Licenziare Powell, si può?

venerdì 18 aprile 2025


Se dipendesse da Donald Trump, Jerome Powell avrebbe già in mano il proverbiale scatolone con dentro tutti i suoi averi. Il tycoon è tornato ad attaccare frontalmente il presidente della Federal Reserve bank, accusandolo di non agire nell’interesse dell’economia statunitense. “È terribile e non sta facendo un buon lavoro. Dovrebbe tagliare i tassi”, ha affermato il commander-in-chief degli Stati Uniti, lasciando intendere che, se dipendesse da lui, “Powell andrebbe via subito”. Le dichiarazioni hanno riacceso il dibattito sulla possibilità che un presidente degli Stati Uniti possa legalmente destituire il capo della Fed. Secondo la maggior parte degli esperti, il mandato del presidente della banca centrale è protetto da norme che ne garantiscono l’autonomia. Ma Trump, convinto del contrario, starebbe valutando da mesi l’ipotesi di rimuoverlo. A riferirlo è il Wall Street Journal, secondo cui il presidente ne avrebbe parlato in via confidenziale anche con l’ex governatore della Fed Kevin Warsh, sondandone la disponibilità a prendere le redini dell’istituto.

Sia Warsh che il segretario al Tesoro Scott Bessent, tuttavia, avrebbero sconsigliato una simile mossa, temendo contraccolpi sui mercati finanziari e un indebolimento della credibilità internazionale degli Stati Uniti in un contesto già caratterizzato da forte instabilità. L’ultimo affondo di Trump è arrivato di recente: “Quando lascerà sarà sempre troppo tardi”, ha scritto il presidente su Truth Social, all’indomani della decisione della Banca centrale europea di ridurre il costo del denaro. “Se l’Europa taglia i tassi questo ci mette in una posizione di svantaggio”, ha sottolineato il capo della Casa Bianca, affiancato dalla premier italiana Giorgia Meloni durante un incontro ufficiale. A esasperare il presidente è stata anche la valutazione di Powell sull’impatto dei dazi: il number one della Fed – nominato da The Donald nel 2018 – ha infatti suggerito che le barriere commerciali potrebbero avere effetti più gravi del previsto sull’economia statunitense, alimentando l’inflazione. Parole che Trump ha accolto con irritazione. “Sbaglia ed è sempre in ritardo” sui tassi, ha tuonato, ribadendo che “i prezzi del petrolio, degli alimentari e anche delle uova sono scesi”, a suo dire una ragione sufficiente per intervenire con una politica più accomodante.

Powell, per il momento, mantiene la linea della prudenza. La Fed si considera “in una buona posizione per attendere maggiore chiarezza”, soprattutto alla luce dell’incertezza legata alla guerra commerciale. L’orientamento prevalente è quello di mantenere i tassi invariati almeno fino a quando non si concluderà il periodo di tregua tariffaria di 90 giorni, deciso dalla Casa Bianca per favorire le trattative. Un taglio nella riunione di maggio è giudicato altamente improbabile dagli analisti. Maggiore è la possibilità di un intervento a giugno, anche se tutto dipenderà dall’evoluzione dello scenario macroeconomico e geopolitico. Intanto, dal Fondo monetario internazionale arriva un ulteriore richiamo all’equilibrio. “La politica monetaria deve restare agile e credibile”, ha affermato la direttrice dellFmi Kristalina Georgieva, anticipando un taglio alle previsioni di crescita, pur escludendo l’eventualità di una recessione nel breve termine. Georgieva ha tuttavia avvertito che “più a lungo dura l’incertezza sui dazi, maggiori saranno i costi, anche economici”.


di Zaccaria Trevi