lunedì 6 ottobre 2025
L’estremismo e la violenza islamista non sono soltanto una sfida di politica estera, ma anche una crisi di sicurezza interna
La minaccia dell’estremismo islamista non è più confinata al Medio Oriente. Si è metastatizzata in città di tutta Europa, nelle Americhe e oltre, con un’ondata di attacchi, rivolte e crimini d’odio alimentati dalla retorica dei gruppi jihadisti e dei loro alleati ideologici di Sinistra. Questa minaccia è rivolta direttamente alle democrazie, alle società aperte plasmate dai valori giudaico-cristiani e a qualsiasi Stato o popolo che contrasti il dominio islamista.
Gruppi come Hamas, Hezbollah e la Jihad Islamica Palestinese non sono movimenti di resistenza, ma organizzazioni terroristiche messe al bando, ufficialmente riconosciute come tali da governi come il Regno Unito e gli Stati Uniti. Fanno parte di una rete più ampia, spesso sostenuta dall’Iran, che utilizza organizzazioni proxies per diffondere la violenza a livello globale. Ciò si sposa con la continua resilienza degli affiliati allo Stato Islamico e ad al-Qaeda.
L’Homeland Threat Assessment 2025 del Dipartimento della Sicurezza Interna Usa è esplicito: i conflitti internazionali come la guerra tra Israele e Hamas stanno galvanizzando gli estremisti violenti di tutto lo spettro ideologico e alimentando un clima di “elevata” minaccia terroristica all’interno degli Stati Uniti.
Questo pericolo è già diventato letale. Il 21 maggio scorso, un uomo armato ha ucciso due membri dello staff dell’ambasciata israeliana, Yaron Lischinsky e Sarah Milgrim, all’uscita di un evento presso il Capital Jewish Museum di Washington, D.C. L’assassino ha urlato slogan pro-palestinesi e in seguito ha dichiarato alla polizia: “L’ho fatto per la Palestina, l’ho fatto per Gaza”.
Solo poche settimane dopo, a Boulder, in Colorado, un cittadino egiziano ha lanciato ordigni incendiari contro i partecipanti a un corteo filoisraeliano. Ha ammesso di aver preso di mira quello che ha definito un “gruppo sionista”, dicendo agli inquirenti che aveva pianificato l’attacco per un anno e che lo avrebbe rifatto.
Allo stesso modo, gli investigatori ritengono che Robin Westman, che ha aperto il fuoco durante una messa celebrata nella scuola cattolica Annunciation a Minneapolis, in Minnesota, avesse espresso odio nei confronti di vari gruppi, tra gli ebrei.
Non si tratta di episodi isolati. Essi rispecchiano un modello che le forze dell’ordine segnalano da anni: conflitti ideologici stranieri che ispirano gli attori nazionali a tradurre la retorica in violenza.
Gli Stati Uniti non sono gli unici. Anche in Europa le proteste stanno diventando sempre più violente. Il 22 settembre scorso, migliaia di manifestanti e scioperanti sono scesi in piazza a Milano in solidarietà con i palestinesi di Gaza. Alcuni hanno preso d’assalto la stazione ferroviaria centrale della città, scontrandosi con la polizia. Lo sciopero ha causato disagi in tutta Italia, con ritardi dei treni e dei trasporti pubblici nelle principali città, tra cui Roma e Milano. I lavoratori portuali hanno bloccato i porti italiani per impedire il trasferimento di armi a Israele. Il primo ministro italiano Giorgia Meloni ha condannato la violenza, definendo i manifestanti “teppisti”.
Nel Regno Unito, l’antisemitismo ha raggiunto livelli senza precedenti. Il Guardian ha riportato che nel 2024 la polizia ha registrato il numero più alto di crimini d’odio antisemiti in un solo anno, molti dei quali legati a manifestazioni filopalestinesi. Il Community Security Trust ha riferito che alcune manifestazioni sono sfociate in una aperta glorificazione del terrorismo.
