Quinta Repubblica addio

venerdì 17 ottobre 2025


Dopo che il Primo ministro incaricato, Sébastien Lecornu, ha annunciato in Assembleé Nationale la sospensione della riforma delle pensioni (il provvedimento simbolo del programma economico di Emmanuel Macron) accogliendo le richieste del Partito socialista e assicurando, in tal modo, la sopravvivenza del nuovo esecutivo (cosa che è avvenuta con la bocciatura delle due mozioni di sfiducia presentate da La France Insoumise e dal Rassemblement National) vi è una sola considerazione da fare.

A distanza di sessantasette anni anche le istituzioni più robuste mostrano i segni degli anni che passano. Infatti, la Quinta Repubblica nata nel 1958 sotto l’impulso di Charles de Gaulle ‒ incardinata sulla figura centrale del Presidente, al fine di assicurare stabilità a un sistema palesemente fragile qual era quello della Quarta Repubblica ‒ si sta rivelando essa stessa non più in grado di garantire solidità al sistema politico francese.

A tal proposito, lo storico Pierre Rosanvallon parla di pericoloso “vuoto democratico”, laddove l’istituzione presidenziale appare priva dei sensori giusti e indispensabili, per mettersi in sintonia con il pluralismo di una società in rapido cambiamento. In Francia si stanno consumando due crisi, l’una sul terreno politico, l’altra su quello sociale. Oltralpe con il collasso delle due storiche famiglie politiche - gollista e socialista ‒ è crollato il sistema partitico tradizionale che aveva assicurato per oltre sessant’anni continuità politica anche nelle non facili stagioni delle coabitazioni fra l’Eliseo e palazzo Matignon.

A partire dalle elezioni presidenziali del 2017 e del 2022 si appalesano le difficoltà delle vecchie formazioni, mentre si affermano accanto ai moderati de La République En Marche di Emmanuel Macron, la destra radicale del Rassemblement National guidata da Marine Le Pen e la sinistra populista de La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon. Dal che si ricava una lezione che va oltre la Francia e che riguarda in generale le democrazie liberali: la crescita delle ali estreme dello scacchiere politico rende difficile il funzionamento dell’intero sistema. Prevale l’elettore emotivo sull’elettore razionale. Ed è ciò che sta accadendo in Francia con l’attuale deficit deliberativo e le conseguenti ricadute paralizzanti sulla vita politica.

Non vi è dubbio, però, che le attuali difficoltà siano anche il risultato di una profonda crisi sociale segnata da una frattura sempre più profonda fra la Francia metropolitana e le sue periferie. Rottura che si traduce, come abbiamo visto, in un voto di protesta fortemente polarizzato. Intanto, si fanno sempre più pressanti gli appelli affinché si avvii una riforma costituzionale. La qual cosa nasce dalla consapevolezza che l’architettura della Quinta Repubblica non sia più compatibile con la fluidità sociale odierna né possegga la forza necessaria per sconfiggere le rendite conservatrici di cui godono vasti strati sociali. Tuttavia, le riforme costituzionali, come si sa, richiedono un consenso ampio. Raggiungerlo in un contesto politico e sociale segnato da una elevata divisività sembra poco probabile. La crisi della Francia, per la risoluzione della quale si prevedono tempi lunghi, contiene una seconda avvertenza valida per tutte le democrazie, ovvero che nell’attuale momento storico non basta più governare, ma occorre avere contezza, come sostiene il sociologo Luc Rouban del Cnrs, che: “Non è la democrazia ad essere entrata in crisi, ma le sue tradizionali modalità rappresentative vissute sempre più dal cittadino elettore come forme autoreferenziali”.


di Francesco Carella