Ma che guerra è? Davide e il Re Leone

lunedì 16 giugno 2025


Il Medio Oriente in fiamme? E perché le anime belle ireniste pacifiste se ne accorgono solo oggi, e non dal 1979 in poi, quando l’ombra nera dello sciismo khomeinista ha iniziato a disseminare la sua pece bollente in tutta la regione, doppiando il Capo Horn dell’Olp che voleva una sola Palestina “dal fiume al mare” e la cancellazione conseguente dello Stato di Israele? Quando i mullah di Teheran hanno iniziato a costruire la tela dell’Asse della Resistenza, inondando di armi le loro milizie proxy sunnite (Hamas) e sciite (Hezbollah, Houthi), come mai il mondo occidentale è rimasto silente? Solo perché tranquillizzato, in fondo, dal fatto che l’obiettivo comune da distruggere da parte di tutti i fondamentalismi era lo Stato di Israele che, a sua volta, avrebbe fatto da proxy per un Occidente divenuto pavido, dopo aver perduto due guerre scellerate contro i talebani afghani e i miliziani fondamentalisti (sunniti e sciiti) iracheni? Ma non bastò il Vietnam che, con il disastroso ritiro americano da Saigon, ci disse chiaro e tondo a noi occidentali super armati, e super illusi dal nostro benessere e superiorità tecnologica, che si potevano pure indossare le ciabatte e imbracciare ferrivecchi come i kalashnikov di epoca sovietica, per battere noi piccoli e grandi Satana dell’Occidente? Né allora, né dopo campimmo la lezione, che pure era chiarissima: contro gli straccioni armati che indossano una fascia verde sulla nuca o un fazzoletto al collo dello stesso colore, e che non hanno timore di morire, essendo tra l’altro molto più numerosi di noi nel difendere il loro “Sacro suolo dell’Islam” dall’invasore occidentale, le democrazie alla lunga non hanno altra scelta che soccombere, disarmate in primis dalle loro opinioni pubbliche interne.

Ora, se è vero che la deterrenza nucleare evita l’Armageddon della distruzione reciproca (quale regime, o governo democratico o autocratico che sia, può volere che il proprio territorio e il suo popolo siano rasi al suolo e sterminati?), difficile credere che lo stesso concetto valga per Paesi teocratici come l’Iran. Questo perché sono loro ad avere nelle proprie costituzioni l’obbligo religioso ed etico della distruzione pura e semplice dell’Entità sionista, eufemismo per non dire che si vuole una Shoah numero 2. Impossibile sperare, quindi, che quegli stessi Stati teocratici si tengano negli arsenali l’arma nucleare fine di mondo per sola deterrenza, e non per pronto impiego contro l’odiato nemico di sempre. Se proprio vogliamo, non doveva essere Israele ad agire preventivamente contro l’Iran, ma l’Occidente intero, visto che le fatwe dei mullah non lasciavano dubbi sulle loro intenzioni di colpire gli infedeli anche qui da noi. Vero che il Pakistan musulmano (e in parte fondamentalista persino nei ranghi superiori dei suoi comandi militari) ha un discreto arsenale nucleare, ma è anche vero che la sua preoccupazione, in caso di first strike, è l’India (che sa cavarsela benissimo da sola) e non l’Occidente. Idem per quello Stato canaglia della Corea del Nord, pronto ad affamare il proprio popolo con carestie inenarrabili, pur di giocare con i suoi missili e testate nucleari. Ma, anche lì, vale per Pyongyang come per Mosca il detto latino della decimatio: per una testata nucleare che tu tiri a me, io te ne tiro dieci a te. Nessuno lo dice, ma basta osservare la copertura capillare del cielo operata dai satelliti Starlink, per capire che l’Occidente è meglio attrezzato di ogni altro per le Guerre stellari, nel senso di poter rispondere in modo conclusivo e devastante a qualsivoglia firt strike proveniente da qualsiasi punto del globo.

Ora, a proposito della attuale confrontation Iran-Israele, nessuno che si chieda “ma che guerra è?”. E questo per almeno tre buone ragioni: la prima riguarda la differenza tra una battaglia di cieli e l’altra di terra come quella russo-ucraina. Le due nazioni, Israele e Iran (di cui la prima lillipuziana), sono infatti fisicamente a migliaia di chilometri di distanza tra di loro e, quindi, per scontrarsi con forze di terra (truppe corrazzate e reparti militari) dovrebbero reciprocamente attraversare numerose nazioni-cuscinetto (Giordania, Siria, Iraq) che, evidentemente, non si lascerebbero fare. La seconda riguarda la battaglia missile-antimissile, dove non vale il motto “chi la dura la vince”. E questo per alcune, evidenti ragioni: puoi inviare tutto l’arsenale di missili che possiedi (migliaia?) per forare e saturare sistemi alla Iron Dome, ma se non colpisci a morte basi aeree nemiche e i suoi impianti industriali per la produzione di nuovi missili di offesa-difesa, rischi che il tuo nemico giurato distrugga prima tutte le tue capacità belliche produttive con ciò che gli rimane intatto della sua aviazione militare. A questo punto chi resta senza missili e droni, che cosa fa? E qui sta il terzo aspetto d’importanza fondamentale. Se ti chiami Israele e hai finito le munizioni, vedrai certamente le tue città distrutte dalla pioggia di missili residui del nemico, sempre che altri non intervengano prima in tua difesa. Ora, se sei tu ad avere armi atomiche nascoste, non avrai altra scelta che usarle. Bene, anzi male. Bene, perché da quando le hai, tu Israele, i Paesi arabi confinanti hanno in silenzio ma permanentemente seppellito l’ascia di guerra nei tuoi confronti, e rinunciato all’opzione militare di invaderti e ricacciarti a mare con le armi.

Male, invece, perché non è sufficiente che un Paese nucleare sia una democrazia (sempre temporanea, ricordiamolo, come tutte le cose transeunti di questo mondo) per dare garanzie al resto dell’umanità. Infatti: qual è la catena di comando-e-controllo israeliana sull’uso dell’arma nucleare? Chi possiede le doppie (si spera triple) chiavi? Qual è la procedura di massima allerta che ne consente il ricorso estremo? Ecco, magari sarebbe opportuno saperlo, non convenite? Certo, le fionde convenzionali missilistiche una volta esauriti i loro sassi saranno costrette a fermarsi, sia dall’uno che dall’altro versante. Anche perché, ma bisognerà trattarlo a parte, nel grande gioco dei missili e droni ci sono la Russia (che dipende dalle forniture iraniane) e l’Ucraina, che dipende doppiamente dall’Occidente sia per le sue difese antimissile che per quelle offensive a medio-lungo raggio, in grado di colpire impianti russi degli armamenti e insediamenti militari all’interno di quel territorio. Ora, se è vero che tutti i regime change tentati con la forza delle armi e invasioni varie si sono rivelati un disastro e ritorte contro di noi (si vedano, in ordine cronologico, Afghanistan, Iraq e Libia), non si vede perché non dovrebbe accadere altrettanto con gli odiatissimi ayatollah. Ma, anche per loro, giocare a ricattare il mondo con il petrolio rappresenta un rischio estremo, perché se è vero che la Russia, primo produttore mondiale, ne ricaverebbe immensi vantaggi per finanziare la sua guerra, Teheran resterebbe senza entrate per garantire i sussidi statali alla sua popolazione affamata e stremata, perché a questo punto le sue petroliere-ombra potrebbero divenire un bersaglio legittimo. Allora, che si fa? Beh, noi si adotta il solito detto di “chinati giunco che passa la tempesta”!


di Maurizio Guaitoli