Colloqui in Egitto: clima positivo, ma parti lontane

mercoledì 8 ottobre 2025


La trattativa entra ancor di più nel vivo. Stamattina sono arrivati a Sharm el-Sheikh i rinforzi americani, ovvero Steve Witkoff e Jared Kushner, per prendere parte ai colloqui indiretti tra Israele e Hamas. L’obbiettivo è concludere una volta per tutte la guerra tra lo Stato ebraico e i terroristi islamici, nonché riportare a casa gli ostaggi rimasti, tra le grinfie di Hamas dal 7 ottobre 2023. L’inviato e il genero-barra-consigliere di Donald Trump sono gli architetti del piano in 20 punti elaborato dal commander-in-chief americano assieme ai vertici del governo di Keir Starmer, che prevede – tra le altre condizioni – un ritiro graduale di Israele dalla Striscia e il rilascio di tutti gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas entro 72 ore dall’inizio della tregua. Intanto, secondo quanto rivelato da Ynet, Israele si starebbe preparando all’eventualità che il tycoon si rechi nel Paese nel caso venga firmato l’accordo per la liberazione degli ostaggi e la tregua a Gaza. Secondo le stime delle autorità israeliane, il presidente Usa intenderebbe recarsi personalmente nella regione per “celebrare” il successo diplomatico. Tutto dipenderà dall’esito dei colloqui di Sharm el-Sheikh, ma le prime indicazioni vengono descritte come incoraggianti. L’Egitto, che svolge il ruolo di mediatore principale, avrebbe già invitato Trump a partecipare alla cerimonia della firma che potrebbe tenersi al Cairo.

A confermare l’invito è stato lo stesso presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, che – secondo i media arabi e l’agenzia Anadolu – ha dichiarato che “i negoziati per il cessate il fuoco a Gaza tra Israele e Hamas nella città egiziana di Sharm el-Sheikh, sul Mar Rosso, stanno procedendo”, invitando ufficialmente il suo omologo statunitense Donald Trump “a partecipare alla firma dell’accordo in Egitto, qualora venisse raggiunto”. Intervenendo a una cerimonia di laurea della polizia al Cairo, Sisi ha ribadito che i colloqui “stanno procedendo positivamente. Invito il presidente statunitense Donald Trump a partecipare alla firma dell’accordo di cessate il fuoco in Egitto, qualora venisse raggiunto. Sarebbe meraviglioso averlo qui”, ha aggiunto.

Sul fronte diplomatico, il portavoce del Ministero degli Esteri del Qatar, Majed al-Ansari, ha dichiarato all’emittente Al-Arabiya che sono necessarie “forti garanzie internazionali scritte” per assicurare che Israele rispetti gli impegni assunti. Secondo quanto riportato dal Times of Israel, al-Ansari ha affermato che il Qatar vuole garantire che i negoziati in corso in Egitto portino a un ritiro israeliano da Gaza, a un maggiore afflusso di aiuti umanitari e alla fine definitiva del conflitto. Ha inoltre sottolineato che il piano Trump attualmente discusso esclude esplicitamente lo sfollamento dei residenti e la ripresa di discorsi di annessione o occupazione. “Le parti hanno concordato su 20 principi, ma il diavolo si nasconde nei dettagli”, ha commentato il portavoce.

È atteso oggi in Egitto anche il primo ministro del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani, per prendere parte ai negoziati tra Stato ebraico e Hamas. Il ministro degli Esteri egiziano, Badr Abdelatty, ha dichiarato ad Al-Arabiya che “altri Paesi arabi firmeranno accordi di pace con Israele se la guerra a Gaza finirà”. Anche Abdelatty ha evidenziato come il principale garante del successo dei colloqui in Egitto è Donald Trump, precisando che le discussioni in corso a Sharm el-Sheikh si concentrano sulla prima fase del piano americano: porre fine alla guerra, favorire l’arrivo degli aiuti umanitari, restituire gli ostaggi e rilasciare i prigionieri palestinesi.

Secondo una fonte palestinese di alto livello citata da Ynet, durante i negoziati i rappresentanti palestinesi starebbero cercando di ampliare la lista dei prigionieri da liberare da 250 a 300, con l’obiettivo di arrivare a uno scambiotutti per tutti”. Il Palestinian prisoner club stima che attualmente siano 303 i detenuti palestinesi condannati all’ergastolo nelle carceri israeliane, alcuni dei quali reclusi da prima degli Accordi di Oslo. “Per questi prigionieri, questa potrebbe essere l’ultima possibilità di essere liberi, e quindi c’è grande speranza tra loro”, ha spiegato la fonte. Secondo le stesse fonti, la Turchia avrebbe esercitato pressioni per impedire a Israele di porre il veto sui nomi dei prigionieri da rilasciare e per evitare la loro deportazione in Paesi terzi. “La cosa più importante è l’effettivo rilascio”, ha sottolineato il funzionario, aggiungendo che tra i nomi proposti dai palestinesi vi sarebbero anche prigionieri arabo-israeliani condannati a pene detentive molto lunghe. E i rappresentanti delle due parti si sarebbero scambiati le rispettive liste di persone da liberare.

La questione dell’espulsione rimane tuttavia uno dei nodi più sensibili: “I prigionieri espulsi vengono di fatto rilasciati, ma incontrano molte difficoltà, soprattutto quelli che si trovano in Egitto”, ha spiegato la fonte. “Finora non hanno la cittadinanza, non possono muoversi liberamente e l’Egitto rappresenta per loro una tappa intermedia nel viaggio verso altri Paesi, sia in Europa sia in Stati come il Pakistan, che accettano prigionieri palestinesi”. Il funzionario ha infine sottolineato che la maggior parte dei prigionieri rilasciati in passato “non sono tornati al terrorismo o alla politica” e che oggi molti di loro vivono in varie parti del mondo, isolati dalla scena palestinese.


di Edoardo Falzon