giovedì 23 ottobre 2025
Il Pakistan è travolto da una crisi sempre più profonda di intolleranza religiosa e persecuzione sistematica. Quest’anno si è assistito a un’inquietante ondata di violenza, di discriminazione e a un preoccupante aumento della complicità istituzionale. Le comunità cristiana, ahmadi e indù sono state particolarmente prese di mira. Nonostante i ripetuti appelli alla riforma e la condanna internazionale, l’incapacità del Pakistan di proteggere i suoi cittadini più vulnerabili ha lasciato una scia di vite distrutte, luoghi di culto profanati e una società sempre più dilaniata dall’odio.
Da anni il Pakistan reprime duramente le proprie minoranze, i dissidenti politici, i difensori dei diritti umani e i giornalisti, anche a livello transnazionale. Ciononostante, il Pakistan continua a godere dei vantaggi offerti dal regime speciale di incentivazione dell’Unione europea nell’ambito del Sistema di preferenze generalizzate (Spg+). La contraddizione è stata evidenziata ancora una volta alle Nazioni unite. Nell’ambito della 60ª sessione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite (Unhrc), l’Ong internazionale Cap freedom of conscience ha collaborato con il portale d’informazione Eu Today organizzando un evento collaterale il 1 ottobre scorso. Tale iniziativa ha esortato l’Ue a riesaminare lo status Gsp+ del Pakistan alla luce delle violazioni dei diritti umani perpetrate da tempo dallo Stato asiatico.
Durante l’evento è stato anche proiettato un documentario sull’argomento, che includeva dichiarazioni di numerosi membri del Parlamento europeo. Gli organizzatori speravano evidentemente di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla crisi dei diritti umani in corso in Pakistan. Alla sessione dell’Unhrc, hanno partecipato diversi legislatori dell’Ue e membri della Commissione europea. In precedenza, il 30 settembre, il difensore dei diritti umani baluchi Joshua George Bowes aveva espresso forti preoccupazioni riguardo all’incapacità del Pakistan di rispettare i propri obblighi internazionali in materia di diritti umani, pur continuando a beneficiare dello status commerciale Gsp+ dell’Ue.
Citando il Rapporto annuale sulla libertà di stampa in Asia meridionale per il 2024-2025, della Federazione internazionale dei giornalisti, Bowes ha sottolineato che i giornalisti pakistani hanno subito 34 gravi violazioni della libertà di stampa, tra cui sette omicidi mirati e otto aggressioni non mortali, che collocano il Pakistan al 158° posto nell’Indice mondiale della libertà di stampa. Secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti, tra il 1992 e il 2025, almeno 68 giornalisti sono stati uccisi in Pakistan. Un esempio recente è l’omicidio di Imtiaz Mir, un giornalista ucciso a colpi d’arma da fuoco a Karachi il mese scorso. Mir, conduttore del canale televisivo Metro 1 News, stava tornando a casa su un’auto guidata dal fratello maggiore quando sei persone sospette a bordo di due motociclette hanno aperto il fuoco contro il loro veicolo. Il 2 ottobre, la polizia di Islamabad ha fatto irruzione al National Press Club, aggredendo diversi giornalisti. I filmati condivisi sui social media e dagli organi di stampa mostrano la polizia che malmena e spintona i giornalisti presenti all’interno del club.
Gli attacchi violenti fanno parte dell’assedio più ampio a cui vengono sottoposti i giornalisti pakistani. Questi ultimi sono sempre più spesso vittime di repressioni, sparizioni forzate, divieti di viaggio, congelamento di conti bancari, licenziamenti ed esilio per aver sfidato le strutture di potere ben radicate nel Paese. La giornalista e conduttrice televisiva Samina Pasha, ad esempio, ha dichiarato che il suo conto bancario è stato congelato su ordine della National cyber crime investigation agency (Nccia), l’Agenzia nazionale per le indagini sui crimini informatici, e ha definito l’accaduto parte di un crescente tentativo di mettere a tacere i giornalisti indipendenti.
