Riconoscete la Francia? L’arte della mimesi

giovedì 25 settembre 2025


La Francia di oggi? Irriconoscibile. Zoppa nei conti; eliminata come presenza armata, e senza tanti complimenti, da tutti gli scenari esteri, soprattutto dalle ex colonie d’Africa; alternante in tutte le scelte politiche internazionali, iniziando dall’Ucraina per finire a Gaza. Così, in base a una politica di gesta senza vera diplomazia, Emmanuel Macron è passato dallo stalkeraggio di Vladimir Putin nel 2023, ai Volenterosi di oggi, che vorrebbero inviare truppe Nato a presidiare la futura linea del cessate il fuoco russo-ucraino che, però, guarda caso, necessita in via del tutto preliminare del reciproco consenso da parte dei due contendenti. E poiché Mosca è nettamente contraria ad avere una presenza Nato ai suoi diretti confini, che senso ha insistere su di una simile iniziativa? E, poi, dopo aver pubblicamente dichiarato nel 2019 la morte cerebrale dell’Alleanza Atlantica, che senso ha parlare nel 2025 di una “Difesa comune” (che, ricordiamolo, è di competenza degli Stati Ue), senza prima aver interpellato i popoli europei, né avere una minima idea su come in materia si possano modificare i trattati esistenti? Il solo modo, quest’ultimo, per dotarsi degli strumenti idonei, ai fini della creazione di un comando unificato (a rotazione biennale, ovviamente!), di un reclutamento e standard comuni sia nel campo degli armamenti che nei mezzi tecnologici e finanziari, attualmente del tutto inesistenti, dato che nessuno è intenzionato a fare debito comune per sostenere una difesa europea. Vedi il pasticcio su “Rearm Europe” a carico degli Stati, che possono defalcare le spese per la difesa dal computo del debito pubblico e del bilancio, derogando dal Fiscal Compact, sapendo benissimo che le loro opinioni pubbliche sono in assoluta maggioranza nettamente contrarie a veder ulteriormente ridotta la spesa pubblica sociale. Allora, per distogliere l’attenzione dei francesi dagli insolubili problemi di Governo, per l’approvazione della legge di bilancio in cui si prevedono 44 miliardi di tagli, l’Eliseo ha fatto ricorso al gioco di prestigio della proposta avanzata all’Onu da Parigi e dall’Arabia Saudita per il riconoscimento dello Stato di Palestina.

La materia, però, è troppo seria per essere lasciata all’improvvisazione e quindi sarà opportuno partire da lontano, in particolare dalle carte geografiche successive alla Grande guerra, con lo smembramento dell’Impero Ottomano da parte dei vincitori, Francia e Inghilterra, che con l’accordo segreto di Sikes-Picot (16 maggio 1916) si erano spartite in differenti aree d’influenza l’area compresa tra la Siria e l’Iraq. Dalle mappe storiche di allora (vedi Limes), si può vedere come un’entità autonoma palestinese non sia mai esistita né prima, né dopo di allora. Nel 1917 le forze militari britanniche avevano occupato la Palestina, il cui mandato a Londra fu ufficialmente attribuito dalla Società delle Nazioni soltanto nel luglio del 1922. Con la nota Balfour del 2 novembre 1917, il Governo britannico si era impegnato a costituire in Palestina un focolare nazionale ebraico, che potesse accogliere gli ebrei della regione e quelli che, a causa della diaspora, si trovavano in altre nazioni. Ma fu con la Risoluzione Onu numero 181/47 (in cui clamorosamente l’Inghilterra si astenne!) che Egitto e Giordania (di cui la Cisgiordania era parte integrante) e gli altri Stati arabi interessati si rifiutarono categoricamente di cedere parte del proprio territorio nazionale, così come specificato nella risoluzione stessa, trincerandosi dietro il rifiuto di riconoscere lo Stato di Israele, poi creato a seguito della prima guerra araboisraeliana del 1948. Ora il pasticcio di uno Stato che non esiste (e che, in tutta evidenza, non potrà esistere ancora per molto tempo!), sta tutto nelle premesse indispensabili, a norma del diritto internazionale, per il suo riconoscimento, quali: una popolazione certa (infatti: i milioni della diaspora del 1948, la famosa Nakba, vanno conteggiati, o no, come parte costituente del nuovo Stato?); un territorio definito; un Governo che lo amministra.

