lunedì 22 settembre 2025
Quando l’Occidente ha imposto le prime sanzioni sul petrolio russo, l’obiettivo era chiaro: ridurre drasticamente i profitti energetici del Cremlino e limitare la capacità di Mosca di finanziare la guerra in Ucraina. Tuttavia, le conseguenze sono state inaspettate e profonde: è nata una flotta ombra di petroliere vecchie, mal gestite e di proprietà opaca, che oggi rappresenta circa il 17 per cento della flotta mondiale. Secondo S&P Global Market Intelligence, almeno 940 navi fanno parte di questa rete clandestina, cresciuta del 45 per cento in un solo anno. Un vero ecosistema economico parallelo, destinato a sopravvivere ben oltre la fine del conflitto. La strategia russa è stata chiara: sostituire i mercati europei, ora chiusi o regolati, con acquirenti lontani come India e Cina, e costruire un’infrastruttura capace di aggirare i controlli internazionali. Le navi della cosiddetta “shadow fleet” adottano pratiche rischiose e spesso illegali: navigano con assicurazioni dubbie o inesistenti, cambiano bandiera a ritmo incessante, manipolano sistemi di localizzazione satellitare per nascondere l’origine del carico. Gli acquirenti ottengono un margine di ambiguità, mentre la Russia mantiene flussi di denaro significativi, aggirando il tetto al prezzo imposto dal G7 e dall’Unione europea.
I costi ambientali sono enormi. La flotta ombra ha un’età media di vent’anni, contro i tredici della flotta mondiale “ufficiale”. Scarsa manutenzione e assenza di assicurazioni aumentano il rischio di incidenti e disastri ecologici. Rapporti ufficiali e analisi indipendenti confermano che l’espansione di questa rete clandestina rende meno efficaci le sanzioni e aumenta la probabilità di fuoriuscite di petrolio, danni agli ecosistemi marini e contaminazione di coste e acque internazionali. Ogni giorno, queste navi solcano gli oceani senza trasparenza, trasformando rotte strategiche in una zona grigia dove le regole si infrangono con relativa impunità. Gli architetti delle sanzioni difendono comunque la strategia: i costi per la Russia sono aumentati. Spedire petrolio a migliaia di chilometri e gestire una flotta parallela comporta spese ingenti, dalla logistica alla sicurezza dei carichi. Ma la guerra delle petroliere resta un gioco senza fine: ogni nave sanzionata viene sostituita rapidamente da un’altra, ogni divieto aggirato con nuovi stratagemmi, dal cambio di registrazione agli scarichi in mare aperto, rendendo gli interventi occidentali continuamente inefficaci. L’Unione europea ha inserito più di 500 navi nelle black list, affiancata da Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Australia, ma la Russia continua a comprare nuove imbarcazioni, dimostrando che la partita è tutt’altro che chiusa. Secondo l’esperto di sicurezza marittima Ian Ralby, le politiche aggressive di Stati come Russia e Iran, che ignorano le regole del diritto internazionale, hanno favorito la creazione di una vasta economia illegale destinata a sopravvivere ben oltre la guerra, fornendo loro strumenti per scardinare l’ordine commerciale globale.
Cina e India, da parte loro, chiudono spesso gli occhi pur di assicurarsi forniture energetiche vantaggiose. La crisi delle petroliere ombra non è solo un problema economico o ambientale: è una sfida geopolitica che può cambiare il volto del commercio globale. In questo contesto, i governi occidentali confermano che lasciare campo libero a chi viola le regole internazionali non è un’opzione. La posta in gioco non è solo fermare un conflitto, ma rafforzare il principio secondo cui nessuno Stato può aggirare le regole del diritto internazionale impunemente, violare la sovranità di altri Stati o creare sistemi economici clandestini che minacciano la stabilità globale. Continuare a monitorare, sanzionare e isolare le navi fantasma significa non dare tregua a chi cerca di scardinare l’ordine mondiale, proteggere gli equilibri commerciali e marittimi e inviare un messaggio chiaro: chi sfida le regole internazionali dovrà pagarne il prezzo. La lotta contro questa flotta clandestina non è un esercizio sterile, ma un tassello fondamentale per garantire che legge e sicurezza globale restino valori vincolanti per tutti.
(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza
di Renato Caputo (*)