La guerra di Londra e dell’Ue per bruciare i soldi russi

mercoledì 19 marzo 2025


I rapporti tra Mosca e Washington sono decisamente ottimi, distesi. Si va verso lo stop completo di aiuti militari e d’intelligence da parte dell’Occidente all’Ucraina: pardon da parte degli Usa, mentre Unione europea e Londra gelano. Sono i “requisiti chiave” solo per la Russia e gli Usa per porre fine alla guerra. Sono le condizioni che Vladimir Putin ha potuto illustrare nella lunga telefonata con Donald Trump: colloquio di due ore “più che produttivo” per il presidente Usa. Putin e Trump sono già oltre la pace, e Russia e Usa guardano già ad affari comuni. Il nodo da sciogliere rimane la belligeranza che Bruxelles e Londra intendono portare avanti contro Mosca, soprattutto contro gli imprenditori russi.

I calcoli parlano di circa 1.000 miliardi tra sterline ed euro che gli oligarchi russi hanno investito tra Londra ed Amsterdam in meno di vent’anni. Oggi né la City di Londra né tantomeno le borse dei “Paesi frugali” sono in grado di restituire quei soldi ai più importanti imprenditori russi. Perché quei capitali sono finiti in un vortice folle d’investimenti immateriali: la creatività finanziaria dei genietti al soldo dei poteri bancari Ue e della City ha bruciato gran parte di quei capitali nell’elettrico sperimentale, nel green a tutto tondo, nell’evanescente sostenibilità, nel circolare effimero e frugale che funziona solo negli spot pubblicitari. Appena finisce la guerra, la Russia presenterà il conto ai poteri bancari Ue ed alla City di Londra: ecco che il Deep State europeo e londinese punta sul protarsi del conflitto per non pagare i conti. Nel caso Ue e Londra debbano proprio onorare i debiti, ob torto collo, provvederanno i cittadini delle rispettive nazioni a fare sacrifici, a stringere a la cinghia. Ecco che Bruxelles ha messo comunque sul tavolo l’opzione di bruciare i risparmi dei cittadini europei per circa mille miliardi. Per gli eurocrati sarebbe mera partita di giro, per i cittadini la fame, il falò di tutti i loro sacrifici che andrebbero o in armi o per risarcire gli imprenditori russi.

Per afferrare il problema basta solo andare con la mente al caso dell’oligarca russo più famoso in Inghilterra, perché ne hanno parlato tivù e giornali: è la storia di Roman Abramovich, proprietario di importanti aziende e noto per il Chelsea Football Club. I rapporti tra le autorità del Regno Unito ed Abramovich si erano rovinati quando Abramovich ha iniziato a chiedere conto, tramite i legali, dei soldi che ha investito nella City londinese. La risposta di Londra è stata la repentina revoca del visto britannico: ma gli inglesi avevano ignorato che Abramovich ha anche un passaporto israeliano, così tramite Israele ha denunciato al mondo la scorrettezza degli operatori finanziari occidentali. Questa mossa ha consentito al proprietario del Chelsea di avere ancora nel Regno Unito un patrimonio immobiliare di circa 350 milioni di sterline. Londra non s’è certo fermata, ha subito accusato Abramovic di essere prossimo alle persone che avrebbero avvelenato l’ex spia sovietica Sergej Skripal, poi la polizia britannica ha persino esteso in Svizzera le proprie indagini per accusare il proprietario del Chelsea di riciclare soldi nel sistema bancario elvetico. Abramovich sta puntualmente rispondendo a tutte le accuse. Il patrimonio mondiale di Abramovich ammonta a circa 14 miliardi di dollari: certo l’imprenditore (che è anche un politico russo) non intende farsi bruciare da Londra i suoi 350 milioni di sterline investiti nel Regno Unito. Abramovich è stato il primo a denunciare la scorrettezza del sistema finanziario inglese ed europeo. Ma anche altri imprenditori russi hanno concorso ad investire, per un totale di circa 1.000 miliardi tra sterline ed euro, tra mattone e titoli azionari a Londra ed in Europa; era stato loro garantito l’anonimato, anche perché è stato calcolato che nella sola City di Londra i russi hanno speso un miliardo e mezzo di sterline in proprietà immobiliari, alimentando sia il circuito fiscale britannico che la manutenzione dei palazzi.

