umane, senza garantire l’affidabilità vantata.
Sul piano strategico, gli stessi analisti che ne riconoscono la potenziale imprevedibilità nella traiettoria ritengono che il Burevestnik abbia soprattutto un valore politico. Sarebbe infatti progettato come arma di seconda risposta, da utilizzare in rappresaglia a un attacco nucleare contro la Russia, ma in uno scenario di conflitto nucleare le sue rampe di lancio sarebbero con ogni probabilità distrutte immediatamente. Inoltre, la superiorità che Mosca sostiene di poter ottenere eludendo le difese americane potrebbe rivelarsi illusoria, dato che la tecnologia stessa del missile lo renderebbe vulnerabile e facilmente localizzabile prima ancora di partire.
La Russia ha comunque continuato a investire nella ricerca di tecnologie “rivoluzionarie”. Il recente test russo potrebbe perciò essere interpretato come un ulteriore tassello della pressione diplomatica esercitata da Putin nei confronti degli Stati Uniti. Il clima, segnato dalla guerra in Ucraina e dalla sospensione di vari canali di dialogo strategico, resta incandescente. Mosca ha interesse a dimostrare di poter reagire a ogni iniziativa occidentale, compreso il rafforzamento delle difese e l’eventuale schieramento di sistemi considerati una minaccia diretta alla propria sicurezza.
L’utilizzo di un reattore nucleare in volo comporta rischi evidenti: un eventuale incidente in fase di lancio o durante il volo diffonderebbe materiale radioattivo con conseguenze non prevedibili. Già dopo l’ultimo test alcuni osservatori hanno monitorato i livelli di radiazioni nel nord Europa, senza rilevare anomalie evidenti, ma senza poter escludere sviluppi nei giorni successivi.
Nel complesso, quindi, il Burevestnik appare come un’arma dal forte impatto propagandistico ma dalla realizzabilità e utilità militare limitate, almeno nelle forme in cui è descritta dal Cremlino. Se da un lato permette a Putin di affermare di possedere sistemi capaci di eludere le difese statunitensi, dall’altro resta un progetto dall’efficienza incerta, costoso e vulnerabile.
In definitiva, dietro i toni trionfalistici del Cremlino, il Burevestnik appare più come un esercizio di propaganda che come un’arma rivoluzionaria. Mosca lo presenta come un prodigio capace di cambiare per sempre il confronto strategico con l’Occidente, ma la realtà racconta tutt’altra storia: un missile lento, complesso, vulnerabile e potenzialmente pericoloso soprattutto per chi lo sviluppa. Mentre Putin promette capacità futuristiche, i test falliscono, i missili finiscono recuperati dal fondo del mare e gli scienziati muoiono in incidenti “misteriosi”. L’arma che dovrebbe dimostrare la potenza tecnologica russa finisce così per sembrare l’ennesimo simbolo di un’epoca che non c’è più: un progetto goffo, insicuro e arretrato, spacciato come avanguardia. Un messaggio al mondo, sì, ma quello non è “temeteci”, bensì “non prendeteci troppo sul serio”.
(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza
di Renato Caputo (*)