martedì 28 ottobre 2025
La propaganda condizionata da posizioni politiche specifiche, definisce la tragedia di Gaza dalle proporzioni assolute. Ma non indugiando sulle cause di tale dramma, che comunque ricade totalmente sul cinismo e la crudeltà del gruppo terroristico di Hamas, tuttora in giuoco, va ricordato che la catastrofe umanitaria dalle proporzioni planetarie è quella che da oltre due anni sta sconvolgendo il Sudan. Almeno 160mila morti, oltre 12 milioni e mezzo di sfollati, secondo osservatori internazionali, in particolare statunitensi, oltre alla dichiarazione di carestia, questa su basi concrete – non come impropriamente attribuita a Gaza – stabilita dal Comitato di revisione della carestia del Darfur.
Ma oggi a rendere più lugubre lo scenario sudanese è la crescente intensità degli scontri, spinta da una fornitura continua e sistematica di armamenti dall’esterno. Ricordo che dal 2004 è in vigore l’embargo sulle armi in Sudan, specificatamente nel Darfur, ma che viene violato continuamente. I due contendenti, il generale Abdel Fattah Abdelrahman Al-Burhan a capo dell’esercito regolare e il generale Mohammed Hamdan Dagalo, detto Hemetti, che guida il gruppo paramilitare Rsf, Rapid support forces, si stanno scontrando in una sanguinosa guerra civile che sta sconvolgendo il Paese dall’aprile 2023, ambedue fanno affidamento per la fornitura di armi e mercenari su una potente rete di Stati stranieri.
Tuttavia, anche se l’embargo sulle armi, espressione Nazioni unite, è ignorato completamente a livello internazionale, una criticità la dimostra la stessa sanzione in quanto limitata esclusivamente alla regione del Darfur. Così la sanzione di embargo agli armamenti, motivata allo scopo di porre fine alla fornitura di armi, munizioni, supporto finanziario e logistico alle parti in conflitto, si è rivelata inappropriata, demagogica e obsoleta in quanto se fosse osservata agirebbe esclusivamente su una regione specifica e non su tutto il Sudan. Tanto è che la stessa commissione di inchiesta delle Nazioni unite ha dichiarato che circoscrivere esclusivamente al Darfur questo embargo non ha senso in un contesto dove il conflitto interessa la maggior parte degli Stati federali del Sudan. Tale osservazione è stata condivisa ufficialmente dall’organizzazione Human rights watch. L’ennesimo fallimento dei programmi della “comunità internazionale” che invece ha condotto interessi internazionali ad armare il Sudan, dando ai belligeranti, nel tempo, un netto miglioramento dei propri armamenti.
In pratica, dal 21 al 23 ottobre ci sono stati pesanti attacchi con droni contro l’aeroporto di Khartoum, ripreso dall’esercito regolare a primavera alle Rsf, e nelle aree circostanti. Questa azione conferma ancora una volta la crescente potenza dei mezzi militari a disposizione dei due belligeranti e la capacità di colpire le basi avversarie anche da grandi distanze. I droni lanciati dal potente gruppo paramilitare delle Rsf, che sta controllando varie regioni del Darfur, risulta che siano partiti dall’aeroporto di Nyala capitale del Darfur meridionale, ubicata ad almeno mille chilometri a sud-ovest di Khartoum. Questo aeroporto è la base principale per il lancio di droni a lungo raggio verso Khartoum. Ma chi sono i fornitori di questi sofisticati armamenti al Sudan? La risposta va trovata nelle alleanze internazionali che si sono create a sostegno dei due belligeranti. In pratica, gli Emirati arabi uniti che hanno affiancato sin dal 2023 le forze ribelli delle Fsr, sono coloro che stanno approvvigionando i droni, nonostante le ripetute smentite di Abu Dhabi. Varie indagini, fonte Nazioni unite, hanno individuato l'aeroporto di Amdjarass, nel Ciad orientale, come base di transito di armamenti ed equipaggiamenti medici, dagli Emirati arabi uniti al Sudan, in particolare al Darfur.
Inoltre, gli Emirati si stanno specializzando con imprese proprie all’assemblaggio e costruzione di droni tattici supportati dal migliore know-how sul mercato, commerciandoli con le Rsf, alzando il livello del conflitto. Ma come di prassi il mercato di armi oltre che essere fiorente ovunque, è anche articolato, infatti una tipologia di drone da combattimento utilizza proiettili termobarici prodotti da un’azienda serba, la Yugoimport, che risulta avere fornito tali ordigni agli Emirati arabi uniti già nel 2020. Ma le Rsf sono dotate anche di munizioni per mortai e jammer per droni cinesi, anch’essi importati in violazione del regime sanzionatorio.Ricordo che il Sudan è ricco di diffuse miniere d’oro e metalli preziosi, con i quali compra armi.
Comunque, un portavoce dell’esercito regolare di Khartoum ha affermato che la maggior parte dei droni sono stati intercettati. A dimostrazione che anche il sistema di difesa ha alzato i parametri di efficacia grazie alla fornitura dall’estero di strumenti adeguati. Circa le Nazioni che possono dare supporto l’esercito del governo golpista di Al-Burhan, vanno lette in una serie di trasversalità e occasionali legami. Comunque, restringendo e semplificando la questione, l’Iran fornisce droni marca Ppehpad Mohajer-6, ma anche droni turchi vengono utilizzati dall’esercito regolare. Legami solidi sono anche con l’Egitto e la Russia. La merce di scambio è comunque l’oro, e metalli preziosi, ma la vittima sacrificale è sempre la popolazione, che paga, oltre alle decine di migliaia di morti, stupri di massa utilizzati come arma sociale, e milioni di sfollati, anche oltre 30 milioni di persone che necessitano di urgente assistenza umanitaria.
Tutto ciò ha ridotto il Sudan a rappresentare la più grande crisi umanitaria del mondo. Ma la propaganda politica di parte la ignora, così assistiamo ancora a manifestazioni pro-Pal, ormai non è ben chiaro per quale motivo, quando sarebbe più umanitariamente giusto dare attenzione con espressioni costruttive magari alla questione sudanese con azioni pro-Sudan, area geografica decisamente gravata da criticità maggiori rispetto a Gaza.
di Fabio Marco Fabbri