Serbia, 300mila manifestanti contro il presidente Vučić

martedì 18 marzo 2025


Molti insegnamenti possono arrivare dalla Serbia. Parliamo di geopolitica, economia ed energia. Non si può tacere un evento eclatante: trecentomila manifestanti nello scorso fine settimana sono sfilati a Belgrado contro la corruzione, contro cui nulla farebbe il presidente Aleksandar Vučić (nella seconda foto). È stata la più grande protesta di massa di tutta la storia serba. Nonostante alcuni scontri con la polizia, in generale l’imponente protesta si è svolta senza scontri, anche se ve ne sono state tracce a Pionirski Park, dov’era accampato un gruppo di proprietari di terre legato al partito al Governo. Molti militari erano schierati davanti al Parlamento serbo in Piazza Slavija, dove sono sfilati i manifestanti, giunti in buona parte a Belgrado dopo una marcia a piedi o in bicicletta durata giorni. La scintilla della protesta attuale si è accesa lo scorso novembre, quando sono morte 15 persone a causa del crollo del soffitto della stazione della città di Novi Sad, importante snodo delle comunicazioni stradali e ferroviarie tra Serbia, Croazia, Ungheria e Romania. Alcuni sostenitori del presidente Vučić hanno aggredito gruppi di giovani rimasti lontano dal corteo.

Alcuni aggressori sono stati arrestati, così com’è avvenuto ad alcuni studenti che avevano attaccato i proprietari di terreni accampati coi loro trattori nel Pionirski Park. Molti cittadini hanno offerto da mangiare e bere a chi sfilava. Intanto, sul fronte giuridico, sono tredici le persone indagate per il disastro di Novi Sad, mentre il Governo ha annunciato una campagna anticorruzione, che finora ha portato alle dimissioni del primo ministro Miloš Vučević e di suoi due ministri. Ma il problema – come nel pesce – non sta solo nel “grosso caprone espiatorio”: il pesce puzza dalla coda non meno che dal capo. Quanto ad Aleksandar Vučić, presidente della Serbia dal 2017, è un populista cerchiobottista e ambidestro. Il suo itinerario politico sembra quello di Totò e Peppino a Milano, a giudicare dai molti partiti da lui fondati o navigati, sempre con nomi annebbianti. Quello attuale si chiama Partito progressista serbo. Sembra una replica del Partito democratico schleiniano, ma non è così.

Nel mezzo della caotica transizione da Jugoslavia a Serbia Vučić ebbe modo di piantare radici come giornalista a Pale, nella Repubblica ancora serba di Bosnia ed Erzegovina. Poi, oibò, entrò nel Srs (Partito radicale serbo), che – a ignominia del nome e in barba al Partito transnazionale di Marco Pannella – era un gruppo ultranazionalista serbo alla maniera degli attuali fan fanatici della Stella rossa calcistica. In due anni diventa segretario dell’Srs e nel 1998 entra da ministro dell’Informazione nel Governo del Partito socialista di Serbia guidato da Slobodan Milošević, poi indagato e condannato dal Tribunale penale dell’Aja per crimini commessi in Bosnia. Da ministro dell’Informazione nel corso della guerra del Kosovo, emana una legge che sancisce il controllo governativo assoluto sul flusso delle informazioni in tutta la Serbia, bloccando i media contrari al regime di Milošević. Nonostante un warning (?) da Bruxelles, Vučić usa appieno i metodi putiniani: i giornalisti non allineai vengono multati – o peggio – mentre i media esteri vengono considerati come agenti nemici ed espulsi. Vučić difese il massacro di Srebrenica (8mila morti bosniaci musulmani uccisi dai paramilitari serbo-bosniaci). Dopo le elezioni del 2000, che videro la vittoria dei democratici, passò all’opposizione. Nel 2003, sempre col Partito radicale serbo Srs, guida la lotta alla Corte dell’Aja e alla Ue.