Per non parlare del prestigioso ateneo di Cambridge, che annovera tra i principali benefattori Dimitri Firtash, oligarca ucraino in dissenso con Volodymyr Zelens’kyj e molto attivo nella filantropia: Firtash nel Regno Unito non ha mai avuto problemi con la giustizia, ma oggi dalla City è visto male solo perché alla sua immensa ricchezza avrebbero contribuito gli investimenti nella Gazprom. Logicamente Firtash ha buoni rapporti col Cremlino, e questo non piace a Londra. Infatti, durante la gestione Biden, sia Londra che Washington hanno tentato di portare Firtash davanti ad un tribunale Usa per presunte attività illecite compiute su suolo americano: ovviamente l’oligarca s’è difeso, ben conscio che la City avrebbe voluto bruciargli tutti gli investimenti.

Mille miliardi sono un bell’investimento, un bel capitale da erodere, far sparire, bruciare: Vladimir Putin ha sul tavolo i dossier dei tentativi di Londra ed Unione europea di alienare gli investimenti dei cittadini russi. L’allora premier Boris Johnson aveva varato misure per colpire l’oro di Mosca investito nel Regno Unito: l’enorme pacchetto di sanzioni economiche studiate per azzoppare l’economia russa è stato poi varato con la scusa della guerra in Ucraina. La manovra Johnson nasce da lontano, da circa dieci anni Londra lavora a troncare la dipendenza da petrolio e da gas russo per boicottare le politiche del presidente Putin. Ma la City ormai è nota come Londongrad: le scuse di Londra per bruciare capitali ai cittadini russi sarà il tema dei prossimi colloqui tra Putin e Donald Trump.

Del resto che l’obiettivo, non tanto velato, della City fosse boicottare le azioni russe quotate al London Stock Exchange è emerso negli ultimi due anni. La guerra è servita a Londra per tentare d’isolare la Russia dal sistema finanziario. L’esclusione del Cremlino dal sistema di pagamenti Swift è stato il segnale notato anche dall’uomo di strada. La City di Londra conta ancora tantissimo finanziariamente, è ancor oggi il centro globale di riferimento per le quotazioni nelle borse. La guerra è servita a Londra per bruciare 570 miliardi di dollari dal valore di mercato di 23 titoli russi quotati presso la City: i più noti sono Gazprom PJSC, Sberbank of Russia PJSC, Magnit Pjsc e Rosneft Pjsc. Il London Stock Exchange ha persino boicottato la Severstal, la più grande compagnia siderurgica e mineraria russa gestita da Alexei Mordashov, e danneggiato Oleg Deripaska (il maggiore operatore dell’alluminio). Nel mirino della City anche il miliardario Andrei Guriev, proprietario di Witanhurst ad Highgate a Londra (la più grande casa privata della capitale britannica, seconda solo a Buckingham Palace per dimensioni come edificio privato inglese). Nel mirino dei bruciatori londinesi ed europei di capitali dell’energetica Lukoil, Polyus (il più grande produttore russo di oro), i capitali di Suleiman Kerimov, la Sberbank, Novolipetsk Steel (una delle quattro maggiori società siderurgiche russe). Poi c’è stato il blocco completo di oltre 60 asset russi tra la City ed i mercati Ue, atto che ha comportato per gli imprenditori russi danni miliardari: con la pace potrebbe essere presentato il conto sia a Londra che a Bruxelles, Donald Trump certamente non spezzerebbe lance a favore di poteri finanziari prossimi a Ursula von der Leyen e City di Londra.

Insomma, grande ottimismo da parte di Trump, che ha parlato di un colloquio telefonico “molto buono e produttivo” su Truth (Truth Social è il social network creato dalla Trump Media & Technology Group). “Questa guerra − ha spiegato Trump − non sarebbe mai iniziata se fossi stato io il presidente! Sia il presidente Putin che il presidente Zelensky vorrebbero vedere la guerra finire”. Così mentre migliorano le relazioni bilaterali tra Stati Uniti e Russia, invece in Europa e Gran Bretagna viene alimentata la pubblicistica in favore della guerra. E sorge il dubbio che oscuri finanziatori, prossimi a certi poteri europei, intendano allontanare la pace per non pagare penny.


di Ruggiero Capone