In Pakistan, i giornalisti (e persino i familiari di quelli in esilio) sono soggetti a sparizioni forzate. Il giornalista Asif Karim Khehtran e i fratelli del giornalista pakistano in esilio negli Stati Uniti Ahmad Noorani sono stati rapiti nel marzo 2025 e risultano ancora dispersi. Anche i canali YouTube dei giornalisti sono presi di mira su larga scala. L’8 luglio, su richiesta della Nccia, un tribunale di Islamabad ha ordinato il blocco di 27 canali YouTube ai sensi del Prevention of Electronic Crimes Act, la legge sulla prevenzione dei crimini elettronici, accusandoli di diffondere contenuti “anti-Pakistan”.
Bowes ha anche richiamato l’attenzione su un rapporto del 2025 della Commissione statunitense per la Libertà religiosa internazionale, che ha documentato che nel 2025 più di 700 persone sono state incarcerate con l’accusa di “blasfemia”. Tale cifra indica un aumento del 300 per cento rispetto all’anno precedente. Bowes ha inoltre fatto riferimento al monitoraggio dei diritti umani da parte del Paank, il Dipartimento per i diritti umani del movimento nazionale beluci, che ha documentato 785 sparizioni forzate e 121 esecuzioni extragiudiziali solo nella prima metà del 2025. Il Paank ha fatto un appello diretto al Consiglio europeo: “L’Unione europea è il principale partner commerciale del Pakistan. Il mantenimento dei privilegi commerciali previsti dal sistema Gsp+ deve essere subordinato a reali progressi in materia di diritti umani, non a vuote promesse”. Allo stesso modo, la Pashtun National Jirga ha riferito il mese scorso che più di 4.000 pashtun risultano dispersi.
Il brutale omicidio di Laeeq Cheema, avvenuto il 18 aprile scorso, è un triste simbolo di questa crisi. Cheema era un membro 47enne della comunità ahmadi pakistana, picchiato a morte da una folla di musulmani sunniti fuori da un luogo di culto ahmadi, nel quartiere Saddar di Karachi. La folla, composta secondo quanto riferito da sostenitori del partito islamista Tehreek-e-labbaik Pakistan (Tlp), ha invaso le stradine del quartiere gridando slogan anti-ahmadi e accusando la comunità di violare le severe leggi pakistane contro gli ahmadi. Nonostante l’intervento della polizia, la folla si è ingrossata fino a superare le 600 persone. La morte di Cheema è solo l’ennesima voce nel lungo elenco di episodi di violenza contro la minoranza religiosa ahmadi in Pakistan.
In un altro attacco, il dottor Sheikh Mahmood, eminente gastroenterologo ed epatologo ahmadi, è stato ucciso a colpi di pistola a Sargodha, nel Punjab, il 16 maggio scorso, come riportato da Christian solidarity worldwide. Secondo le prime notizie, Mahmood, medico molto rispettato, era arrivato al Fatima Hospital intorno alle 14:30 per visitare i suoi pazienti, com’era sua abitudine. Mentre camminava lungo il corridoio dell’ospedale, un uomo non identificato che lo attendeva appostato lo ha colpito alle spalle, uccidendolo. L’assassino, brandendo una pistola, si è dato alla fuga. La comunità ahmadi (che conta circa 500mila persone in Pakistan e quasi 10 milioni in tutto il mondo) è da tempo oggetto di una discriminazione sistematica. Sebbene gli Ahmadi si considerino musulmani e condividano credenze pressoché identiche con l’Islam tradizionale, un emendamento del 1974 alla Costituzione pakistana li dichiara comunque non musulmani. Un’ordinanza del 1984 ha criminalizzato molte delle loro pratiche religiose.
