Droni russi manodopera africana

giovedì 3 luglio 2025


Il recente incontro al Cremlino tra il presidente golpista del Mali Assimi Goita e il presidente russo Vladimir Putin ha suggellato un rapporto dalle numerose sfaccettature. Oltre a macro-operazioni come l’aiuto contro la feroce invadenza jihadista in Mali tramite il supporto armato dei soldati dell’Africa Corps, versione statale ed erede dei mercenari Wagner, e scambi commerciali dove l’oro maliano è la colonna portante, vi sono anche altri apparentemente minori legami. Tra questi la presenza di soldati africani all’interno delle milizie russe che operano in Africa, previo addestramento in basi militari russe, ma anche il più recente reclutamento di centinaia di donne africane utilizzate nelle fabbriche di droni della Russia.

Il prolungamento della guerra in Ucraina ha obbligato così la Russia ad aumentare la capacità produttiva di droni militari, e avendo carenza di manodopera le fabbriche di armamenti russe stanno attirando donne africane che sono e saranno occupate nell’assemblaggio di droni, con la promessa di discreti compensi. Tuttavia, nella fase di ingaggio nei paesi di origine non risulta che sia ben definita la natura dei lavori che andranno ad eseguire.

Che qualche cambiamento in tal senso, ovvero nella produzione di droni, è avvenuto lo si nota anche dal numero crescente di droni kamikaze che in queste ultime settimane stanno colpendo l’Ucraina tramite attacchi combinati con missili russi. Centinaia di droni sono lanciati dalla Russia sul suolo ucraino, saturando le difese antiaeree di Kiev oltre che distruggere e terrorizzare i civili anche nella zona occidentale del Paese. I droni usati sono generalmente di fabbricazione iraniana come il Shahed 136, ma da tempo costruiti ed assemblati in fabbriche russe. I dati comunicati a fine giugno dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky, rivelano che solo nel mese scorso almeno tremila droni Shahed sono piombati sull’Ucraina, dato significativo se si considera che solo in un mese sono stati lanciati un decimo dei droni Shahed utilizzati in oltre tre anni di guerra.

Anche se la contraerea ucraina ne intercetta la maggior parte, lanciare contemporaneamente molte decine di droni rende difficile la loro distruzione prima che colpiscano gli obiettivi.

È evidente che la produzione russa di tali velivoli è aumentata considerevolmente, prima venivano “acquistati” dal cobelligerante soft Iran, ma ormai questi droni kamikaze hanno assunto una struttura diversa da quella iraniana, in quanto vengono costruiti direttamente in Russia, e da poco tempo sono assemblati da mani africane provenienti soprattutto, oltre che dal Mali, anche dall’Uganda, e in modo minore anche da altri stati africani “con il vassallaggio condiviso”, come dalla Repubblica Centrafricana, dal Burkina Faso, dal Niger, e non escluderei la manodopera femminile sudanese.

Questa nuova strategia adottata nelle ultime settimane è il nuovo punto forte dell’esercito russo; infatti, sia nella regione di Dnipropetrovsk o Sumy gli attacchi con droni hanno toccato livelli di una intensità che non si registrava da tempo.

Il progetto del Cremlino fa riferimento al programma nazionale denominato “Alabuga Start”, nome del complesso industriale di dimensioni importanti ubicato nella regione russa del Tatarstan. Un programma dalle caratteristiche peculiari e forse socialmente ambigue, infatti offre a migranti provenienti da paesi considerati poveri o sottosviluppati, l'opportunità di intraprendere corsi di formazione che porteranno ad una assunzione in ambiti lavorativi collegati, in questo caso, all'industria militare.

Tuttavia, un rapporto pubblicato a maggio dalla Gi, ovvero Global Initiative against Transnational Organized Crime, rivela che queste donne africane arrivate sul posto senza la minima formazione necessaria ad operare nelle fabbriche di droni, sono state immediatamente messe nella catena di montaggio. Risulta così che molte ragazze africane disilluse dalle promesse non mantenute, sfiancate dalle numerose ore di lavoro e pagate miseramente, sono tornate, non senza difficoltà, nel loro paese d’origine, esprimendo profonde critiche per il programma “Alabuga”.

Dal rapporto del Gi emerge che il programma Alabuga Start si rivolge principalmente a ragazze dai 18 ai 22 anni; queste vengono assoldate con la promessa di essere operative nel catering, nella logistica, nell'assistenza, ed anche nella conduzione di piccoli mezzi per lo spostamento dei materiali; tuttavia, la realtà è che sono state subito assegnate agli impianti di assemblaggio dei droni e alle pulizie.

Ma il progetto russo Alabuga ha sollevato il livello di attenzione anche in ambito internazionale, in quanto l’Interpol sta indagando su questa modalità di ingaggio che ha assunto immediatamente il profilo traffico di essere umani. Sempre “l’Organizzazione internazionale della polizia criminale”, ha esteso le sue indagini oltre che nei noti Paesi africani legati alla Russia anche in Botswana, dove il programma Alabuga sta facendo proseliti in modo massiccio.

Le accuse a Mosca sono, come già accennato, quelle di essere legata alla tratta di esseri umani, dove giovani ragazze africane con il miraggio di una vita dignitosa si trovano poi ad operare senza diritti in contesti ostili e comunque nel quadro di una guerra, quella contro l’Ucraina. Un sistema che inesorabilmente si sta sviluppando non casualmente in America Latina ed Asia, ambiti dove il “feeling” con la Russia non è irrilevante. 


di Fabio Marco Fabbri