Gli eredi di Mao: i “cospiratori”

martedì 9 settembre 2025


Qual è il segnale al mondo che hanno inteso dare i tre sul palco di Pechino, in occasione della sfilata per l’80° anniversario della vittoria della Cina sul Giappone? In merito, però, sarà bene ricordare che Pechino non ha mai dichiarato guerra a Tokyo, a causa sia dello scontro armato in atto tra nazionalisti e comunisti cinesi, sia del non volersi schierare dalla parte dell’odiato Occidente, che le aveva imposto “un secolo di umiliazione” con la guerra dell’oppio. Ora, nel linguaggio contemporaneo, che cosa ha rappresentato collettivamente il trio di avanscena?

Innanzitutto, sarà bene riepilogare il quadro che li ritrae: al centro, il nuovo imperatore celeste, Xi Jinping; l’ospitante con la divisa di Mao Zedong riesumata dalla naftalina della storia; comunista per hobby e potenziale padrone del mondo che verrà. Alla sua sinistra, più basso di statura, un trionfante Vladimir Putin: The tankman (l’uomo-carro armato), lo zar in pectore, tellurocratico per vocazione, che crede nell’unico bene del possesso securitario della terra e molto meno nel progresso e nello Stato di diritto. Un leader resuscitato dal sarcofago sovietico e riabilitato agli occhi di un vastissimo mondo che, finalmente, si sente libero di odiare liberamente l’Occidente, senza più un capo bastone americano a gestire le alleanze mondiali. Alla sua destra, il più basso dei tre, Kim Jong-un, The Rocketman, l’uomo-missile, cooptato nel nuovo gotha autocratico, per aver sacrificato qualche migliaio di soldati sul fronte russo-ucraino, a sostegno della guerra di Putin. Il senso politico di quel trittico inquietante è chiarissimo: il comunismo in altre vesti è “tornato”. E con lui ritorna il diritto della forza, e si afferma la logica della spartizione degli imperi in una nuovissima configurazione globale tra due grandi blocchi: il Sud del mondo di qua; il Nord di là.

Il loro sogno comune è quello dell’Eurasia rivista e corretta in chiave moderna, ovvero di un’alleanza strategica di Stati eurasiatici (Russia, Cina, India, tra i maggiori) per contrastare l’influenza occidentale e affermare un ordine geopolitico multipolare, che fa volentieri a meno del diritto internazionale e dello Stato liberale. Il tutto incapsulato in una bolla dialettica, in cui a prevalere ancora per lungo tempo sarà la retorica, in attesa delle alleanze vere e proprie che, quando verranno, saranno molto più difficili da mantenere che da realizzare, data la netta prevalenza dei nazionalismi su tutti i fronti. In particolare, la convivenza tra Cina e India (un miliardo e mezzo di anime a testa), farà in breve la stessa fine di quella tra Europa e America, appena New Delhi avrà sviluppato tutte le sue immense potenzialità, divenendo di qui a 10/20 anni, la terza, se non la seconda, potenza economica del mondo. E anche la Russia sarà bene che non dorma sogni tranquilli, essendo una grande potenza solo grazie al suo arsenale atomico e alle sue enormi risorse energetiche, di cui oggi il resto del mondo ha assolutamente bisogno. Ma Mosca è obiettivamente tagliata fuori dal progresso tecnologico, e la sua schiavitù in tal senso dalla Cina la porterà verso il baratro, non appena le energie fossili diverranno un segmento marginale dei consumi mondiali, grazie agli enormi progressi del nucleare e delle energie green. Pertanto, il mega gasdotto Power Siberia 2, che unirà i giacimenti russi alla Cina, è un’arma gigantesca nelle mani di Xi che, se un domani staccasse quel cordone del gas, asfissierebbe la Russia con un clamoroso avvelenamento geopolitico.

