Mali-Algeria: rischio di una nuova guerra in Africa

lunedì 22 settembre 2025


Il Mali, paese del Sahel occidentale, è salito alle cronache, oltre che per avere estromesso il potere francese a favore di quello russo rappresentato dai mercenari Wagner, ora Africa Corps, anche per avere, tramite il suo presidente golpista Assimi Goïta, allontanato dalle dinamiche nazionali la missione delle Nazioni unite, denominata Minusma, Missione multidimensionale integrata di stabilizzazione delle Nazioni unite in Mali (United nations multidimensional integrated stabilization mission in Mali), dopo 10 anni di presenza. Un’operazione – voluta dai militari che hanno preso il potere a Bamako nel 2020 – con nette caratteristiche geostrategiche, e inserita nel quadro di una serie di fratture con la Francia e i suoi partner europei, che hanno costretto, in particolare i transalpini, ad abbandonare il Paese, e indotto i maliani a ritenere l’arrivo dei russi una liberazione accompagnata da una maggiore libertà da condizionamenti esterni. Un cambiamento di cooperazioni e alleanze che potrebbe configurarsi come un salto nel buio, tanto è poco equilibrato e stabile il sistema di potere soprattutto in questi Stati africani. Forse non casualmente ora il Mali ha gravi problemi con la confinante Algeria, anch’essa ex colonia francese, ma che sta adottando, nel contesto di una autonomia politica e geopolitica, atteggiamenti diplomatici molto prudenti con la Francia.

Comunque il governo maliano ad inizio 2024, aveva dichiarato la fine dell’accordo di pace con l’Algeria, firmato nel 2015, e per molto tempo ritenuto essenziale per la stabilizzazione del Paese. Ma l’accordo era già considerato agonizzante nel 2023, quando i gruppi indipendentisti del nord del Mali, a maggioranza Tuareg, incoraggiati proprio dal ritiro della missione Minusma, hanno ripreso ad attaccare il governo centrale e l’esercito maliano. I Tuareg hanno sempre ricercato una loro autonomia, in passato sono insorti più volte, poi hanno ripreso le azioni armate per chiedere l’indipendenza nella regione settentrionale del Mali. Tuttavia queste insurrezioni hanno reso l’area instabile quindi non governabile dal centro, spalancando la porta a gruppi islamisti radicali che poi hanno soppiantato i movimenti Tuareg arrivando a controllare gran parte del nord, innescando un intervento militare francese e facendo precipitare il Sahel nella guerra.

Nonostante l’accordo sottoscritto tra Bamako e Algeri nel 2015, i jihadisti, sventolando la bandiera di al-Qaeda o dell’organizzazione del Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani, Gsim, continuarono a combattere contro l’esercito maliano. In questi ultimi giorni i gruppi islamisti hanno fatto un passo avanti nella loro strategia di creare in Mali uno Stato islamico, chiudendo le strade di accesso alle città di Nioro du Sahel e Kayes situate ad ovest del Paese, e rendendo insicure le strade verso la capitale Bamako moltiplicando gli attacchi sia a truppe militari che a convogli civili, con lo scopo di indebolire militarmente ed economicamente il governo di Assimi Goïta.

Quindi un salto in avanti che vede il Gsim attivare il jihad per colpire l’economia maliana; così i primi giorni di settembre la branca saheliana di al-Qaeda, comandata dal maliano jihadista Iyad Ag Ghali, ha comunicato che i suoi miliziani stanno impedendo a camion e autocisterne provenienti da Senegal, Mauritania, Costa d’Avorio e Guinea, l’accesso alle strade che conduco ad alcune città maliane occidentali. In questo modo tentano di congelare un sistema economico che dipende quasi esclusivamente da questi prodotti petroliferi. Inoltre le azioni di sabotaggio si stanno accanendo su ogni mezzo che trasporta prodotti petroliferi e altro, verso le città maliane, incendiando i mezzi e sequestrando anche alcuni camionisti, in questi casi senegalesi, in modo da fare desistere ad organizzare ulteriori trasporti. La strada tra Bamako e Ségou è stata più volte bloccata per ore, alcune compagnie di trasporto come la maliana Diarra Transport, sono state accusate dai miliziani jihadisti di essere collaborazionisti del governo maliano. Intorno al 15 settembre, sulla strada tra Kayes e Bamako, decine di autocisterne sono state incendiate nonostante fossero scortate dai militari maliani.

Ma in questo scenario dove il deterioramento politico – quello della sicurezza è un’utopia – è in espansione, non poteva mancare un’accusa piuttosto pesante da parte della giunta maliana al suo ingombrante confinante settentrionale, il governo di Algeri. I tesi rapporti e le frammentazioni del controllo territoriale che sta patendo il Mali, hanno infatti portato Bamako ad accusare Algeri di sovvenzionare i gruppi terroristici localizzati nell’area di confine. A questo va aggiunta la denuncia prodotta dal Mali il 19 settembre, alla quasi inutile Corte internazionale di giustizia (Cig), in merito al drone algerino abbattuto dai sistemi contraerei maliani sul territorio del Mali. Il fatto fa riferimento allo sconfinamento del drone avvenuto il primo aprile. Bamako sostiene l’azione ostile, in violazione del diritto internazionale e dello spazio aereo del Paese. Algeri respinge tutte le accuse, replicando che i radar del Ministero della Difesa algerino hanno stabilito che la violazione dello spazio aereo algerino è avvenuta da parte di un drone da ricognizione proveniente dal Mali.

Insomma, un articolato fronte aperto di ostilità e scontri che al momento vede il ritiro dell’operazione Minusma, quindi della presenza francese e occidentale in Mali, come un passo indietro nella sicurezza del Paese. Sicurezza ostentata dalla propaganda russa. Ricordo che un centinaio di mercenari Wagner nel 2024 hanno perso la vita sul suolo maliano massacrati dalle milizie jihadiste. Mi sovviene quanto citato da Niccolò Machiavelli: “Ogni rivoluzione lascia un addentellato per un’altra”.


di Fabio Marco Fabbri