Tormentone immigrazione: Schengen sotto assedio

lunedì 21 luglio 2025


Era inevitabile! La storia ritorna prepotente, in modalità anti-Fukuyama, scatenando la sua vendetta (storica, per l’appunto) lungo tre direzioni destrutturanti, rispetto al precedente ordine mondiale derivato dalla Pax americana post-1945 e dal dirittismo onusiano, di cui fanno parte integrante la Convenzione europea sui diritti dell’Uomo (la Cedu e la sua Corte), la Convenzione di Ginevra sui rifugiati e il diritto alla migrazione. Iniziamo da quest’ultimo punto, che rappresenta una delle ragioni fondamentali del ritorno degli Stati-Nazione e del conseguente ripristino delle frontiere internazionali. Queste ultime rinascono per fronteggiare le guerre ibride del crimine organizzato, dei trafficanti di esseri umani e dell’immigrazione incontrollata, e hanno l’obiettivo dichiarato di mettere fine al caos della sicurezza interna, generato dalla globalizzazione senza regole che ha visto la nascita dei sovranismi e il ritorno in forze dei nazionalismi. Contro il mito del nuovo ordine mondiale, che per Francis Fukuyama coincide con la vittoria definitiva della forma-governo democratica e parlamentare, della libertà di movimento e del diritto internazionale, si muovono forze opposte e incontrollabili, demolendo ogni giorno che passa il mito delle “frontiere aperte” di Schengen. E quei muri tra Nazioni europee, che si erano fronteggiate per secoli sul Continente, abbattuti simbolicamente dopo il 1991, tornano prepotentemente a erigersi nuovamente a causa dell’immigrazione incontrollata. Ironia della storia, la prima a farlo è stata la Germania del dopo-Merkel, per arrestare in funzione anti-Afd l’ondata immigratoria, che ha causato profonde divisioni interne in materia di sicurezza e coesione sociale.

Dopo Berlino, ben 11 Paesi europei hanno ripristinato “temporaneamente” i controlli alle frontiere, rinnovando i relativi provvedimenti di sei mesi in sei mesi come fa la Polonia, per contenere i flussi di immigrazione irregolare e il turismo criminale in provenienza dalle frontiere con la Lituania e la Germania. Identico atteggiamento è stato adottato da Bulgaria e Romania, anche se, stando alle voci critiche, la grande delinquenza interfrontaliera non sembra aver risentito delle nuove misure restrittive alla libertà di circolazione. Stando alle autorità di Bruxelles, l’unica risorsa efficace contro il crimine e il traffico di esseri umani è una più stretta cooperazione tra gli apparati di polizia e di sicurezza degli Stati membri firmatari degli Accordi di Schengen. Ma sono proprio le questioni connesse con il mito woke della “accoglienza aperta” e del diritto d’asilo a causare i maggiori disagi e divisioni all’interno della Ue, come è accaduto di recente a seguito della decisione della Corte nazionale per il diritto d’asilo (Cnda) francese, che ha stabilito il principio per cui “ai fuoriusciti palestinesi della Striscia di Gaza che non si trovano già sotto protezione Onu è riconosciuto lo status di rifugiato”, che dà diritto a un permesso decennale di soggiorno, al ricongiungimento familiare, all’assistenza sociale e ai sussidi riconosciuti ai cittadini francesi. La decisione della Cnda estende una sua precedente statuizione del settembre 2024, per cui il 70 per cento dei gazawi sotto protezione dell’Unrwa (l’Ufficio speciale dell’Onu per i rifugiati palestinesi) erano già considerati elegibili per il riconoscimento dello status di rifugiato, in quanto discendenti della famosa “Nabka” del 1948, quando i palestinesi furono espulsi per far posto allo Stato di Israele.

L’appiglio giuridico della Cnda, per ricollegare l’attuale estensione alle prescrizioni della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, risiede nella equiparazione dei “metodi di guerra utilizzati dalle forze israeliane” a una vera e propria “persecuzione fondata sulla nazionalità”. Questa decisione dell’11 luglio scorso della Cnda fa sì che l’intera popoblazione di Gaza, pari all’incirca a due milioni di abitanti, possa da oggi aspirare a ottenere la forma più esclusiva di protezione dei profughi in terra di Francia. Tutto ciò offre una misura drammatica della deriva a livello nazionale di un diritto d’asilo ormai fuori controllo, in quanto gestito in autonomia da istituzioni specializzate, in cui le Ong di protezione dei migranti svolgono la parte del leone, in quanto favorevoli a una “accoglienza incondizionata”, che non riconosce alcun limite quantitativo, né alcuna altra istanza di decisione democratica. Le maglie della Convenzione si sono così arbitrariamente dilatate fino a comprendere la nozione di “gruppo sociale”, che consente a intere popolazioni di rendersi eleggibili per il riconoscimento pieno dello status di rifugiato sulla base di pure motivazioni sociali. Per cui, le donne che rischiano l’infibulazione in Sudan o in Egitto, gli omosessuali birmani, kosovari o congolesi, gli ex schiavi della Mauritania, le persone affette da albinismo in Nigeria, e così via, hanno diritto a vedersi riconosciuto in Francia lo status di rifugiato.

Integrando l’insieme dei criteri che permettono ai richiedenti asilo di ottenere la protezione internazionale, si arriva a una stima di 580 milioni di persone nel mondo che potrebbero ottenere asilo in Francia, una volta depositata la relativa domanda sul territorio transalpino. Per tutta risposta a questa follia regolatoria, una coalizione di quattro Paesi europei, Germania, Francia, Polonia e Danimarca, ha riunito di recente i suoi ministri dell’interno a Zugspitze, località delle Alpi bavaresi, per trovare un accordo comune in materia di contenimento dell’immigrazione irregolare. La riunione è stata poi allargata ai colleghi cechi e austriaci, per trovare misure comuni ai fini della limitazione del diritto d’asilo e dell’immigrazione. L’uomo forte della riunione bavarese, denominato lo “sceriffo dell’immigrazione”, è stato il ministro dell’Interno tedesco, Alexander Dobrindt, che dall’insediamento del Governo Merz sovrintende al processo di respingimento dei richiedenti asilo non aventi diritto, soprattutto afghani, come dimostra un volo charter partito da Leipzig per Kabul il giorno stesso dell’inizio della riunione bavarese, con a bordo 81 migranti afghani responsabili di crimini commessi in Germania. L’espulsione è stata concordata tra le autorità tedesche e quelle afghane con la mediazione del Qatar: fatto quest’ultimo che ha consentito alla Germania di riprendere rapporti discreti con i talebani, affinché collaborino in modo più costruttivo con Berlino per riprendersi i propri concittadini fuggiti all’estero.

In tutto questo, la buona notizia è che, finalmente, anche l’elefante di Bruxelles sembra voler fare timidi passi per costringere i Paesi terzi a riprendersi, con le buone o con le cattive, i propri concittadini ai quali non è stata riconosciuta alcuna forma di protezione internazionale. Aspettiamoci, però, la solita montagna che partorisce il topolino, visto la dittatura wokist che impera dalle parti di Palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea.


di Maurizio Guaitoli