mercoledì 22 ottobre 2025
Valerii Zaluzhnyi, ex comandante in capo delle Forze armate ucraine e oggi ambasciatore dell’Ucraina nel Regno Unito, è una delle figure più autorevoli del panorama strategico europeo. Simbolo di rinnovamento e rigore, rappresenta la voce di un Paese che, pur segnato da anni di guerra, guarda al futuro con lucidità e determinazione. La sua visione della sicurezza continentale è chiara: l’Europa deve imparare a pensarsi come una potenza di difesa, non più come un insieme di Stati che delegano la propria protezione ad alleati esterni. L’Eastern Flank Institute, centro di ricerca polacco dedicato alle questioni di sicurezza del fianco orientale della Nato, ha recentemente ospitato un confronto con il generale. Nel dialogo con i ricercatori dell’Istituto, egli ha offerto riflessioni di ampio respiro sulle prospettive della sicurezza europea, sottolineando la necessità di una visione strategica comune capace di coniugare responsabilità nazionale, cooperazione industriale e coordinamento transatlantico. A suo giudizio, la principale lezione emersa dal conflitto in corso è che nessuna alleanza può dirsi solida senza una base industriale e tecnologica autonoma. Il coraggio dei soldati è indispensabile, ma nelle guerre moderne a fare la differenza sono la capacità produttiva, la resilienza logistica e la cooperazione tra sistemi industriali. Per troppo tempo il continente ha considerato la sicurezza come un servizio esterno, appaltato agli Stati Uniti.
Oggi si scopre che, senza un proprio sistema industriale della difesa, anche la migliore deterrenza rischia di restare un’illusione. Da questa analisi nasce, secondo il generale, la proposta di una vera “integrazione industriale” tra Ucraina e Unione europea. Non si tratta di forniture occasionali o aiuti emergenziali, ma della costruzione di una catena produttiva comune, in cui Kyiv agisca come laboratorio operativo e tecnologico. L’esperienza maturata sul campo, l’innovazione nei droni, nella guerra elettronica e nei sistemi di ricognizione costituiscono, nella sua visione, un patrimonio capace di completare le competenze europee in termini di capitali, infrastrutture e ingegneria avanzata. L’obiettivo è creare un ecosistema di difesa competitivo, in grado di sostenere un conflitto prolungato e di garantire la stabilità futura. Non si tratta necessariamente di dar vita a una “Nato industriale”, osserva, ma di adottarne la logica: interoperabilità, pianificazione comune, standard condivisi. Oggi, i Paesi europei producono armamenti in piccole serie, con criteri spesso diversi e in concorrenza fra loro. È un modello inefficiente e, in tempi di guerra, pericoloso. L’esperienza ucraina ha mostrato quanto la standardizzazione e la capacità di scala possano salvare vite, mentre la frammentazione le costa. Ai timori occidentali di una crescente dipendenza di Kyiv dall’aiuto esterno, egli risponde con una distinzione netta: la dipendenza nasce solo quando la cooperazione è unilaterale. Se invece diventa una partnership produttiva e strategica, genera interdipendenza. L’obiettivo deve essere dunque quello di inserire l’Ucraina nel sistema europeo non come beneficiaria di armi, ma come co-produttrice di sicurezza. Il tempo, avverte, è ormai una risorsa esaurita.
Ogni mese di ritardo nella crescita produttiva o nella pianificazione comune favorisce la Russia. “La guerra non aspetta i cicli di bilancio o le elezioni”, ammonisce, ricordando che chi vuole la pace deve imparare a lavorare in tempo di guerra, anche quando non combatte direttamente. Tre sono, secondo lui, gli elementi che mancano all’Europa per costruire una difesa autonoma credibile: volontà politica, meccanismi vincolanti e capacità produttiva. Le prime due sono le più difficili da ottenere, perché senza un impegno formale degli Stati membri ogni progetto resta una somma di buone intenzioni. Ma, una volta chiariti gli obiettivi, la capacità industriale può essere sviluppata rapidamente. L’Ucraina, sottolinea, è pronta a offrire un contributo concreto: manodopera qualificata, esperienza tattica e un’elevata propensione all’innovazione.
Guardando oltre il conflitto, immagina per il suo Paese un ruolo centrale nell’architettura di sicurezza europea: un cuore operativo stabile, impegnato nella pianificazione strategica, nella ricerca militare e nella produzione congiunta. La posizione geografica e l’esperienza accumulata rendono l’Ucraina, nella sua prospettiva, un elemento chiave per la costruzione del futuro sistema di difesa del continente. Il messaggio finale rivolto ai leader europei è inequivocabile: la vera scelta non è se sostenere o meno Kyiv, ma se costruire insieme la sicurezza dell’Europa o lasciarla disgregarsi. Le guerre, ricorda, si vincono molto prima che inizino – nelle fabbriche, nei centri di ricerca, nei trattati economici. “L’Europa deve imparare a pensare come una potenza di difesa, non come un’assemblea di interessi”. Una lezione che, se ignorata, potrebbe rivelarsi fatale.
(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza
di Renato Caputo (*)