Iran-Usa: un dialogo nucleare a Roma

mercoledì 16 aprile 2025


La caduta del regime siriano di Bashar al-Assad ha posto l’Iran in una posizione di debolezza internazionale. La mezza luna sciita guidata da Teheran che aveva in Damasco l’anello più strategico, ora con i sunniti al potere in Siria, ha subito l’apertura di una falla di influenza che obbliga gli Ayatollah a riprendere azioni sia di politica estera che interna finalizzati a tamponare questa escalation verso un isolamento politico. Il regime iraniano sta subendo forti contestazioni interne ed è sottoposto alle pressioni statunitensi, che lo stanno portando ad una spasmodica ricerca di una continuità negoziale con gli Stati Uniti, soprattutto per la revoca delle sanzioni economiche che incidono pesantemente sulla politica nucleare.

Con la mediazione del Sultanato dell’Oman, Haytham bin Ṭariq bin Taymur Al Saʿīd, in sintonia con Teheran e da tempo mediatore tra la Repubblica islamica e i Paesi occidentali, il 13 aprile si è svolto uno dei rarissimi colloqui ufficiali tra i delegati statunitensi e iraniani. I due Paesi, dal 1979, data della rivoluzione iraniana e la conseguente crisi degli ostaggi Usa, non intrattengono relazioni diplomatiche ufficiali. L’incontro ha tenuto al centro la questione dell’energia nucleare e la revoca delle sanzioni. Il governo iraniano ha chiesto che il colloquio tra il ministro degli Esteri Abbas Araghchi e l’inviato statunitense Steve Witkoff, si dovesse tenere con “colloqui indiretti”, anche se, per “voce iraniana”, un breve scambio di parole tra i due delegati in modalità diretta c’è stato. Comunque l’incontro ufficialmente si è svolto indirettamente tramite i portavoce dei due rappresentanti. Per chiarire tale modalità negoziale i rappresentati diplomatici dei due Paesi convergono nel medesimo edificio ma in locali separati, affidando le loro comunicazioni alla così detta staffetta diplomatica. Quindi un contatto faccia a faccia è escluso, modalità non amata da Donald Trump che punta molto sul contatto visivo.

Il regime iraniano è indebolito, oltre che dalla perdita dell’alleata Siria di Assad, anche dalle sconfitte impresse da Israele ai suoi alleati regionali, come Hamas, Hezbollah libanesi, e anche in cooperazione con i suoi alleati soprattutto statunitensi, agli Houti yemeniti. È noto che da decenni l’Iran punta a sviluppare l’atomica come arma nucleare, anche se il regime respinge tali accuse ribadendo che le sue attività nucleari sono limitate a scopi civili, asserzione ovviamente non veritiera. Trump ha adottato la nota politica della “massima pressione” nei confronti dell’Iran, imponendo nuove sanzioni che colpiscono, oltre che il programma nucleare, anche il settore petrolifero. In queste ultime ore ha anche aumentato la pressione non escludendo un attacco militare contro l’Iran se non ci saranno sviluppi costruttivi a livello negoziale. Inoltre va considerato che Israele, che in molte occasioni tramite i suoi servizi segreti ha sabotato impianti di ricerca nucleare presenti in Iran, sarà ovviamente molto coinvolto in un eventuale azione militare americana contro Teheran, in quanto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu considera il programma nucleare iraniano una minaccia per Israele.

La Casa Bianca ha comunicato che il primo incontro è stato fruttuoso, ritenendo che le discussioni siano state “molto positive e costruttive”. Abbas Araghchi tramite la televisione di stato iraniana ha confermato la positività dei negoziati, così hanno concordato di proseguire i colloqui, che per quanto dichiarato dal ministro degli Esteri olandese Caspar Veldkamp, ​in una intervista a Bruxelles, si terranno a Roma il 19 aprile. L’incontro di Roma sarà preceduto da una serie di colloqui trasversali ma funzionali al successo del vertice; infatti Araghchi sarà, o dovrebbe già essere, a Mosca per confrontarsi con i consiglieri diplomatici russi, anche se Teheran ha tenuto a sottolineare che il viaggio in Russia era già stato programmato; ma si sa che le relazioni diplomatiche camminano tra complessi labirinti negoziali.

Ricordo che Mosca nel 2015 ha sottoscritto un accordo nucleare internazionale anche con Teheran, diventando membro di un gruppo di Nazioni tra cui Cina, Francia, Regno Unito, Usa e Germania. L’accordo è decaduto a seguito del ritiro degli Stati Uniti nel 2018. Il testo prevedeva la revoca di alcune sanzioni internazionali nei confronti dell’Iran in cambio della supervisione dell’Aiea, Agenzia internazionale energia atomica, sul programma nucleare iraniano. Proprio Trump nel 2018 ha ritirato unilateralmente il suo Paese dall’accordo, motivando la decisone per la mancanza di provvedimenti contro il programma missilistico balistico di Teheran, percepito come una minaccia per l’alleato israeliano. Quindi ripristinando le sanzioni. Come risposta l’Iran ha gradualmente soppresso i suoi impegni aumentando l’operatività delle sue centrifughe, macchine utilizzate per arricchire l’uranio e per una maggiore produzione nei suoi siti di FordoNatanz.

Tuttavia, è chiaro che lavorare per avere l’arma nucleare non è finalizzato al suo uso in quanto esistono circa 20mila bombe atomiche concentrate nell’asse Stati Uniti-Cina; solo Israele ne dovrebbe possederne da 150 a 200. Questi ordigni sono abbastanza monitorati, quindi in caso che uno degli stati possessori volesse utilizzarli partirebbero in breve tempo tutte le atre celebrando il funerale del Pianeta. in quanto una guerra tra potenze nucleari non avrà mai un vincitore.

Ricordo che l’unico caso di utilizzo della bomba atomica si è verificato tra due Stati, uno dei quali sprovvisto di ordigno nucleare. È scontato che se il Giappone avesse avuto l’atomica gli Stati Uniti avrebbero riflettuto molto prima di usarle.


di Fabio Marco Fabbri