venerdì 12 settembre 2025
“Il potere non deve essere troppo prolisso, altrimenti dà l’impressione di impotenza”: ipse dixit il Primo Ministro incaricato, Sébastien Lecornu, la cui dichiarazione di investitura è durata 2 minuti e 21 secondi. Il problema, però, è tutt’altro. Cioè, non è sempre vero il detto andreottiano che “il Potere logora chi non ce l’ha”, perché nel caso del Presidente francese Emmanuel Macron è tutta un’architettura istituzionale a venire giù a pezzi, a causa del passaggio del tornado della Storia. Anche se le cause sono per l’essenziale ben note, varrà la pena riepilogarne alcuni aspetti. Il sistema attuale, quello della V-ème République, voluto dal Generale Charles De Gaulle in risposta alla forte instabilità e rissosità dei Partiti della “IV Repubblica”, rappresenta un regime ibrido semi-presidenziale, con l’elezione diretta di un Presidente della Repubblica e un Parlamento eletto con un sistema a doppio turno. Tra i poteri più pregnanti della nuova figura presidenziale si annoverano i seguenti. In primis, il diritto di sciogliere il Parlamento. In secondo luogo, la nomina del Primo Ministro, che può essere scelto al di fuori dei Parlamento e il suo Governo, per prassi consolidata, non è tenuto a richiedere il voto di fiducia del Parlamento all’atto del suo insediamento. Questo comporta che vi sia una dipendenza stretta tra il nominato e il nominante, che può sostituirlo in ogni momento a propria discrezione, senza per questo procedere a consultazioni preliminari con Partiti e Parlamento, prescindendo quindi dal fatto che quest’ultimo si sia espresso in merito con un voto di sfiducia.
Questo è accaduto perché, nella visione dello stesso De Gaulle, “il Presidente è il solo a detenere e delegare l’autorità dello Stato (un vero e proprio potere regale sovrano alla Roi Soleil, ndr). Pertanto la natura, il campo di attività e la durata del mandato presidenziale implicano che il Presidente debba sottrarsi dall’essere assorbito, senza alcun limite e tregua, dalla congiuntura politica, parlamentare, economica e amministrativa, che diviene così compito del Primo Ministro francese”. Il Presidente detiene un vero potere di indirizzo politico, specialmente nel campo della politica estera, ed è a capo della diplomazia e delle forze armate, oltre a presiedere il Consiglio Superiore della Difesa e il Consiglio Superiore della Magistratura. Questa particolare configurazione istituzionale comporta che, a regime, il Parlamento venga ad assumere un ruolo secondario, per cui il Premier, in realtà, è soltanto una figura di interposizione tra Parlamento e Presidente, senza però che quest’ultimo, pur essendo il responsabile del potere esecutivo, se ne assuma la responsabilità dinnanzi al primo. Un altro potere molto significativo è rappresentato dal controllo di legittimità costituzionale preventivo, in quanto il Presidente può chiedere al Consiglio costituzionale un ulteriore esame di una legge prima della promulgazione.
Ora, tutto questo ha funzionato piuttosto bene quando le occasioni di coabitazione (per cui la maggioranza e il Capo dello Stato in carica appartengono a schieramenti politici opposti) si sono rivelate piuttosto episodiche e non sistematiche, come invece è iniziato ad accadere con i recenti mandati presidenziali. E questo perché l’elezione del Presidente non avviene più in un regime partitico sostanzialmente bipolare, dato che ormai al secondo turno dell’elezione presidenziale occorre, per vincere il ballottaggio, raccogliere maggioranze del tutto eterogenee, per far cadere l’altro candidato scomodo arrivato al secondo turno. Accade così che, a causa della frammentazione partitica, il Presidente eletto non trovi una maggioranza a lui favorevole in Parlamento. E tutto ciò ha la conseguenza politica di provocare forte instabilità nelle condotte dell’Esecutivo, che vede le sue proposte di legge bocciate a ripetizione dall’Assemblea, con particolare riguardo alla programmazione di bilancio, nel caso come quello odierno vi sia l’assoluta necessità di procedere a tagli drastici della spesa sociale e dell’assistenza, resisi necessari a causa della grave congiuntura economica. Questa particolare ghigliottina (la paralisi sostanziale dell’Esecutivo nominato dal Presidente) scatta sempre più di frequente a causa della presenza maggioritaria di Partiti sovranisti di estrema destra come di sinistra, che propongono ai loro elettori misure demagogiche per dare sempre di più a tutti. Questi loro “spropositi” non tengono conto né del deficit pubblico, né dei forti vincoli imposti dalla globalizzazione sul sistema delle imprese e dell’industria nazionali sul costo del lavoro e sui trattamenti pensionistici. I politici e i loro elettori fingono così di ignorare l’importanza degli investitori esteri nell’acquisto e nel rinnovo dei titoli di Stato, senza i quali si andrebbe diritti a un vero e proprio default delle finanze pubbliche francesi.
Ovvio che, in questa situazione di grave empasse tra Presidente e Parlamento, si siano ribaltate le priorità del Premier, costretto a una estenuante mediazione con le forze parlamentari e, quindi, assai meno dipendente dal pouvoir regalien dell’Eliseo. Che, a questo punto, vede il suo trono traballare e punta tutte le sue carte sulla figura di mediazione di Lécornu, per evitare uno nuovo scioglimento dell’Assemblea e, quindi, le conseguenti dimissioni del Presidente in carica, se i Partiti centristi che ancora lo sostengono dovessero dissolversi, come è probabile, data la dilagante protesta popolare nei confronti di Macron. E, infatti, rispondendo all’accorato appello implicito dell’Eliseo, Lécornu ha dichiarato che “c’è bisogno di un cambio di passo, per essere se necessario più creativi, e talvolta più tecnici e più seri nel modo di lavorare con l’opposizione”. Quindi, messaggio ricevuto: non comanda più il Re, ma la ghigliottina!
Facendogli eco, Gérald Darmanin, ex Ministro dell’Interno, ha seppellito la Quinta Repubblica dichiarando: “Bisogna poter avere più spazi di manovra, sia nei confronti dell’esecutivo che delle opposizioni. Per questo il Premier non può più essere il clone del Presidente”. Più benservito a Macron di così. La destra di Le Pen gli ha fatto eco, dichiarando che, se si rompe sulle trattative per la formazione del nuovo Governo, allora non c’è altra scelta che il voto di sfiducia (motion de censure), con conseguente e più che probabile nuovo scioglimento del Parlamento. Il rischio di cadere, per Lécornu, è altissimo, dato che solo il miracolo di una tenuta del centro e del soccorso rosso socialista può evitare la gamba tesa di Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon, entrando nell’emiciclo dell’Assemblea. Quindi: facciamo le “corna”. Perché, se Parigi piange, di sicuro Roma non ride!
di Maurizio Guaitoli