Mahsa Amini, tre anni fa l’uccisione della giovane curda iraniana

martedì 16 settembre 2025


La sua morte scatenò la più vasta ondata di manifestazioni contro la Repubblica islamica dalla sua nascita, nel 1979. Mahsa Amini, a tre anni dalla sua uccisione, rappresenta un simbolo di libertà. La giovane curda iraniana è morta in custodia della polizia morale che l’aveva arrestata a Teheran con l’accusa di non indossare correttamente il velo. Quel 16 settembre 2022, davanti all’ospedale Kasra della capitale, dove la giovane muore dopo tre giorni di coma, va in scena il primo nucleo della protesta che in pochi giorni dilagherà per mesi in tutto l’Iran al grido di “Donna, vita, libertà” (in curdo: Jin, Jiyan, Azadi). Lo slogan diventa sinonimo del movimento. Non ci sono più le manifestazioni di piazza, soffocate nel sangue, ma la ribellione continua a vivere nelle scelte quotidiane, nei gesti di resistenza silenziosa, nei dibattiti pubblici e privati tra donne ma anche tra gli uomini che stanno cambiando per sempre il panorama culturale del Paese. Come spiega all’Agi Nayereh Tohidi, professoressa emerita di Studi di genere e donne e direttrice fondatrice del dipartimento di Studi mediorientali e islamici presso la California State University di Northridge, “la morte di Mahsa Amini è stata la scintilla della ribellione, le cui radici affondano in decenni di discriminazioni di genere e di controllo sociale. A scendere in piazza nel 2022 sono state le figlie della quarta generazione di femministe, che negli ultimi 46 anni, sotto la teocrazia repressiva e patriarcale creata da Ruhollah Khomeyni, hanno portato avanti un’attività molto vigorosa creando reti e sfruttando ogni opportunità per restare presenti nello spazio pubblico, non accettando l’isolamento e la reclusione in casa che volevano imporre loro”.

Secondo Tohidi, il risultato principale del movimento nato nel 2022 è di natura culturale: “La protesta ha scardinato la cultura del lutto e del martirio imposta dal regime dal 1979. Ha introdotto valori alternativi come la gioia, la vita, la dignità umana, la pace, come abbiamo visto nelle strade iraniane tre anni fa con donne che danzano e cantano col capo scoperto”, tutte cose vietate. “Oggi la questione femminile è visibile come mai prima e il rispetto per le donne è diventato sinonimo di rispetto per l’intera società”, sostiene la studiosa. Nonostante l’apparente silenzio delle piazze, la resistenza continua in strada e nelle case. Migliaia di donne hanno smesso di indossare il velo obbligatorio, sfidando apertamente la legge. “È una forma di disobbedienza civile quotidiana. Non vediamo più le stesse piazze piene, ma vediamo coraggio diffuso: donne senza hijab nei negozi, nei ristoranti, sui mezzi pubblici. Sono scelte rischiose che comportano arresti, multe, violenze, ma mostrano che non si può tornare indietro”, osserva la studiosa. “Le questioni di genere, il rispetto per l’autonomia corporea, l’intelligenza e le capacità della donna, che non può essere ridotta a madre e oggetto sessuale sono temi di cui oggi in Iran si discute”, fa notare Tohini. “Se ne parla nelle famiglie, persino durante matrimoni. Si discute di come ci si sposa, di quanto spazio abbiano le donne nella decisione, di come dovrebbero vestirsi o non vestirsi. Sono questioni che ormai fanno parte del dibattito pubblico e, a volte, causano conflitti seri nelle famiglie conservatrici, dove la giovane generazione non accetta più i ruoli di genere stereotipati e cliché”. Il coraggio delle donne iraniane si scontra con il pugno di ferro di un regime che lotta per la sua sopravvivenza sullo sfondo di un accumularsi di crisi di vario genere: sociale, economica, ecologia e di sicurezza.

Dopo i 12 giorni di guerra con Israele a giugno, la repressione degli oppositori si è intensificata. “Il governo, indebolito e delegittimato, reagisce come un serpente ferito. Ha aumentato le esecuzioni, spesso in silenzio, e colpisce attivisti e dissidenti con condanne a morte. È un metodo per instillare terrore nella popolazione”, denuncia Tohidi. Secondo i dati di ong internazionali, l’Iran è ai vertici mondiali per numero di esecuzioni capitali, colpendo in particolare giovani coinvolti nelle proteste del 2022. Anche sul piano politico, qualche cambiamento si è intravisto. Alle ultime elezioni presidenziali nel 2024 è stato ammesso un candidato non proveniente dal clero e ritenuto moderato, Masoud Pazeshkian, poi eletto presidente. “Dimostra che la pressione dal basso ha avuto un effetto”, sostiene Tohidi. “Donna, vita, libertà” è riuscito a imporsi come un movimento inclusivo, che raccoglie le rivendicazioni di altri settori sociali: dalle proteste contro la povertà e la disoccupazione a quelle per la crisi ambientale e idrica.


di Antonello Virgili