Guerra in Ucraina: il cerino acceso passa all’Unione europea

lunedì 25 agosto 2025


Il “rozzo” Donald Trump, defilandosi dal tentativo di mediazione tra la Federazione russa e l’Ucraina, ha di fatto messo nel sacco i “raffinati” leader europei. Sarà merito suo se si dovesse trovare un compromesso tra la Russia e l’Ucraina, in quanto potrà certamente rivendicare il tentativo diplomatico di far sedere allo stesso tavolo i due acerrimi nemici. Defilandosi dalla negoziazione, la patata bollente passa dagli Stati Uniti all’Europa. Le dichiarazioni di Trump: “Non è la mia guerra” o “l’Europa è la prima linea” erano il preludio del fatto che stesse strategicamente preparando il suo disimpegno. Dalle pagine di questo quotidiano, da tempo, avevo auspicato la necessità che qualche leader europeo avesse il coraggio politico di intraprendere una qualsiasi azione diplomatica funzionale a trovare una soluzione accettabile, per le parti, nella guerra tra la Federazione russa e l’Ucraina.

A prescindere dal giudizio che ognuno di noi ha nei confronti della politica attuata dal presidente degli Stati Uniti, è un fatto incontestabile che lo stesso sia riuscito a aprire un varco per un tentativo difficile di una soluzione negoziata alla infinita guerra tra la Russia e l’Ucraina. La politica è l’arte del possibile e la diplomazia dovrebbe essere lo strumento per cercare di raggiungere l’obiettivo pragmatico di un accettabile compromesso tra le parti in conflitto. Nei talk-show che hanno seguito la diretta “dell’evento storico” alla Casa Bianca del 18 agosto scorso, gli opinionisti e i politici invitati che erano, come tutti, all’oscuro di quanto si stesse discutendo a porte chiuse tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky e che cosa avessero negoziato il presidente americano e lo zar russo. Subito dopo il bilaterale, l’incontro si è allargato ai leader europei di Finlandia, Francia, Germania, Italia, Ucraina, Nato e Unione europea (l’ordine non è casuale).

Per riempire i tempi televisivi della lunghissima diretta del summit, si sono soffermati su tutti gli aspetti della scenografia sapientemente studiata dalla regia della televisione statunitense. Si è discettato su come è stato accolto, in questa occasione, il presidente ucraino dal padrone di casa rispetto alla precedente disastrosa visita; dei visi più o meno sorridenti dei due principali protagonisti; della inaspettata cortesia che ha riservato il presidente statunitense sia a Zelensky che ai leader europei.

Ovviamente, gli opinionisti e i politici, chiamati di volta in volta a commentare sul nulla, esprimevano le loro considerazioni sulla base delle loro simpatie/antipatie nei confronti del presidente Trump e degli altri partecipanti al vertice. Si faceva fatica a seguire la diretta per le scontate e prevedibili risposte degli interlocutori che venivano chiamati a turno da parte dei conduttori, a fare commenti ridicoli. Se schierati a sinistra, i bersagli preferiti ovviamente erano Donald Trump che veniva definito: soggiogato da Vladimir Putin, bullo, immobiliarista, ignorante in politica estera, interessato solo agli affari, e Giorgia Meloni, colpevole a loro dire di essere “amica” del Presidente Usa e quindi prona ai desiderata del tycoon americano. Ai leader europei presenti si addebitava il fatto di non sapersi opporre alla “diplomazia della forza” di Trump. In contrapposizione, gli opinionisti più orientati a favore del governo di centrodestra, sottolineavano la coerenza in politica estera della premier e il ruolo che si è saputo ritagliare come tenace assertrice dell’unità dell’Occidente.

Un aspetto però è stato trascurato, anche dalla stampa non apertamente ostile alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ovvero come sono state posizionate le bandiere nazionali nei punti focali della scenografia televisiva del summit. Il tricolore italiano è stato sempre posizionato al centro delle altre bandiere. In ordine: a sinistra la bandiera americana, subito dopo quella finlandese, la tedesca, quella italiana, la bandiera ucraina, quella del Regno Unito, quella della Nato e infine quella dell’Unione europea. Non credo che la scelta sia stata casuale. Il regista della “riunione storica”, nella consapevolezza che le immagini dalla Casa Bianca sarebbero state viste da miliardi di persone nel mondo avrà certamente concordato nel dettaglio anche questo aspetto che non è solo simbolico. È possibile che “l’amico americano” di Giorgia Meloni abbia voluto premiare lo sforzo fatto dalla premier italiana che, con pazienza, caparbietà e lungimiranza, ha saputo tenere la barra dritta sul fatto che è indispensabile per l’Italia e per la stessa Europa mantenere buoni rapporti con l’alleato storico di oltre oceano, oggi legittimamente rappresentato da Donald Trump. Infatti, ha fatto posizionare la bandiera italiana al centro delle altre e fatto sedere alla sua sinistra Giorgia Meloni.

È un caso il fatto che Roma sia stata tra le prime ad essere considerata per un eventuale bilaterale tra Putin e Zelensky? Le aspettative che la riunione potesse essere propedeutica a un successivo incontro diretto tra Putin e Zelensky  (bilaterale) o un trilaterale con la mediazione di Donald Trump si è dovuta purtroppo scontrare con la realtà. Il presidente russo non riconosce la legittimazione alle trattative del presidente, in prorogatio, dell’Ucraina e l’Europa non accetta l’idea di essere stata “marginalizzata” nonostante il gravoso impegno economico e finanziario che la stessa ha sostenuto e continua a sostenere per la difesa dell’Ucraina. Consapevole della difficile soluzione, Donald Trump si sta lentamente defilando lasciando la patata bollente in mano ai “volenterosi” dell’Unione europea e al leader del Regno Unito.

Il paradosso che si è venuto a creare è che, se si dovesse giungere ad un anche a un parziale compromesso tra le nazioni belligeranti, il merito sarà del presidente statunitense, se la guerra continuerà sarà invece colpa dell’Europa che, oltre il danno politico, subirà la beffa di doversi far carico totalmente delle spese militari per difendere l’Ucraina.


di Antonio Giuseppe Di Natale