I tormenti di Macron sull’après Bayrou

giovedì 28 agosto 2025


Palla a Jordan e casca il mondo. L’8 settembre, giorno del voto di fiducia al Governo, si avvicina. Un rigore a porta vuota, si dirà. Perché se destra e sinistre voteranno compatte “contro”, François Bayrou dovrà lasciare Matignon dopo appena otto mesi. E poi cosa dovrà succedere? Il prescelto non ha dubbi. Per uscire dall’impasse politique “creata da Emmanuel Macron” l’unica soluzione è “tornare alle urne”, dice Jordan Bardella il predestinato, che sotto sotto Marine Le Pen vorrebbe veder schiantare alla prima curva. Il presidente del Rassemblement national conferma che il suo partito voterà “contro la fiducia al governo” e sente che è arrivato il momento di assumersi le sue responsabilità. “Avremo il coraggio di attuare il piano di ripresa che la maggior parte dei francesi attende: siamo pronti a incarnare questo cambiamento”, dice l’enfant prodige a TF1, anche perché se la Francia è nella situazione in cui è, osserva, “non è certo per colpa del mio partito”.

Su X, Le Pen scrive che solo lo scioglimento delle Camere “permetterà ai francesi di scegliere il loro destino”. Se Macron è “un presidente responsabile, sciolga l’Assemblea, si rivolga al popolo francese e gli dica: datevi una maggioranza”, rincara il deputato Rn Sébastien Chenu su CNews, non fosse altro perché “i francesi hanno visto cosa significa un Paese senza una maggioranza”. L’8 settembre, dunque, si tireranno, letteralmente, le somme, per capire se il governo ha i numeri per far passare la legge di bilancio da 44 miliardi. Bayrou ha voluto accelerare i tempi per capire se c’è spazio per una mediazione o è meglio farsi da parte, facendo prevalere la logica del “meglio tirare le cuoia subito che tirare a campare ancora per poco”. Al resto ci penserà l’Eliseo.

Proprio come accadde poco più di un anno fa, Macron potrà decidere di sciogliere l’Assemblée nationale e richiamare i francesi alle urne. Soluzione tecnicamente possibile ma politicamente molto rischiosa, con Rn che si prepara a fare il pieno di consensi. E per evitare che Jordan metta la tripla del secolo e imbarazzi mezza Francia e mezza Ue, si potrebbe sempre tentare di affidare Matignon a una personalità che possa ammorbidire la sinistra, soprattutto i socialisti, e trovare ragioni sufficienti per prendere tempo e sperare nel colpaccio. Il ritorno al voto è “l’azzardo” che resta lontano, ma non lontanissimo. Lo stesso rald Darmanin, ministro della Giustizia, ammette che lo scioglimento delle Camere “è costoso per la Francia, certo, ma non dobbiamo escludere questa possibilità”. L’obiettivo, tuttavia, ancora una volta, è evitare che Rn si prenda la Francia.

L’imperativo primo è lavorarsi la sinistra, per evitare il peggio. Dunque, rimettersi nella carreggiata del tirare a campare piuttosto che tirare le cuoia. Partito socialista, Verdi e Fronte popolare, che lavorano per una candidatura congiunta per le presidenziali del 2027, si dicono “pronti” a subentrare al governo Bayrou. Dal 9 settembre, e cioè dal giorno dopo la probabile sfiducia al primo ministro, “sinistra e Verdi devono essere pronti a governare responsabilmente”, fanno sapere gli ecolo, che si affidano all’ironia per provare a rimettere le cose a posto, secondo logica. E logica vuole, e voleva, che dopo l’esito delle legislative del 2024, fosse la sinistra a governare. E allora Emmanuel Macron potrebbe rifarsi una verginitàdemocratica”, fa intendere la segretaria nazionale Marine Tondelier, nominando come ministro “qualcuno tra i ranghi della forza politica che l’anno scorso ha vinto le elezioni”. Il problema è che le president “ascolta solo se stesso”, rileva il segretario del Partito socialista, Olivier Faure. “Vorrei dargli un consiglio: la cosa migliore che può fare è ascoltare ciò che abbiamo da proporre come alternativa al piano Bayrou e lasciare che il Parlamento scelga la sua strada”, dice in un’intervista a Le Monde.

All’Assemblée, la sinistra può contare su 192 seggi. Le divisioni all’interno del Nouveau front populaire (Nfp) lascerebbero poche speranze a chi immagina un’alleanza con le forze di centro, che ora però guardano con interesse a un’intesa che sembra, tuttavia, contro natura. Nell’entourage dei Macron c’è chi spinge per l’apertura a sinistra, trattare con i socialisti ed evitare che Jordan vada facile a canestro. La sensazione è che Macron stia lavorando per trovare un Mario Draghi che tamponi le falle e porti il governo fino al 2027, con forti probabilità, però, che tra meno di 2 anni, la destra di Rn si prenda tutto – Eliseo e Parlamento – passando all’incasso per la probabile opposizione a un governo tecnico, proprio come è accaduto a Giorgia Meloni, il cui partito è stato l’unico a non entrare nell’ammucchiata che ha sostenuto l’ex presidente della Bce a Palazzo Chigi.

I tentativi di affidarsi al “grande saggio” della politica o della società civile, in grado di pacificare gli animi, prima Michel Barnier e ora Bayrou, hanno avuto vita brevissima. La France insoumise fa sapere che in caso dissolution (scioglimento), proporrà candidati unici con chi è rimasto fedele al programma di Nfp e che si oppone alle politiche di Macron. “Solo una sinistra di rottura – assicura il capogruppo Mathilde Panot – può battere l’estrema destra”. E a rompere ci sono anche gli industriali, capaci come pochi di annusare l’aria che tira. Anche il Medef, infatti, sembra pronto a smarcarsi dall’esecutivo. Il pretesto è la soppressione dei due giorni di festa, che permetterebbe di risparmiare quattro miliardi di euro entro il 2030.

Secondo il presidente Patrick Martin, però, “non sono 4 miliardi di risparmi, ma 4 miliardi di costi supplementari per le imprese, che non è proprio la stessa cosa”. Le imprese sono “consapevoli” che “bisogna lavorare di più, ma la formula che propone il primo ministro non è quella giusta”. Per Martin “è scioccante” dire ai francesi “lavorerete di più senza essere pagati di più. Lavorare di più, va bene, ma che siano le parti sociali a stabilire come nell’ambito del dialogo sociale”.


di Pierpaolo Arzilla