Questo quadro giuridico non ha fatto altro che incoraggiare i gruppi estremisti e legittimato la persecuzione. Gli Ahmadi vivono nella paura, spesso nascondendo la propria identità, evitando di praticare il culto in pubblico e subendo la profanazione delle loro tombe e dei loro luoghi di culto. Il 10 maggio scorso, almeno 90 lapidi di musulmani ahmadi sono state profanate nella provincia del Punjab. Le lapidi sono state distrutte e deturpate, con detriti sparsi per il cimitero. Secondo il Dipartimento degli Affari esteri della comunità musulmana ahmadi del Regno Unito, solo nel 2025 sono state vandalizzate 269 tombe di musulmani ahmadi, in 11 attacchi separati, mentre nel 2024, 319 lapidi sono state profanate, in 21 episodi di vandalismo. Questi atti vandalici non sono episodi isolati, ma fanno parte di una più ampia campagna di “pulizia” religiosa, guidata da gruppi islamici radicali come il Tlp e facilitata da un sistema giuridico che criminalizza l’identità ahmadi.
Anche la persecuzione degli indù in Pakistan si è intensificata. Il 17 settembre 2024, il tempio indù Rama Pir nella provincia del Sindh è stato attaccato da terroristi armati che hanno aperto indiscriminatamente il fuoco sui fedeli, ferendo quattro persone. Tali attacchi ai luoghi di culto indù sono allarmanti per la loro frequenza. Il clima di impunità non fa che alimentare una profonda ostilità nei confronti delle minoranze religiose. Sono aumentati anche i casi di conversioni forzate e i matrimoni precoci di ragazze indù e cristiane. Ogni anno in Pakistan, più di mille ragazze cristiane e indù, di età compresa tra i 12 e i 25 anni, vengono rapite, costrette a convertirsi e date in sposa a uomini musulmani. Le donne e i bambini appartenenti a minoranze religiose sono ad alto rischio di rapimento, conversione forzata e matrimonio forzato. La conversione forzata all’Islam non è illegale in Pakistan. Le autorità raramente intraprendono azioni concrete per assicurare i responsabili alla giustizia e la polizia spesso rifiuta di registrare le denunce presentate dalle vittime o dalle loro famiglie.
Inoltre, il traffico di esseri umani, ragazze e donne lungo il corridoio economico Cina-Pakistan, rappresenta un problema enorme. Un rapporto della Brookings Institution afferma: “A compensare tutto ciò c’era il fatto che molte delle vittime appartenevano alla comunità cristiana del Pakistan, meno influenzate dai concetti di onore della società e meno protette perché emarginate. Il fatto che la maggior parte delle vittime apparteneva alla povera ed emarginata comunità cristiana del Pakistan ha purtroppo reso più facile per il Pakistan distogliere l’attenzione dalla questione senza che ciò suscitasse indignazione pubblica”.
Come osservato in un rapporto del 2020 della Coalition for religious equality and inclusive development, gli abusi sessuali mirati ideologicamente sono rivolti specificatamente alle minoranze religiose, sia per motivi di predazione sessuale sia come “conquista” per convertire le ragazze all’Islam. La forte influenza del panorama religioso islamico pakistano è particolarmente discriminatoria nei confronti delle donne e delle ragazze appartenenti a religioni minoritarie. Queste minoranze in Pakistan subiscono un’emarginazione economica e sociale. Sono spesso relegate a lavori umili, private dell’accesso all’istruzione e ai servizi pubblici ed escluse dalla rappresentanza politica. Nelle zone rurali sono frequenti i casi di appropriazione indebita di terreni a danno delle comunità minoritarie, con scarse possibilità di intraprendere azioni legali. Le donne di queste comunità subiscono una discriminazione aggravata. I tassi di alfabetizzazione sono decisamente inferiori sia alla media nazionale che a quelli degli uomini all’interno delle loro stesse comunità.
