venerdì 13 giugno 2025
Fermare la Cina? Impossibile ormai, secondo alcuni sinologi internazionali, per i quali Pechino starebbe nettamente vincendo la partita geostrategica per il dominio del mondo. La sua vittoria consolidata si baserebbe sui seguenti punti di forza, destinati a durare fino alla fine del secolo, a causa dei forti ritardi ideologici e tecnologici da cui sarebbe oggi afflitto irrimediabilmente l’Occidente. Primo punto: la Cina non solo ha immensi giacimenti di terre rare sul suo territorio e concessioni minerarie importanti dello stesso tipo in giro per il mondo, ma Xi Jinping avrebbe il coltello dalla parte del manico nelle trattative con Donald Trump sui dazi e sull’interscambio commerciale con gli Usa. E ciò dipende dal fatto che è Pechino, l’ultima roccaforte del capitalismo (comunista) di Stato, ad avere il monopolio della raffinazione e dell’esportazione mondiale (pari al 92 per cento) dei metalli rari lavorati, indispensabili nelle produzioni strategiche degli armamenti e dell’Ai. Fu Deng Xiaoping a dire profeticamente all’inizio degli anni Ottanta, fin dai tempi della sua “rivoluzione”, che “il Medio Oriente ha il petrolio, ma la Cina possiede i metalli rari”, e l’Occidente sottovalutò fin da allora il suo monito. Un esempio tra tutti farà la differenza per capire di che cosa stiamo trattando. Nel recente braccio di ferro con gli Usa, la Cina ha posto severi limiti alle autorizzazioni governative per l’esportazione del samarium, che ha applicazioni esclusivamente militari e del quale oggi i cinesi hanno praticamente il monopolio assoluto.
Il samarium è un magnete altamente resistente al calore, indispensabile per l’equipaggiamento delle testate dei missili e per la manifattura di aerei da caccia e smart-bomb (eufemismo quest’ultimo con cui si indicano le così dette “bombe intelligenti”, guidate da sistemi Gps sui bersagli predefiniti). Pertanto gli Usa, essendo dipendenti in toto dalla Cina per le importazioni di samarium, sono esposti al fattore ad altissimo rischio di dipendenza da un forniture unico, così come accade anche per certi tipi di uranio arricchito che produce solo la Russia, indispensabili per il funzionamento delle mini centrali nucleari ad alta sicurezza e a elevato rendimento energetico. Altre due terre rare, per le quali la Cina ha fissato rigidi limiti all’esportazione, sono il dysprosium e il terbium, resistenti al calore (ma molto meno del samarium), presenti nei motori a combustione interna e utilizzati negli impianti frenanti e nello sterzo degli autoveicoli. Per capire la portata strategica che rivestono le terre rare, basterà dire che il principale consumatore americano di samarium è la Lockheed Martin, il più importante contractor dell’industria militare aeronautica degli Stati Uniti, che impiega qualcosa come 23 chili di magneti di samarium per ciascun esemplare dei suoi super sofisticati jet F-35. Durante l’Amministrazione Biden (che si era ben resa conto degli enormi rischi derivanti dalla dipendenza americana dalle terre rare raffinate cinesi) ci sono stati due tentativi di costruire negli Usa altrettanti impianti per la raffinazione del samarium, rimasti tuttavia sulla carta a causa di problemi commerciali.
Guarda caso, la restrizione delle esportazioni dalla Cina di samarium avviene proprio quando America ed Europa si trovano in grande difficoltà nel ricostituire gli stock di armamenti avanzati, a seguito delle guerre in Ucraina e a Gaza e delle relative forniture già inviate a Kiev e Tel Aviv per la difesa aerea. Per di più, la Cina ha posto sanzioni ad alcuni contractor americani a causa della fornitura di armi a Taiwan, impedendo così alle aziende cinesi di fare affari con questi ultimi. Finora, i riflessi sull’esportazione di samarium non si erano fatti sentire, dato che le industrie importatrici operavano prevalentemente nel settore chimico, miscelando il metallo raro al cobalto prima di venderlo alle manifatture che fabbricano magneti per rivenderli poi ai contraenti dell’industria militare. Ora, il problema sta tutto lì, dato che il controllo cinese sull’export di samarium prende di mira proprio l’utilizzatore finale del prezioso metallo. Fino al 1994 esisteva un impianto europeo altamente inquinante per la raffinazione del samarium, situato a La Rochelle, in Francia, che lo estraeva dalle miniere australiane, ma è stato costretto a chiudere per la concorrenza insostenibile degli analoghi impianti a bassissimo costo di Baotou, una località della Mongolia interna, verso il Sud del deserto di Gobi, con una triste storia di inquinamento ambientale, i cui livelli sono persino eccessivi anche per gli standard cinesi!
Dal punto di vista tecnico, occorre spiegare bene come stanno le cose. In primo luogo, raramente le terre rare si trovano in una concentrazione tale da renderne economico il loro sfruttamento minerario. Quindi, in generale, per ottenere il prodotto raffinato servono qualcosa come un centinaio di passaggi con acidi estremamente potenti e inquinanti, in grado di romperne i legami di coesione tra metalli rari e inerti. Secondo punto del presunto vantaggio della Cina sull’America: gli americani sono sempre più negativi rispetto al potenziale dell’Ai, mentre i cinesi sono tra i più ottimisti. Ancora: Pechino ha triplicato i suoi impianti nucleari mentre gli Stati Uniti li hanno ridotti; negli Usa lo sviluppo tecnologico ha prodotto disoccupazione, mentre in Cina ha creato molte decine di milioni di nuovi posti di lavoro; gli Usa si proteggono ritirandosi dalla globalizzazione, con le loro politiche di decoupling e de-risking, mentre i cinesi si battono per espanderla e consolidarla; e così via. Ma, punto di domanda: se la Cina è così forte e il suo sistema meritocratico confuciano per la selezione e la formazione superiore degli studenti migliori è così perfetto e all’avanguardia, come mai Xi teme il rimpatrio forzoso dei suoi giovani iscritti nelle migliori università Usa, e da lui inquadrati come tanti soldatini per saccheggiare quanta più possibile proprietà intellettuale e brevetti a quei “fessi” americani? E l’Europa che fa? Ancora una volta, non pervenuta!
di Maurizio Guaitoli