martedì 1 luglio 2025
Quai d’Orsay è sotto stress. I contatti con Mosca sono febbrili. Lavrov è sotto pressione da lunedì pomeriggio. Da quando, cioè, un rapporto del Groupe Scet (Services conseil expertises et territoires) ha improvvisamente gelato gli entusiasmi bellicisti dell’Eliseo. Non ci sono soldi per fare la guerra alla Russia, guerra difensiva naturalmente. E quindi bisognerà chiedere, quasi implorare, Vladimir Putin di rinviare l’attacco all’Europa. L’Armageddon è a data da destinarsi. La Francia ha ancora bisogno di tempo per rispondere agli appetiti imperiali dello zar. Per adesso non c’è partita. Per la fine del mondo bisognerà attendere.
Lo studio dello Scet, che risponde direttamente alla Caisse des Dépôts, evidenzia infatti la mancanza di risorse dell’industria della difesa francese di fronte al riarmo della Nato. Detta brutalmente: l’armée non è attrezzata per affrontare le sfide del riarmo, sia per soddisfare le esigenze delle forze armate francesi, sia per consolidare la sua posizione di secondo esportatore di armi al mondo, dietro gli Stati Uniti. Il rapporto evidenzia le difficoltà che la base industriale e tecnologica della difesa (Bitd) deve affrontare di fronte all’aumento della spesa militare e al riarmo globale.
La conclusione è impietosa: “Né le sue capacità industriali né la sua infrastruttura di formazione sono attualmente calibrate per far fronte a un simile balzo in avanti”. La Bitd è, infatti, “sotto stress”, e questo limita la possibilità di aumentare i tassi di produzione “senza investimenti massicci”, il che comporterebbe il rischio a medio termine di non essere in grado di soddisfare la domanda legata all’aumento della spesa globale di armi, che è di 800 miliardi di dollari all’anno rispetto al 2024. Un aumento che potrebbe far entrare nelle casse dell’industria francese tra i 30 e i 45 miliardi di euro all’anno entro il 2035, tenuto conto le decisioni prese all’ultimo vertice Nato del 24 e 25 giugno, in cui i Paesi membri dell’Alleanza atlantica hanno deciso di destinare il 5 per cento del Pil alla spesa per la difesa, di cui il 3,5 per cento per la spesa militare e l’1,5 per la spesa “accessoria” (infrastrutture, cyber).
Parigi, dunque, fiuta l’affare per la crescita e la stabilità economica, in quanto secondo esportatore mondiale di armi, ma è consapevole anche dei suoi attuali limiti strutturali. Le tensioni nelle catene di approvvigionamento e nel settore del reclutamento potrebbero minacciare il fragile equilibrio della Bitd, poiché, in sostanza, “la Francia non è pronta a cogliere questa opportunità”. Potrebbe farlo, dice il dossier, se agisse su almeno 5 punti strategici, per superare le attuali difficoltà e procedere con l’organizzazione territoriale del riarmo produttivo: l’istituzione di un meccanismo dedicato per rafforzare la competitività industriale della difesa nei territori prioritari; rafforzamento del supporto ai cluster di difesa a sostegno degli ecosistemi territoriali (scuole di formazione, siti industriali, creazione di reti Pmi-accademiche e laboratori di ricerca-ministero delle forze armate); rafforzamento dei meccanismi di finanziamento per consolidare il settore, per mezzo di Bpifrance e l’Agenzia francese per gli armamenti; promozione della dualità delle Pmi per incoraggiare un aumento dell’attività di difesa, sia in termini di produzione che di fatturato; ulteriore trasferimento in Francia di attrezzature come le munizioni, che hanno un basso valore unitario ma sono richieste in grandi quantità.
L’occasione è ghiottissima, ma il lavoro è quantomeno a medio termine. Le esportazioni russe, crollate dopo la guerra in Ucraina, hanno permesso alla Francia di conquistare il secondo posto nel mercato mondiale degli armamenti, che rimane più che mai dominato dagli Stati Uniti. Le importazioni di armi degli Stati europei membri della Nato sono più che raddoppiate negli ultimi 5 anni e dipendono per oltre il 60 per cento dalla produzione statunitense, secondo un rapporto del Sipri (Stockholm International Peace Research Institute). Con l’Ucraina che logicamente è diventata il principale importatore di armi al mondo nel periodo 2020-2024, gli Usa hanno consolidato la loro posizione di principale esportatore. Rispetto al periodo precedente (2015-2019), la quota Usa nelle esportazioni globali è salita dal 35 al 43 per cento. La Francia è passata dall’8,6 al 9,6 per cento, beneficiando del crollo delle esportazioni russe dopo la guerra in Ucraina, scese dal 21 al 7,8. Il principale cliente di Parigi resta l’India, che acquista il 28 per cento delle armi esportate, il doppio di tutti gli altri Paesi europei messi insieme (15), verso cui però ha triplicato le sue vendite grazie ai jet Rafale piazzati in Grecia e Croazia e alla fornitura di armi all’Ucraina. La minaccia russa è stata una manna per l’industria bellica americana. Nel periodo 2020-2024, le importazioni di armi da parte degli stati membri europei della Nato sono aumentate del 105 per cento rispetto al periodo 2015-2019.
di Pierpaolo Arzilla