Partiamo da quest’ultimo aspetto: chi sarebbe a oggi il legittimo rappresentante del popolo palestinese? Hamas, che di sicuro vincerebbe a grande maggioranza le elezioni in Cisgiordania e Gaza? Ma, se così fosse, il pogrom del 7 ottobre 2023 equivarrebbe a una vera e propria dichiarazione di guerra, con tutte le conseguenze del caso. In secondo luogo, questo Stato ipotetico dovrà avere un esercito proprio super armato e potrà sottoscrivere patti di mutua assistenza politica, militare e finanziaria con Paesi mortali nemici di Israele, come l’Iran, minacciandone direttamente la sicurezza in prossimità dei suoi confini? E come potrebbe tollerare tutto questo un popolo perennemente sotto assedio, come quello israeliano? Altra questione fondamentale: le accuse di genocidio nei confronti del Governo e dell’esercito israeliani hanno un fondamento accettabile, come quello di una simil propaganda hitleriana, in cui questo concetto dell’eradicazione del popolo palestinese dalla sua terra sia chiaramente enunciato e perseguito con ogni mezzo? Un’altra ipotesi di tentato genocidio potrebbe risieder nel comportamento pratico dei militari israeliani sullo scenario di guerra, che non tenesse in alcun conto la sorte della popolazione civile.

È forse così, in base a riscontri oggettivi, oppure, al contrario, gli avvisi dati sistematicamente dall’Idf ai civili di Gaza di allontanarsi dai siti individuati per l’attacco, smentiscono questa volontà a priori di distruzione indiscriminata di una popolazione inerme? Certo, le cronache internazionali che documentano le sofferenze immani dei gazawi soggetti a un resettlement forzato, che li costringe ad abbandonare con ogni mezzo le aree devastate dai bombardamenti israeliani, patendo la fame e la mancanza di un ricovero adeguato in cui le condizioni di vita non siano estreme come quelle attuali, spingono le opinioni pubbliche del mondo libero a protestare in massa per una fine immediata del conflitto. Ma, anche lì: tutti i Paesi che oggi vanno in soccorso di Gaza, riconoscendo simbolicamente un ipotetico Stato di Palestina, per quale motivo non hanno manifestato una posizione decisa e comune, a partire dall’8 ottobre 2023, affinché Hamas rilasciasse tutti gli ostaggi, consegnasse i tunnel e le armi all’Autorità palestinese, mettendo immediatamente fine al conflitto con Israele? Perché si è speculato sulla scontata overreaction dello Stato ebraico, lasciando in questi due anni che Hamas si facesse scudo di milioni di gazawi innocenti, nascondendo armi e miliziani nei sotterranei di scuole e ospedali, spostando di continuo gli ostaggi nelle abitazioni civili della Striscia, e depredando gli aiuti internazionali per riciclarli a carissimo prezzo sul mercato nero? Perché non si sono ancora individuati gli Stati arabi volenterosi che prendano in carico il destino socio-politico della Striscia, proponendo al mondo una soluzione accettabile da Israele e Usa per il dopo Hamas? Ma come si fa ad accusare di volontà di genocidio una Nazione più piccola della Bretagna, circondata da milioni di chilometri quadrati popolati da centinaia di milioni di arabi che vivono in Paesi ricchissimi (14 milioni di ebrei si debbono confrontare con due miliardi di musulmani nel mondo), senza scadere nel ridicolo? Come potrebbe mai sopravvivere Israele, senza trovare un accordo di pace con i suoi vicini arabi?

(*) La foto è una riproduzione de La Libertà che guida il popolo, dipinto di Eugène Delacroix (Museo del Louvre, Parigi)


di Maurizio Guaitoli