Chip cinesi e standard Usa, per Pechino è “bullismo”

mercoledì 21 maggio 2025


Il controllo dell’export di microchip cinesi “non funziona” e sarebbe un tipo di “bullismo unilaterale”, nonché “protezionismo”. Secondo la Cina, le nuove misure degli Stati Uniti per evitare l’importazione dei chip prodotti da Pechino avrebbero solamente causato lo sviluppo del comparto in patria. Il Ministero del Commercio cinese, promettendo “azioni ferme” di risposta contro iniziative penalizzanti, accusa Washington di “compromettere gravemente la stabilità della catena industriale globale e di approvvigionamento dei semiconduttori”. Al centro della controversia, le nuove linee guida varate dal Dipartimento del Commercio statunitense, che mettono nel mirino i semiconduttori prodotti in Cina destinati all’Intelligenza artificiale. Secondo Washington, queste misure sarebbero pensate per “condividere la tecnologia di Intelligenza artificiale americana con Paesi stranieri fidati in tutto il mondo, mantenendo al contempo la tecnologia fuori dalle mani dei nostri avversari”. Una strategia che, nei fatti, penalizza i chip Ascend sviluppati da Huawei e mette in allerta le aziende statunitensi che intendano collaborare con il colosso cinese.

La replica di Pechino è stata immediata e articolata: gli Usa “abusano dei controlli dell’export per contenere e sopprimere la Cina, violando il diritto internazionale e le norme fondamentali”, si legge in una nota ufficiale. Il governo cinese ha invitato l’amministrazione statunitense a “correggere immediatamente le proprie pratiche sbagliate”, denunciando l’impatto negativo che tali restrizioni hanno “sui diritti e gli interessi legittimi delle imprese cinesi” e sull’intero sistema industriale del Paese. Un monito è stato rivolto anche a chiunque – individuo o organizzazione – applichi tali disposizioni: potrebbero incorrere in responsabilità legali ai sensi della normativa cinese.

Sul fronte opposto, si registra anche un inatteso affondo da parte del settore privato americano. Jensen Huang, il presidente di Nvidia, ha definito le restrizioni statunitensi “un fallimento”. Durante il suo intervento al Computex di Taipei, il capo del colosso dell’hi tech ha spiegato che i “presupposti di base che hanno portato alla norma” si sono rivelati “fondamentalmente errati”, sottolineando come la quota di mercato di Nvidia in Cina sia crollata dal 95 per cento al 50 per cento dall’inizio del mandato di Joe Biden. Il risultato? Le aziende cinesi si sono riorganizzate, puntando su soluzioni domestiche come Huawei e accelerando lo sviluppo di una filiera autoctona. “Le compagnie locali sono molto, molto talentuose e molto determinate, e il controllo sull’export ha conferito loro lo spirito, l’energia e il sostegno del governo per accelerare il loro sviluppo – ha dichiarato Huang – Se ci penso, nel complesso, il controllo sull’export è stato un fallimento”. Il rafforzamento del settore tecnologico cinese, innescato proprio dalle restrizioni americane, è oggi sostenuto da investimenti pubblici massicci che puntano a sganciare il Dragone dalla dipendenza da forniture estere. Il blocco, paradossalmente, ha agito da acceleratore per la crescita autonoma dellindustria nazionale dei semiconduttori.

Le nuove direttive Usa, secondo Pechino, hanno “seriamente minato il consenso raggiunto” nei recenti colloqui commerciali di Ginevra, dove si era tentato di stabilire una tregua di 90 giorni sulle misure protezionistiche. Ora, quel fragile equilibrio rischia di crollare. La Cina ha ribadito che continuerà a difendere i propri interessi industriali e commerciali, riservandosi “misure risolute” qualora Washington prosegua lungo la strada delle sanzioni unilaterali.


di Zaccaria Trevi