Lo Stato (unico) di Palestina

venerdì 17 ottobre 2025


Due son troppi

Ricordate gli slogan recenti delle piazze mondiali pro-Pal, del tipo: “Palestina libera! Hamas e Netanyahu in galera!” (a fronte di “Bona sentenza” della Corte penale internazionale, o Cpi); “Dal Fiume al Mare!”; “Il 7 Ottobre fu solo Resistenza!”? Tutto inutile e superato, a quanto pare, dopo il mega-vertice di Sharm el-Sheikh in cui Hamas ha dovuto promettere con una stretta di mano a Jared Kushner e Steve Witkoff, emissari del presidente Usa, che avrebbe rispettato il piano Donald Trump-Tony Blair in 20 punti. Per la prima fase ci siamo quasi, ma la seconda, quella del disarmo della stessa Hamas e la formazione dell’Isf (International security force) per le forze di interposizione, serviranno ulteriori pressioni (e minacce) sui terroristi da parte del conglomerato “Stati arabo-musulmani e Usa”. Comunque, pare davvero questo un momento d’oro per una pacificazione dell’area mediorientale, considerato che né Cina, né Russia si sognano di sostenere ormai Hamas. E questo, anche grazie a precedenti conflitti assai spiacevoli contro i fondamentalisti, che hanno riguardato le due massime potenze asiatiche. Vedi la guerra in Cecenia nel caso russo, o la politica segregazionista cinese contro gli Uiguri musulmani. Questi ultimi, com’è noto, deportati, lagerizzati e privati di non pochi diritti civili, ma difesi da nessuna manifestazione di protesta in Occidente. Condizione, quella degli Uiguri, che risulta incomparabilmente peggiore (dal punto di vista dei diritti umani e di quello internazionale) del così detto genocidio israeliano a Gaza, in cui fino a ieri si è combattuta una vera e propria guerra.

Certo, è da almeno 20 secoli che dalle parti del Medio Oriente ci si confronta, più o meno armati, con la differenza che intercorre tra diritto divino (Torah, Corano, Vangelo), rispetto a quello dello Stato (romano) e alla ragione dei lumi, in cui dal 600 dopo Cristo l’Islam non fa differenza tra Stato e Chiesa. Da allora, però, ebrei e musulmani rivendicano un diritto divino sulla stessa terra, che per gli uni è sacro suolo dell’Islam, e per gli altri la Terra promessa, grazie al patto stabilito tra Dio e il popolo ebraico. A detta dei sionisti puri e duri, senza l’immigrazione ebraica, che data dagli ultimi decenni del XIX secolo, la regione della Palestina sarebbe rimasta in buona sostanza un’area tribale, con bellissime tradizioni agricole pastorali e di solidarietà tra i membri della comunità, devoti a Dio ma, per carattere, ostili al modernismo e alla parità dei diritti, essendo una società patriarcale con netta separazione dei ruoli tra maschile e femminile. Nella Palestina del Sette-Ottocento, sostengono i suoi detrattori, non si sarebbe potuta sviluppare nessuna industrializzazione, in cui il profitto è posto davanti a ogni altro valore, sociale e religioso. Per gli ebrei fondamentalisti non può esistere uno “Stato di Palestina”, a meno che Israele non decida di suicidarsi, espellendo i coloni ebrei della Cisgiordania, come fece nel 2005 con quelli di Gaza. Altrimenti, allo stato dei fatti, in cui gli insediamenti ebraici e i villaggi palestinesi si alternano e si giustappongono a macchia di leopardo, per costruire una qualsiasi entità palestinese occorrerebbe un pazzesco lavoro di cucitura che colleghi e bypassi le macchie di diverso colore. Quindi, a oggi, le zone di pertinenza dello Stato di Palestina, così come dettagliate nella Risoluzione Onu 181/47, sarebbero obiettivamente del tutto inesigibili nella loro integrità.

