Tunisia: proseguono le “grandi purghe”

lunedì 12 maggio 2025


Il 6 maggio scorso a Tunisi si è aperto un nuovo procedimento giudiziario contro una serie di personaggi politici, ex influenti, accusati di cospirazione contro la sicurezza dello Stato. L’azione giudiziaria si è avviata presso la Camera penale che si occupa dei casi di terrorismo del Tribunale di primo grado di Tunisi; e vista l’intensità di queste azioni concentrante in questo ultimo periodo, il 2025 già passerà alle cronache come l’anno dei grandi processi politici voluti dal regime del presidente, sempre più autocrate, Kaïs Saïed. Questo nuovo caso di “persecuzione politica” è stato soprannominato dalla stampa locale, ancora in grado di pronunciarsi, “complotto numero 2”. Il procedimento è indirizzato a 24 ex politici di varia provenienza, ma soprattutto del partito islamo-conservatore Ennahda e ex dirigenti dei servizi di sicurezza. Tra i politici il nome più altisonante è quello di Youssef Chahed, capo del governo tra il 2016 ed il 2020, e Nadia Akacha, ex direttrice, 2020-2022, dell’ufficio presidenziale di Kaïs Saïed.

Ricordo che il 19 aprile si era concluso con la comminazione di pene detentive comprese tra quattro e 66 anni, il processo per cospirazione contro la sicurezza dello Stato a carico di almeno 40 politici dell’opposizione. Il 69enne Ali Larayedh, ex ministro degli Interni e poi capo del governo tra il 2011 e il 2014, il 2 maggio è stato condannato a 34 anni di carcere, con l’accusa di avere organizzato una rete di reclutamento di miliziani jihadisti poi destinati a combattere in Libia, Siria e Iraq. Un processo tenuto quasi a porte chiuse, erano presenti solo alcune testate giornalistiche di regime, ma l’assenza di prove concrete e la modalità degli interrogatori hanno sollevato serie perplessità sulle reali basi accusatorie; ma è noto che in tali contesti, e non solo, l’importanza non sono le prove ma le accuse. Larayedh, che è detenuto dal 2022, ha sempre dichiarato ai giudici di essere estraneo a tale “questione”, e che non ha mai avuto ruoli da complice e tantomeno atteggiamenti di indifferenza nei confronti del terrorismo; affermando che tale azione penale è una aggressione verso di lui e il suo partito Ennahda, con scopi esclusivamente politici.

La delegittimazione del partito Ennahdha è strutturata su sentenze applicate con “purghe” verso i leader politici del partito, ma anche verso ogni espressione dell’opposizione al presidente Saïed. La condanna di Larayedh si somma all’arresto dell’ex giudice amministrativo e avvocato Ahmed Souab, avvenuto il 21 aprile scorso, che ha fortemente criticato la politica oppressiva di Saïed. Souab fu arrestato dalla Brigata antiterrorismo e posto in custodia cautelare in seguito alle critiche espresse sul processo farsa per cospirazione contro la sicurezza dello Stato, nel quale aveva agito come avvocato difensore. Da allora è stato accusato di gravi reati ai sensi della legge antiterrorismo tunisina. Il messaggio di Saïed è comunque chiaro e diretto alla comunità giuridica e alla società civile tunisina. È evidente che tale repressione rappresenta una guerra contro il dissenso, e mirata alle attività professionali legate anche al mondo forense. Anche la Corte internazionale di giustizia ha esortato, per l’ennesima volta, le autorità tunisine a garantire un corretto lavoro nei tribunali, con la necessità di porre fine alle aggressioni verso chi opera nella professione legale. Ma come di consuetudine il “messaggio” è stato decisamente inascoltato.

Da parte sua, Saïed, non intende porre fine all’applicazione della pretestuosa legge sull’antiterrorismo e nemmeno alle oppressive leggi che regolano le telecomunicazioni. Intanto, nel Paese cresce il malcontento e aumentano le manifestazioni contro il presidente. La settimana scorsa si sono verificate due manifestazioni degli oppositori al regime che hanno visto scendere in piazza a Tunisi centinaia di persone, che hanno accusato Saïed di usare la magistratura e la polizia per mettere a tacere il dissenso. L’Habib Bourguiba Avenue, è stato lo scenario di tali manifestanti anti-Saied, gli slogan incitavano il Presidente ad andarsene accusandolo di essere un dittatore. Tali espressioni di protesta richiamano quelle che hanno portato alla rivolta del 2011, che ha costretto l’ex presidente Zine El-Abidine Ben Ali a lasciare il potere dopo 23 anni. Ma i sostenitori di Saïed hanno tenuto una contro-manifestazione sullo stesso viale, gridando la loro fedeltà al presidente.

L’opposizione accusa Saïed di essere il demolitore della democrazia conquistata con la rivoluzione del 2011, dato che nel 2021 ha modificato la Costituzione in senso accentratore, acquisendo nuovi poteri, esautorando le funzioni parlamentari, e governando per decreto, per poi assumere anche il controllo della magistratura. Le varie organizzazioni per i diritti umani, denunciano una imponente deriva autoritaria, avvertendo che le conquiste democratiche nate dalla Primavera araba dopo 2011 stanno subendo un costante arretramento. Ma non bisogna dimenticare che Kaïs Saïed è anche lui un effetto collaterale del processo pseudo-democratico della “Primavera araba”, in un contesto sociale dove ogni forma di democrazia ha difficoltà a trovare una collocazione naturale.


di Fabio Marco Fabbri