Intanto, il Governo del Partito democratico al potere fa il suo consueto lavoro, ottenendo pessimi risultati sul piano economico. Nel 2008 ci sono delle epurazioni nel Partito radicale. Il vecchio leader Tomislav Nikolić annuncia la nascita di un nuovo partito mentre Vučić si dimette e dichiara di ritirarsi dalla politica attiva. Pochi mesi dopo però entra nel nuovo Partito progressista serbo (Sns) di Nikolić come vicepresidente. Nel 2010 fa un perfetto autodafé dichiarando i suoi errori riguardo gli orrori commessi in Serbia. Intanto, il fidato Nikolić viene eletto presidente della Serbia e Vučić diventa presidente del Sns. Da allora diventa – de facto – il leader della Serbia, sul modello della Russia dove si alternano Dmitrij Medvedev e Vladimir Putin, come due facce della stessa medaglia. Nel 2014 il Sns vince le elezioni e forma una coalizione col Partito socialista serbo (nazionalista), Vučić diventa premier. Un anno dopo viene quasi lapidato mentre partecipa alla commemorazione del massacro di Srebrenica, ed è costretto alla fuga. Vučić a questo punto inizia una fase di liberalizzazioni, con conseguente crescita del Pil (+3 per cento). Le riforme sono una richiesta dal Fmi, dal quale la Serbia ottiene un finanziamento. Nasce qui una fase di avvicinamento alla Ue, che però condiziona la Serbia a una “riappacificazione” con il Kosovo e l’Albania. Vučić soddisfa le richieste, e ottiene una visita a Belgrado del premier albanese Edi Rama, inaudita da 70 anni. Con Rama parla dell’autostrada Serbia-Kosovo-Albania, che sarebbe una manna per tutti, soprattutto per la Serbia rimasta priva di porti dopo la fine della Jugoslavia.

 

Italia, Ue, Vučić e Putin: gas ed economia

Il presidente serbo ha mantenuto tutti i buoni rapporti panslavisti tra Serbia e Russia. Ciò non si è limitato alle parole: la Serbia non ha applicato le sanzioni occidentali contro la Russia dopo l’annessione della Crimea e l’occupazione dell’Ucraina. In questo momento la Serbia è cerchiobottista, con buone relazioni con Bruxelles e con Mosca. Il modello sembra quello di Recep Tayyip Erdoğan, amichevole nei confronti della Russia come della Nato. Intanto, la Serbia sta acquistando alcuni sistemi missilistici e anti missile russi (come gli S-400 e S-500) e ha incrementato l’export verso Mosca. Sette anni fa Belgrado ha partecipato a manovre militari congiunte con Russia e Bielorussia. L’anno dopo ha ospitato altre esercitazioni “panslave” e ha aderito al progetto di gasdotto TurkStream tra Russia-Turchia-Bulgaria e Macedonia del Nord. La pipeline sostituisce la Transbalkan che prima passava da Ucraina e Romania. Il pompaggio ha superato i 376 milioni di metri cubi dal 13 al 19 gennaio 2025, restando l’unica via per la fornitura di gas russo all’Europa balcanica e del Sud. L’Italia è il terzo partner economico di Belgrado, con 4,47 miliardi di euro nel 2024, dietro Germania (9 miliardi) e Cina. Il Pil serbo nel 2024 è cresciuto del 4 per cento, la migliore performance europea.

Si capisce quindi perché Vučić voglia mantenere la sua neutralità, ma con partenariati militari sia con la Nato sia con la Russia. Il presidente serbo è stato oggetto di alcuni attentati, di matrice oltranzista interna o estera. Certamente persistono nel Governo serbo i due errori fondamentali di Vučić: la corruzione e il controllo “alla russa” della stampa. Due fattori che sono coincidenti, essendo uno causa dell’altro: la corruzione inguaribile (per scelta o perché la criminalità burocratica dilaga comunque) produce censure e repressione dell’informazione. Se Vučić lasciasse libera la stampa, perderebbe probabilmente un potere durato troppo a lungo. Ma continuare a reprimere l’informazione senza contrastare con successo la corruzione levantina, è un fattore di rischio persino maggiore. Come dimostrano le proteste. Questi due fattori valgono in realtà in tutte le democrature a oriente di Gorizia. In Cina, il Partito comunista è diventato una gigantesca macchina economico-burocratica-mafiosa. Una corruzione immane rivestita di politica e “belle parole”, ma che sopravvive solo grazie a un pesante controllo dell’informazione. Lo stesso vale nella Russia, in forma oligarchica.


di Paolo Della Sala