Allora, a quanto pare, l’unica via d’uscita, già postulata nella seconda parte della Risoluzione 181/47, consisterebbe una soluzione federativa, tipo: “un solo Stato per due popoli”, che oggi potrebbe essere attualizzata sul modello svizzero, unendo in un’unica confederazione i “tre cantoni” di Giordania, Israele, Palestina, con due lingue e tre governi distinti, la cui capitale sarebbe Gerusalemme, come accade con Bruxelles, capitale del Belgio e sede delle istituzioni Ue. Ma, oggi, c’è molto di più per spingere a rigettare la “Soluzione dei due Stati”, e la ragione viene proprio dalle osannate piazze planetarie pro-Pal che invocano una sola Palestina “dal Fiume al Mare”, da prendere alla lettera, fatta salva l’inguaribile ignoranza di chi la pronuncia, vista l’ambiguità della sua doppia interpretazione che, da un lato, propende per il genocidio (o quanto meno, l’espulsione in massa) di tutti gli ebrei presenti nella regione; mentre dall’altro potrebbe proprio significare il suo esatto opposto, in cui due popoli si ritrovano sotto lo stesso tetto di un’unica Nazione, con gli stessi diritti e doveri. Se tutti i giovani (così tanto amati da Alessandro Baricco che li individua collettivamente come la generazione che seppellirà il Novecento, sotto la loro spinta e carica emotiva), studiassero e leggessero qualche libro in più forse potrebbero attingere all’opera magna di eccelse personalità della storia di Israele e della Palestina, come Ilan Pappé, autore del saggio La fine di Israele. Il collasso del sionismo e la pace possibile in Palestina. E sarebbe ancora meglio per i nativi digitali ascoltare l’intervista fatta all’autore da Andrea Colamedici il 30 settembre scorso, in cui viene chiarito l’intero quadro storico della drammatica vicenda.

Sia Pappé, che Bassem Khandakji, con quest’ultimo condannato a tre ergastoli in Israele, ma liberato di recente a seguito dello scambio di ostaggi israeliani/prigionieri palestinesi, convergono sulla soluzione a medio-lungo termine di “un solo Stato per due popoli”. Piuttosto interessante, da questo punto di vista, è l’intervista rilasciata di recente al Corriere della Sera da Bassem (esiliato al Cairo), in cui l’ex terrorista, che ha scontato 21 anni di prigionia nelle carceri israeliane, non nega le sue responsabilità negli attentati che l’hanno visto coinvolto. Il passaggio più interessante è, infatti, il seguente: “Non credo che la soluzione dei due Stati sia più adatta al presente: ci sono centinaia di migliaia di coloni in Cisgiordania, che hanno preso tutte le terre più importanti lì e a Gerusalemme Est. Quindi, dove dovrebbe sorgere questo Stato palestinese dentro ai confini del 1967? Io penso che la soluzione sia un solo Stato. Con uguali diritti e democrazia per tutti i suoi abitanti”.

Stessa conclusione, come si diceva, per Ilan Pappé, che vede in un futuro prossimo la fine del “colonialismo di insediamento” (che si distingue da quello ordinario, che sfruttava le terre e il lavoro delle popolazioni colonizzate), così come realizzato dall’ideologia sionista attraverso la forza delle armi e l’espulsione della componente araba dal Grande Israele. Probabilmente, come Bassem, milioni di giovani palestinesi metterebbero la firma per condividere i privilegi di vivere in una democrazia agiata, laica e multietnica, come quella israeliana. I politici europei, “tutti”, invece dei beau geste, declamatori (e decisamente affabulatori) sul riconoscimento di un improbabile “Stato di Palestina”, dovrebbero ascoltare che cosa hanno veramente da dire loro coloro che, un giorno, per la loro giovanissima età di oggi, saranno chiamati a trovare una soluzione comune, per vivere accanto a chi, come loro, condivide tutte le passioni per un mondo (digitale) senza frontiere. Perché, come dice Pappé, i giovani (palestinesi, arabi, israeliani, libanesi, e così via), comunicano tra di loro attraverso i social, e non sopportano le divisioni tipo Hamas/Autorità palestinese, condividendo un unico sentiment che, però, deve trovare ancora un’organizzazione strutturata e una leadership riconosciuta. Ma, è solo questione di tempo, vero Alessandro Baricco?


di Maurizio Guaitoli