La Commissione per i diritti umani del Pakistan (Hrcp) ha più volte lanciato l’allarme sul deterioramento della libertà religiosa nel Paese e ha chiesto il rilascio di coloro che sono incarcerati ai sensi dell’articolo 298-c del Codice penale pakistano, una disposizione che criminalizza gli Ahmadi per essersi identificati come musulmani o per aver predicato la loro fede. Il rapporto dell’hrcp “Strade della Paura: libertà di religione o credo nel 2024-2025”, descrive dettagliatamente gli episodi di violenza di massa e le esecuzioni extragiudiziali. Le feroci leggi pakistane sulla blasfemia continuano a prendere di mira le minoranze religiose. Il rapporto dell’hrcp documenta che sempre più spesso gli individui appartenenti a minoranze accusati di blasfemia vengono linciati dalla folla o uccisi mentre cercano protezione dalla polizia. In due casi distinti, alcuni individui sono stati giustiziati arbitrariamente dalle forze dell’ordine, evidenziando l’urgente necessità di una riforma del sistema giudiziario e di quello di polizia pakistani. L’aumento dei discorsi d’odio, le minacce contro i giudici e la politicizzazione degli ordini degli avvocati non fanno che alimentare una pericolosa tendenza al radicalismo islamico all’interno delle istituzioni statali.
L’episodio di Jaranwala, in cui i musulmani hanno distrutto almeno 24 chiese e costretto centinaia di cristiani a sfollare nell’agosto 2023, è solo un esempio della violenza derivante dalle leggi sulla blasfemia. L’uso della legge sulla blasfemia per colpire cristiani, indù e minoranze musulmane come gli Ahmadi è in continuo aumento. I cristiani sono vittime di circa un quarto di tutte le accuse di blasfemia, nonostante rappresentino meno del 2 per cento della popolazione. I rivali in affari musulmani accusano i cristiani di blasfemia come mezzo per distruggere la loro attività e la loro reputazione. Inoltre, i cristiani, gli indù e le persone appartenenti ad altre comunità minoritarie ricoprono in genere lavori di basso livello e sono stati definiti “chura”, un termine dispregiativo che significa “sporco” o faticoso, riservato agli spazzini e agli addetti alla pulizia delle fogne.
I cristiani in Pakistan soffrono a causa della precaria situazione di sicurezza, dell’elevato livello di violenza e della mancanza di canali efficaci per cercare protezione. La polizia sembra più interessata ad assecondare gli uomini forti islamici locali e a mantenere la calma che ad applicare la legge e proteggere le minoranze. Nell’ottobre del 2024, durante una celebrazione del Diwali a Lahore, il primo ministro del Punjab Maryam Nawaz Sharif ha riconosciuto la gravità della situazione. Ha esortato i cittadini a riconoscere la responsabilità collettiva di proteggere le minoranze e ha sottolineato che il rispetto della diversità religiosa è fondamentale per l’integrità del Pakistan. Tali dichiarazioni sono lodevoli ma rare. Senza azioni politiche concrete e responsabilità, rimangono inefficaci e insufficienti.
La Repubblica islamica del Pakistan è ufficialmente uno Stato musulmano sin dalla sua indipendenza avvenuta nel 1947. La composizione demografica del Paese evidenzia la dolorosa condizione delle sue minoranze. Con una popolazione di circa 251,9 milioni di abitanti, i musulmani costituiscono il 97 per cento. Gli indù e i cristiani rappresentano ciascuno solo l’1,6 per cento. Gli Ahmadi rappresentano solo lo 0,2 per cento. Queste comunità sono troppo piccole per rappresentare una minaccia per la maggioranza, eppure subiscono una persecuzione incessante. Le leggi pakistane sulla blasfemia sono tra le più severe al mondo. Prevedono la pena di morte obbligatoria per chi oltraggia il Profeta Maometto e la reclusione per gli Ahmadi che “si spacciano per musulmani”. Queste leggi spesso diventano armi con cui regolare conti personali e incitare alla violenza intercomunitaria.
Secondo l’organizzazione per i diritti umani Open Doors/Porte Aperte, tutti i cristiani in Pakistan subiscono una discriminazione istituzionalizzata. Le autorità riservano ai cristiani impieghi o lavori considerati umili e faticosi, come si può vedere dagli annunci di lavoro. Molti cristiani sono poveri e vittime di lavoro forzato, attraverso il quale sono costretti a convertirsi all’Islam o se femmine vengono date in sposa da bambine dai loro datori di lavoro. Le ragazze cristiane in situazioni di lavoro forzato sono più vulnerabili alla detenzione illegale da parte dei loro datori di lavoro.
