Hamas e il piano per Gaza, tra divisioni e pressioni

venerdì 3 ottobre 2025


Hamas prende tempo sul piano di pace per Gaza presentato dal presidente statunitense Donald Trump e sostenuto dal premier israeliano Benjamin Netanyahu. “Hamas sta ancora proseguendo le consultazioni sul piano di Trump, e ha informato i mediatori che le consultazioni sono in corso e richiedono tempo”, ha dichiarato un funzionario palestinese, rimasto anonimo. Trump, martedì, ha fissato un ultimatum al movimento: “tre o quattro giorni” per accettare la proposta e mettere fine al conflitto nei territori palestinesi. Mohammed Nazzal, membro dell’ufficio politico di Hamas, ha dichiarato ad Al-Jazeera Arabic che il gruppo annuncerà a breve la propria posizione. Nazzal ha ribadito che Hamas, in quanto espressione della resistenza palestinese, ha il diritto di esprimere le proprie opinioni “in modo da servire gli interessi” del popolo palestinese, sottolineando come la discussione sul piano Trump avvenga con l’obiettivo di fermare la guerra di Israele contro Gaza, ma anche che “non stiamo affrontando il piano con la logica che il tempo è una spada puntata alla nostra gola”.

Dagli Stati Uniti, la Casa Bianca invia segnali chiari. In un’intervista a Fox news, la portavoce Caroline Leavitt ha dichiarato che “il presidente traccerà una linea rossa per la risposta dell’organizzazione terroristica”, aggiungendo: “Speriamo e ci aspettiamo che Hamas la accetti”. Il gruppo, tuttavia, non ha ancora fornito una risposta ufficiale. Le posizioni interne non sarebbero unanimi: secondo la Bbc, “i mediatori hanno contattato il capo dell’ala militare che ha affermato di non essere d’accordo con il nuovo documento di cessate il fuoco. Si ritiene che Izz al-Din al-Haddad creda che sia stato concepito per porre fine a Hamas, indipendentemente dal fatto che accetti o meno la proposta americana, ed è quindi determinato a continuare a combattere”. Fonti palestinesi citate da Al Arabiya confermano che le fazioni armate chiedono garanzie precise sull’impegno di Israele al cessate il fuoco e vogliono collegare il rilascio degli ostaggi al calendario del ritiro delle truppe dell’Idf. Altre indiscrezioni parlano di una possibile decisione favorevole, condizionata però a modifiche sul testo. Tra i temi in discussione: i tempi del ritiro israeliano dalla Striscia, il disarmo e la sicurezza dopo l’eventuale esilio della leadership di Hamas. Anche la clausola delle “72 ore per rilasciare gli ostaggi vivi” viene giudicata impraticabile, perché “difficile rintracciare i loro carcerieri”, secondo Hamas.

Lo spazio per le richieste dei terroristi, però, sembra ridotto al minimo. Il movimento resta appoggiato solo dall’Iran e da alcune piazze occidentali, mentre i Paesi arabi e musulmani si sono schierati a favore del piano statunitense. Una svolta maturata lo scorso 10 settembre, quando Israele ha colpito a Doha la leadership di Hamas con 12 missili, senza che le difese americane – presenti in Qatar con la più grande base militare della regione – intervenissero. Nessuna sirena dallarme, nessun intercettore lanciato. Un segnale che, senza ammissioni ufficiali, Doha ha interpretato come la prova di un coinvolgimento degli Usa.

Tre giorni fa Trump ha siglato un accordo di portata strategica: un ordine esecutivo che estende la protezione militare americana al Qatar, stabilendo che qualsiasi attacco contro l’emirato sarà considerato “una minaccia alla pace e alla sicurezza degli Stati Uniti”. Una mossa che lega Doha a doppio filo alla sicurezza garantita da Washington e limita la possibilità di manovra su Gaza. Parallelamente, anche l’Egitto e la Turchia hanno aumentato la pressione su Hamas. Il ministro degli Esteri egiziano Badr Abdelatty ha spiegato: “Ci stiamo incontrando con loro. Ci stiamo coordinando con il Qatar e la Turchia”, confermando il tentativo di un fronte congiunto per chiudere la partita. Recep Tayyip Erdoğan, dal canto suo, ha lodato l’iniziativa di Trump e ha inviato a Doha il capo dell’intelligence per partecipare ai colloqui. Il fronte occidentale resta compatto. L’Europa ha espresso sostegno al piano: “Hamas ha una responsabilità molto pesante per la catastrofe vissuta dai palestinesi. Ha perso. Deve accettare la propria resa”, ha dichiarato il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot da Riad. Dall’Italia, Antonio Tajani ha riferito in Senato: “Ho parlato ieri con il ministro degli Esteri turco e sono convinto che Hamas accetterà il piano ma chiedendo alcuni chiarimenti correttivi”. Ore decisive, dunque, tra Gaza e Israele: il futuro della tregua dipende dalla risposta positiva dei terroristi.


di Eugenio Vittorio