mercoledì 19 marzo 2025
Il voto del 12 marzo scorso ha segnato una svolta negli equilibri politici groenlandesi. Per la prima volta dalla conquista dell’autonomia nel 1979, i partiti di sinistra e centrosinistra, Inuit Ataqatigiit (Ia) e Siumut, hanno perso la maggioranza nell’Inatsisartut (parlamento). Il partito social-liberale Demokraatit ha aumentato la propria rappresentanza da due a 10 seggi, mentre la formazione indipendentista Naleraq ha raddoppiato i propri deputati passando da quattro a otto. I risultati non rappresentano tanto uno spostamento ideologico quanto piuttosto un segnale di insoddisfazione verso la coalizione uscente. L’elettorato groenlandese ha manifestato preoccupazioni economiche concrete, in particolare riguardo alle norme sulla pesca, percepite come un favore ai grandi gruppi industriali a scapito dei piccoli pescatori indipendenti. Anche la crescente inflazione, che ha eroso il potere d’acquisto delle famiglie, ha alimentato il malcontento popolare.
Mentre la questione dell’indipendenza rimane centrale nel dibattito politico groenlandese, ma cambia l’approccio. Un sondaggio condotto lo scorso gennaio ha rivelato che il 56 per cento dei cittadini è favorevole all’autodeterminazione, ma questo consenso diminuisce drasticamente quando si prospetta un possibile calo del tenore di vita. Secondo Jonathan Steenberg, economista di Coface per il nord Europa, “Demokraatit propone una strategia di indipendenza sostenibile, evitando scelte che potrebbero compromettere il benessere dei cittadini. Il partito intende rafforzare le basi economiche del Paese prima di procedere verso l’indipendenza, considerando che circa metà del bilancio pubblico groenlandese dipende ancora dai trasferimenti danesi. Gli interessi americani nella regione sono evidenti: la Groenlandia offre una posizione militare privilegiata nell’Artico, il potenziale controllo delle future rotte commerciali che si apriranno con lo scioglimento dei ghiacci, e soprattutto l’accesso a giacimenti di minerali critici. Il territorio ospita ben 23 minerali strategici secondo le stime della Commissione europea, una risorsa di valore inestimabile nell'attuale scenario globale”.
Le dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti Donald Trump sul progetto di integrazione della Groenlandia negli Usa hanno influenzato l’esito elettorale. L’85 per cento dei groenlandesi ha respinto l’ipotesi di abbandonare il Regno di Danimarca per diventare territorio americano, secondo una rilevazione di gennaio. Con la probabile formazione di un esecutivo guidato da Demokraatit, verosimilmente in coalizione con Atassut e Siumut, si profila un cambiamento nelle politiche estrattive. Il nuovo governo potrebbe riconsiderare il divieto imposto nel 2021 sull’estrazione dell’uranio e incentivare gli investimenti privati, inclusi quelli americani. L’influenza di Trump e la reazione groenlandese hanno avuto ripercussioni nella regione nordatlantica. L’Islanda, dopo le consultazioni del novembre 2024, è ora guidata da un governo favorevole a un referendum per l’adesione all’Ue nel 2027. Anche in Norvegia cresce il dibattito sulla collaborazione con Bruxelles, sebbene l’opinione pubblica resti prevalentemente contraria all’ingresso nell’Unione.
“Stiamo assistendo a un riposizionamento degli equilibri geopolitici nell’area artica che influenza direttamente le scelte politiche e commerciali di diversi Paesi – ha aggiunto Ernesto De Martinis, Ceo Regione Mediterraneo e Africa Coface – Il recente aumento degli investimenti nella difesa annunciato dalla Danimarca e il crescente interesse per i referendum di adesione all’Ue in Islanda sono segnali concreti di questo cambiamento. La Groenlandia, con le sue risorse strategiche e la posizione geografica privilegiata, sta diventando un punto focale nella competizione tra potenze globali, con ripercussioni dirette sugli assetti economici e commerciali dell’intera regione nordica”.
di Redazione