In Francia, le autorità hanno avvertito che le manifestazioni pro-palestinesi stavano alimentando “gravi disordini pubblici” e incitamenti all’odio. La polizia francese ha disperso i manifestanti a Parigi e in altre città a causa delle violenze. La Germania ha segnalato quasi un raddoppio degli episodi di antisemitismo nel 2024, molti dei quali legati alla retorica sulla guerra di Gaza.
Queste manifestazioni mostrano la portata transnazionale dell’ideologia islamista: le democrazie europee vengono destabilizzate non solo dalla propaganda straniera, ma anche dai propri cittadini radicalizzati in solidarietà con i gruppi jihadisti.
In America Latina, anche grandi capitali come Buenos Aires e Città del Messico hanno assistito a mobilitazioni di massa a sostegno della causa palestinese. A Buenos Aires, i manifestanti filopalestinesi hanno tentato di assaltare l’ambasciata israeliana e la polizia ha sparato gas lacrimogeni per disperdere la folla. A Città del Messico, migliaia di persone hanno sfilato in quella che è stata definita una manifestazione di solidarietà, ma che ha visto anche cori a sostegno della “resistenza” violenta. Queste manifestazioni spesso riuniscono gruppi studenteschi, sindacati e partiti di Sinistra, a dimostrazione di come la retorica islamista venga amplificata da altre correnti politiche radicali.
Queste rivolte localizzate, le sparatorie e gli attentati incendiari fanno parte di una più ampia recrudescenza della violenza jihadista. Lo Stato Islamico, che si pensava fosse in declino, è stato il gruppo terroristico più letale del 2024, con affiliati che si sono espansi in Africa e Asia, reclutando in gran parte miliziani provenienti dal conflitto di Gaza.
L’International Centre for Counter-Terrorism, con sede nei Paesi Bassi mette in guardia da una pericolosa discrepanza: la minaccia si evolve mentre la risposta globale si affievolisce. Nel frattempo, l’Iran continua a orchestrare la propria rete terroristica, utilizzando Hezbollah, Hamas e la Jihad Islamica Palestinese come bracci armati globali della sua strategia. L’American Jewish Committee ha documentato come il sostegno di Teheran a questi gruppi abbia portato a una maggiore instabilità in regioni come l’America Latina e l’Europa.
Ciò che accomuna questi episodi non è la geografia, ma la retorica. Gli aggressori a Washington, Boulder, Amsterdam e altrove hanno scandito gli stessi slogan che si sentono nelle strade e nei campus universitari occidentali, come “dal fiume al mare” e “resistenza con ogni mezzo”.
Come documentato, dal Jerusalem Center for Public Affairs, il “palestinianismo” è diventato un cavallo di Troia ideologico: un cavallo che nasconde il suprematismo jihadista nel vocabolario dei diritti umani, consentendo ai radicali occidentali di spacciare la violenza islamista per liberazione.
Questa deriva ideologica, dai cori di protesta alla violenza politica, è ciò che i decisori politici e le agenzie di sicurezza devono riconoscere. L’estremismo islamico non è solo una sfida di politica estera. È una crisi di sicurezza interna, che destabilizza le democrazie dall’interno.
Il mondo sta entrando in una nuova fase di estremismo. I movimenti islamisti e i loro alleati di Sinistra prendono di mira non solo Israele, ma anche le società aperte, le democrazie pluralistiche e tutti coloro che contrastano la loro ideologia assolutista. Ignorare questa minaccia significa invitare a ulteriori attacchi alle ambasciate, a più omicidi di diplomatici e al terrorismo contro altre comunità. I decisori politici devono affrontare l’ideologia islamista come una minaccia, rafforzando la resilienza democratica e rifiutandosi di giustificare il terrorismo mascherato da slogan politici. La scelta è chiara: o le democrazie difendono sé stesse e i loro valori condivisi, oppure permettono ai movimenti estremisti di destabilizzarle dall’interno.
(*) Tratto dal Middle East Observer
(**) Traduzione a cura di Angelita La Spada
di Yuval David (*)