La legione dei disperati di Mosca

martedì 21 ottobre 2025


Da mesi, sui canali Telegram in arabo, spuntano annunci che promettono cittadinanza russa, denaro, assistenza sanitaria e persino appezzamenti di terra a chi accetta di arruolarsi per un anno e combattere nella cosiddetta “zona di operazioni militari speciali”, cioè la guerra d’aggressione contro l’Ucraina. È la nuova strategia di Mosca per compensare le proprie perdite al fronte e la crescente difficoltà nel reclutare cittadini russi disposti a morire per il Cremlino. Dietro questa campagna di reclutamento si muove una rete di intermediari, agenzie e broker che operano apertamente online, promettendo un futuro migliore a uomini provenienti da Paesi in crisi economica come Giordania, Egitto, Algeria, Iraq o Yemen. Le offerte, spesso pubblicate in arabo, garantiscono bonus alla firma fino a 1,5 milioni di rubli — circa 17mila dollari — e stipendi mensili di 2.500-3.500 dollari, cifre impensabili nei loro Paesi d’origine. A questi si aggiungono la promessa immediata della cittadinanza russa e benefit per le famiglie in caso di ferimento o morte. Le reclute vengono convinte a firmare contratti militari di 17 pagine con il Ministero della Difesa russo, spesso senza traduzioni ufficiali e senza la possibilità di comprendere cosa stiano realmente accettando.

Una volta in Russia, dopo un addestramento di poche settimane e brevi lezioni di lingua, vengono spediti direttamente al fronte in Ucraina. Le loro aspettative di svolgere mansioni di supporto — come autisti o cuochi — si infrangono immediatamente contro la realtà di una guerra brutale, dove vengono utilizzati come carne da cannone. “Gli hanno promesso un lavoro sicuro, ma lo hanno mandato al fronte. Lì vengono trattati come bestiame”, ha denunciato Lamees Hammad, moglie di una delle reclute giordane, in un appello al governo del suo Paese. Le sue parole descrivono un sistema che sfrutta la disperazione per alimentare la guerra russa in Ucraina, trasformando uomini senza prospettive in carne da cannone. Secondo stime indipendenti, i combattenti stranieri nelle file russe sarebbero oggi decine di migliaia. Si calcola che solo dall’Iraq siano partiti circa duemila uomini, mentre altri arrivano da Paesi come Nepal, Pakistan, India, Sri Lanka e Siria. Tuttavia, diverse nazionalità — tra cui afghani e cubani — non sono più accettate, ufficialmente per “motivi di sicurezza”.

Il reclutamento è alimentato da canali Telegram come “amico della Russia”, gestito da una donna russa, Polina Alexandrovna, che si presenta come intermediaria per il Ministero della Difesa. Il suo canale conta più di 22mila iscritti e pubblica quotidianamente foto e video che glorificano l’esercito russo e le sue presunte “vittorie” in Ucraina. In altre immagini, Alexandrovna posa sorridente con le reclute appena sbarcate a Mosca o mostra soldati stranieri che brandiscono i loro nuovi passaporti russi come trofei. In realtà, dietro la propaganda, si cela un sistema che sfrutta la disperazione di uomini impoveriti, attratti da promesse irrealistiche e vincolati da contratti che non possono rescindere senza pagare somme esorbitanti. L’intera operazione risponde a un problema strutturale: la Russia fatica a sostenere la propria macchina bellica. Dopo oltre tre anni di guerra e centinaia di migliaia di perdite, il Cremlino deve ormai pescare risorse umane al di fuori dei propri confini. L’introduzione di incentivi economici e della cittadinanza immediata per i combattenti stranieri è un segnale evidente della difficoltà nel mantenere il livello di mobilitazione necessario per continuare l’aggressione contro Kyiv. Mentre Mosca tenta di presentare queste reclute come volontari mossi da ideali di “fratellanza” o “lotta contro il nazismo”, la realtà è quella di un reclutamento su base economica, condotto nei contesti più vulnerabili del pianeta. Per molti, la guerra russa in Ucraina è diventata un business: agenzie, broker e mediatori guadagnano sulle vite di uomini che non conoscono la lingua, non comprendono i contratti e non hanno reale possibilità di sottrarsi una volta arrivati sul suolo russo.

Se in passato la Russia si vantava della propria forza militare e del patriottismo dei suoi soldati, oggi è costretta a cercare combattenti tra i poveri del mondo. L’immagine che ne emerge è quella di un esercito in crisi, costretto a comprare la lealtà di mercenari stranieri per continuare una guerra che molti russi non vogliono più combattere. In questa corsa disperata al reclutamento, Telegram è diventato il principale campo di battaglia propagandistico: canali gestiti da intermediari in arabo o in inglese diffondono offerte, rispondono a domande sui visti e forniscono istruzioni su come entrare in Russia. Dietro ogni messaggio, tuttavia, si nasconde la stessa realtà: chi accetta di arruolarsi per Mosca non trova la “nuova patria” promessa, ma un biglietto di sola andata verso la linea del fronte ucraino. La guerra contro Kyiv, iniziata come un progetto di conquista rapida, si è trasformata per il Cremlino in una trappola che consuma risorse e uomini. E ora, nel tentativo di mantenerla in vita, la Russia si affida sempre più a una legione straniera costruita sulla disperazione e sulla propaganda.

(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza


di Renato Caputo (*)