The Washington Consensus: il disastro russo

venerdì 21 marzo 2025


Perché è successo? Come siamo arrivati a questo punto di una Russia nemica dell’Europa, e di una nuova guerra sul nostro continente? Tutta colpa di americani, tedeschi e francesi! Invece di varare un Piano Marshall 2.0 si preferì ricorrere alla spietata dittatura del Washington Consensus, responsabile del disastro epocale della Russia post-1991 (poi salvata dallo stesso Vladimir Putin dopo gli anni 2000). Questo perché le élite post-sovietiche di allora, completamente allo sbando, adottarono d’emblée le dottrine neoliberiste del libero mercato. E lo fecero senza che vi fosse una teoria standard su come passare da un’economia pianificata, e altamente centralizzata, a un sistema competitivo di mercato. Nel senso che, all’epoca, gli economisti addetti alla transizione e consiglieri di Boris Yeltsin si trovarono a operare senza una “mappa” di riferimento, all’interno di un mondo del socialismo reale duro a morire. E, come accade ogni volta che un elefante entra in una cristalleria, si produssero danni irreversibili nel corpo sociale ed economico della Russia di allora, i cui effetti negativi si riverberano fino a oggi. Questo perché molti di quei principi sui quali si doveva orientare la nuova politica furono letteralmente inventati nottetempo, allontanandosi in pratica da qualsivoglia modello di riferimento pregresso. Si scelse, cioè, una politica opposta a quella hayekiana, adottando un “pacchetto” di riforme disegnato in Washington e destinato a essere applicato tale e quale dai governi nazionali nel resto del mondo.

Senza capire (Hayek) che un ordine sociale non è il frutto di un grande disegno, bensì l’emergenza spontanea della risultante di tutte le forze individuali che aspirano a ottimizzare il proprio interesse. E le grandi istituzioni bancarie internazionali di allora (Banca Mondiale; Fondo Monetario Internazionale, e così via) costrinsero i vari governi post-sovietici dell’epoca ad accettare senza discutere, se volevano salvarsi dalla bancarotta, il pacchetto onnicomprensivo delle riforme economichelacrime-e-sangue” soprannominato, per l’appunto, Washington Consensus. Quest’ultimo, in estrema sintesi, era costituito da un insieme di politiche dettate da una profonda fede nelle virtù di mercato, orientate a ridurre e minimizzare l’azione regolatrice del governo centrale. Questo tipo di stabilizzazione forzata avvenne a spese del cittadino, con il crollo del Prodotto Interno Lordo, seguito da un aumento vertiginoso della disoccupazione e del costo della vita a causa dell’iperinflazione, che nel 1992 raggiunse il livello record del 1600 per cento, dovuto da un lato alla messa in circolazione di un enorme risparmio privato investito in nuovi consumi e, dall’altro, al contestuale vertiginoso aumento della massa monetaria da parte della Banca Centrale  a sostegno dei consumi interni. Di fatto, la libera circolazione dei capitali e la liberalizzazione del cambio resero l’economia post-sovietica particolarmente vulnerabile alla speculazione finanziaria internazionale, mentre tre scellerati processi successivi di privatizzazione degli asset statali produssero il fenomeno perverso degli oligarchi, concentrando in poche mani le principali, immense risorse naturali russe, come gas e petrolio.

In una prima fase, alla fine degli anni 80, si è assistito a un processo di “privatizzazione spontanea”, dove i responsabili di stabilimenti produttivi di proprietà dello Stato si impossessarono di fatto del loro controllo a fini di interesse personale, mentre in altri casi le imprese riuscirono a registrarsi come corporation indipendenti, con l’approvazione dei rispettivi ministeri di controllo. Con la stessa procedura inversa, l’ex Ministero del Gas Naturale si auto convertì in Gazprom Corporation. La seconda fase fu caratterizzata nel 1992 da un programma di privatizzazione di massa varato da Anatolij Chubais (allora responsabile del Comitato per la Proprietà di Stato), in base al quale ai cittadini russi vennero distribuiti dei voucher per opzionare l’acquisto di azioni delle imprese di Stato, sul modello cecoslovacco, ad eccezione di quelle più redditizie che operavano nei settori energetici e minerari. Sennonché, nel caso russo, si consentì a lavoratori e manager di acquisire la maggioranza delle azioni della propria impresa, con il risultato che il 70percento delle aziende statali furono acquistate dai rispettivi direttori, nominati in epoca sovietica.  La terza fase di privatizzazioni riguardò proprio le grandi aziende escluse nella fase precedente, che finirono in mano ai famosi oligarchi, gli unici a possedere capitali finanziari autoctoni (il governo di allora non voleva che le proprie aziende finissero in mani straniere!) per l’acquisto a prezzi irrisori delle azioni relative, in uno Stato fuori controllo e praticamente in bancarotta. Le transazioni  relative  avvennero in un clima avvelenato dalla corruzione, a prezzi d’occasione e con contraenti di comodo. Lo schema fu quello noto come swapping shares, per cui le banche con sede a Mosca, in cambio di azioni delle grandi aziende statali operanti nei settori iper redditizi dell’energia e dei minerali, concessero prestiti allo Stato che avrebbe dovuto restituirli alle scadenze prefissate. Cosa che puntualmente non accadde, creando così il fenomeno degli oligarchi.

Ora, il nuovo “European Consensus”, che consiste nell’alleggerimento dei vincoli di bilancio dei Paesi membri per lo scomputo delle spese per la difesa, dovrebbe fare la massima attenzione a non ripetere il disastro precedente del Washington Consensus. Nel senso che, invece di puntare tutte le carte su di un’Europa federale, con difesa, finanza e politica estera gestite da un unico centro di spesa e di governo, si offrono, in pratica, dei voucher ai Paesi membri per acquistare armi sul mercato statunitense. L’obiettivo, invece, dovrebbe essere quello di liberarsi quanto prima del duo Zelensky-Putin, perché sia l’Europa a concordare con la futura Russia una Yalta tutta europea. Fallita la controffensiva ucraina nell’estate del 2023, l’Europa a (finta) trazione franco-tedesca ha commesso l’errore imperdonabile di non obbligare Zelensky a chiedere la mediazione di Biden per una tregua con la Russia, quando ormai era chiaro che per l’Occidente (Usa + Europa) sarebbe stato impossibile sostenere fino in fondo l’Ucraina, perché mancavano proiettili e uomini di cui, ahimé, abbondava una Russia passata a un’economia di guerra e con tre volte la popolazione ucraina. Ma, senza le molte migliaia di testate nucleari a noi necessarie per sederci al tavolo con Russia, Usa e Cina, dove vogliamo andare con il mantra gestuale dell’infelice ReArm Europe?


di Maurizio Guaitoli