Open Doors/Porte Aperte rileva: “Il Pakistan ospita decine di gruppi islamici radicali. Sempre più spesso, gli organi consultivi del governo sono composti interamente da studiosi islamici che influenzano le leggi. Migliaia di madrasse operano senza alcun controllo da parte del Governo su come vengono finanziate o su cosa insegnano. Chiunque invochi una riforma delle leggi sulla blasfemia viene apertamente minacciato dai radicali che ritengono che gli ‘infedeli’ meritino la morte. I gruppi radicali messi al bando spesso non si sciolgono, ma cambiano nome, sono online o si fondono con un gruppo esistente. I sentimenti di insofferenza religiosa e la conseguente violenza di massa vengono facilmente fomentati e prendono di mira le minoranze religiose, in particolare i cristiani, come dimostrato dalla violenza dell’agosto 2023 a Jaranwala. Il Pakistan soffre di frammentazione etnica. La provincia del Belucistan e le regioni centrali del Sindh sono considerate fuori dalla portata delle autorità statali. Le minoranze religiose vengono ritenute impure, sia per motivi religiosi sia perché non appartengono ai gruppi etnici dominanti”.
Anche il Center for the study of organized hate, un think tank con sede a Washington DC, ha documentato l’impatto devastante delle accuse di blasfemia e della violenza di massa sulle minoranze religiose del Pakistan. Il suo rapporto evidenzia l’aumento degli attacchi contro i cristiani in Punjab nel 2023 e nel 2024 e i continui attacchi agli Ahmadi quest’anno. Secondo l’organizzazione, la comunità ahmadi ha subito sei omicidi a sfondo religioso nel 2024 e altri tre nella prima metà del 2025. Questo modello di violenza è al contempo persistente e in aumento.
La comunità internazionale ha espresso crescente preoccupazione per l’incapacità del Pakistan di proteggere le sue minoranze. Le Nazioni unite e diversi Paesi hanno criticato l’inerzia del governo e chiesto riforme urgenti. Tuttavia, non si intravedono cambiamenti significativi all’orizzonte. L’Hrcp ha esortato l’istituzione di una commissione d’inchiesta indipendente basata sui risultati della Commissione nazionale per i diritti umani, in particolare per quanto riguarda l’irretimento nei casi di blasfemia. Una commissione di questo tipo potrebbe rappresentare un passo fondamentale verso la giustizia, ma solo se opererà in modo indipendente e avrà il potere di assicurare i responsabili alla giustizia.
È necessario affrontare seriamente la complicità dello Stato pakistano nella persecuzione continua di indù, cristiani, Ahmadi, musulmani sciiti e Sikh del Paese, nonché dei giornalisti critici, complicità espletata attraverso il silenzio, l’appoggio legale o la partecipazione attiva. Il meccanismo della persecuzione religiosa è diventato letale, con leggi discriminatorie e crimini d’odio incontrollati che trasformano la fede in una fatale responsabilità. L’urgenza di agire non è più una questione di principio, ma per le minoranze religiose è una questione di sopravvivenza. La riforma in Pakistan deve iniziare con l’immediata abrogazione delle leggi che criminalizzano il credo religioso; perseguendo coloro che incitano e compiono atti di violenza e garantendo la piena tutela dei diritti di uguaglianza per ogni cittadino, indipendentemente dalla religione. Le comunità minoritarie vengono perseguitate, cancellate e sepolte sotto il peso dell’odio istituzionalizzato.
L’Unione europea dovrebbe difendere i principi e gli ideali su cui si basa il suo Sistema di preferenze generalizzate. Al momento, sta semplicemente incoraggiando comportamenti intollerabili e mettendo in imbarazzo sé stessa.
(*) Tratto dal Gatestone Institute
(**) Traduzione a cura di Angelita La Spada
di Uzay Bulut (*)