Ma se il sogno “tellurocratico” di Putin è l’Eurasia, quello di Xi diverge diametralmente dal suo almeno in due aspetti: se, da un lato, la Russia punta tutte le sue carte sul multipolarismo, in cui tre-quattro neo imperatori si spartiscono il mondo, la Cina dall’altro opera su ben altri canali e diverse condotte, facendo credere che ci sta, ma continuando a giocare pesantemente sul tavolo del multilateralismo onusiano e della rimozione degli ostacoli alla globalizzazione. E questo per due motivi strategici: senza le esportazioni la Cina sarebbe costretta alla decrescita (infelice), non potendo compensare le mancate perdite del commercio con l’estero con i consumi interni, considerati dal Partito comunista cinese (Pcc) non ideologicamente conformi. Infatti, il “balzo in avanti” di Deng Xiaoping era quello dell’industrializzazione spinta per invadere e conquistare i mercati altrui, perché poi sarebbe stato compito del capital comunismo distribuire l’enorme surplus di ricchezza al resto della popolazione. Per mantenere, quindi, il patto implicito, che da sempre il Pcc ha sottoscritto con il suo popolo, ovvero della garanzia del benessere e della sicurezza, in cambio della totale fiducia nel Partito e nella Nazione, Xi ha bisogno che non ci sia guerra, né militare, né economica tra lui e l’Occidente, dato che per molti anni ancora il Sud del mondo non potrà divenire il primo consumatore di beni cinesi, in sostituzione di Europa e Usa.

In un mondo sempre più “numerizzato”, in rapida e impetuosa trasformazione, la Cina punta tutto sulla debolezza dell’Europa, ancora tenacemente legata al relitto del multilateralismo onusiano e al diritto internazionale, contro i quali ormai è apertamente schierata la comunità di Maga. Ed è proprio a partire da Deng, che la Cina ha ampiamente previsto la crisi irreversibile di un’Europa morta suicida, per aver voluto demagogicamente passare all’industria e alle energie green, senza per questo essere all’avanguardia nelle relative tecnologie, Così, sempre per separare le due rive dell’Atlantico, Xi sta investendo grandi risorse proprio nel controllo interno sia dell’Assemblea dell’Onu (sempre più terzomondista e monopolizzata dal global south), sia delle principali articolazioni del multipolarismo, come le Agenzie onusiane, la World trade organization e le principali Ong mondiali. Poiché ancora l’attività predatoria non è terminata, con il saccheggio a orizzonte pieno della proprietà intellettuale occidentale, soprattutto nel campo dei semiconduttori e delle tecnologie avanzate per la difesa, Pechino ha reagito malissimo all’esclusione, voluta da Donald Trump, degli studenti cinesi dalle più grandi università americane. Studenti che tutti sanno essere delle spie fedeli dell’Esercito popolare cinese e delle sue divisioni di cyber war e cyber security. La Russia, in tutto, questo, svolgerà nel prossimo futuro un ruolo ancillare in Consiglio di sicurezza, per ostacolare, d’accordo con Pechino, qualsiasi riforma dell’organismo stesso, isolando Usa e Europa dalle decisioni che contano.

In questo senso, la follia del riconoscimento all’Onu dello Stato della Palestina ha conseguenze inimmaginabili, in quanto Hamas ne sarebbe il legittimo rappresentante e, quindi, il 7 Ottobre 2023 rappresenterebbe una vera e propria dichiarazione di guerra a Israele, con tutto quel che segue. Cioè, come accadde con Adolf Hitler e con la conquista del suo bunker berlinese per far finire la guerra, diviene lecito l’annientamento del nemico che si nasconde sottoterra, facendosi scudo della sua popolazione civile. E, quest’ultima, per aver volontariamente scelto Hamas come suo rappresentante legittimo, ne condivide il postulato genocida nei confronti di Israele, che va cancellato dalla geografia del Medio Oriente. Domanda: è mai cooptabile nella comunità mondiale delle Nazioni uno Stato che ha nella sua costituzione l’obbligo dell’annientamento di un altro Stato membro?


di Maurizio Guaitoli