martedì 17 giugno 2025
Al di là della sacrosanta volontà di intervenire nel tentativo di bloccare per tempo i programmi nucleari di Teheran, le operazioni condotte dalle forze armate di Tel Aviv sembrerebbero rientrare in un piano ben più ampio e complesso che conduce direttamente all’obiettivo principe del governo di Israele: il “regime change”, ovverosia, il rovesciamento della teocrazia integralista al potere in Iran dalla rivoluzione islamica del 1979.
L’accuratezza con la quale le forze israeliane hanno colpito i loro bersagli in Iran, quasi esclusivamente militari, dimostra ampiamente come, quella che sta conducendo Tel Aviv, non sia un’offensiva contro il popolo iraniano nella sua interezza, bensì contro il regime fondamentalista che da decenni affama ed opprime i persiani.
In questo senso, la profondità con cui il Mossad è riuscito ad insinuarsi nei gangli vitali della Repubblica islamica attraverso una fittissima rete di infiltrati e collaboratori interni al regime di Teheran è prova, oltre che delle compravate capacità del servizio segreto israeliano, anche del crescente malcontento degli stessi iraniani nei confronti degli ayatollah. I raid israeliani delle scorse ore hanno già colpito profondamente la Repubblica islamica uccidendo una ventina di uomini posti ai vertici degli apparati strategici del regime, a cominciare dai comandanti dei Guardiani della rivoluzione e del Capo di Stato maggiore delle forze armate iraniane.
Adesso, dopo i durissimi colpi inferti dalle forze armate israeliane, il regime teocratico è mutilato. La Guida Suprema, Ali Khamenei, secondo quanto trapela da fonti di intelligence israeliane, dovrebbe già aver lasciato la sua residenza abituale, sita nel centro di Teheran, e raggiunto un luogo più sicuro insieme ai membri della sua famiglia, probabilmente un bunker segreto a Levizan, a nord-est della capitale iraniana. Proprio l’ayatollah, insieme al suo secondogenito ed erede designato Mojtaba e al presidente dell’Assemblea consultiva islamica Mohammad Bagher Ghalibaf, si troverebbe infatti in cima alla lista del Mossad, che presto potrebbe nuovamente tornare alla carica nel tentativo di colpire al cuore il regime fondamentalista.
Nonostante siano prontamente passati al contrattacco per evitare di mostrarsi fragili agli occhi del mondo, Khamenei e gli altri leader iraniani sono pienamente consapevoli dei rischi a cui vanno incontro sfidando apertamente Israele, e temono dannatamente i potenziali effetti dell’ennesima operazione chirurgica delle forze armate di Tel Aviv.
Un’eventuale nuova azione volta a decapitare altre figure chiave della teocrazia di Teheran, Khamenei in testa, potrebbe infatti contribuire a gettare nel caos la Repubblica islamica e spingere i principali oppositori, i riformisti o i leader della diaspora, come il principe ereditario Reza Pahlavi, a cercare di rovesciare il regime e impossessarsi del potere con il decisivo sostegno dell’Occidente.
Una prospettiva, questa, che non dispiacerebbe a Tel Aviv ed alletterebbe al contempo anche Washington, che, pertanto, potrebbe decidere di appoggiare l’offensiva finale del governo israeliano nel tentativo di centrare un successo storico, peraltro con un impegno militare abbastanza contenuto (la gran parte delle operazioni sarebbe a carico di Israele), ed imprimere la definitiva spallata al regime degli ayatollah. Ormai è solo una questione di tempo: la repubblica islamica è già sull’orlo del collasso.
di Salvatore Di Bartolo