venerdì 14 marzo 2025
Tutta la stampa s’è tutta tuffata sulla “maxi-operazione”, nome in codice “Generazione”, condotta della polizia giudiziaria belga. La cosiddetta “stampa istituzionale” s’è detta sconvolta, fingendo di non sapere che a Bruxelles la corruzione lobbistica controlla le politiche della Commissione Ue, e nella totale certezza che il Parlamento europeo non ha alcun peso.
Soprattutto, il “clan von der Leyen” ha la forza d’inibire che i partiti ricandidino europarlamentari che contrastano il piano alto degli affari europei. Da circa una decina d’anni, i piani alti della corruttela europea hanno indirizzato gli investimenti Ue privilegiando armamenti e farmaceutico. Ogni tanto gli scandali diventano di dominio pubblico. Quindi il potere ci lavora un po’ sopra, incontra vertici di procure a Davos come a Parigi durante vertici istituzionali ovattati e riservati agli addetti. E nonostante il leggero baccano, la momentanea indignazione, poi tutto rientra nella totale indifferenza.
Oggi è il turno dei lobbisti di “Generazione”, mentre ieri la Procura europea indagava sui messaggi tra Ursula von der Leyen ed il capo dell’azienda farmaceutica che aveva venduto due miliardi di vaccini alla Ue. Si parlava di “interferenza nelle funzioni pubbliche, distruzione di sms, corruzione e conflitto di interessi”. Qualcuno ha parlato, forse una burla, di una tangente da 25milioni di euro che un’importante azienda farmaceutica avrebbe pagato a non si sa quale vertice Ue. Resta il fatto che Ursula von der Leyen, già accusata di gestire contratti in modo opaco quand’era ministro della Repubblica tedesca, finiva per essere sospettata ma mai indagata.
C’è anche il caso di Eva Kaili, ex vicepresidente del Parlamento europeo accusata di corruzione nello scandalo Qatargate: ma è stato fatto rientrare quando il “partito von der Leyen” ha temuto si accendessero su Bruxelles i riflettori circa l’enorme traffico d’interessi con tutte le multinazionali del pianeta. Bruxelles è oggi la capitale del nuovo impero carolingio, chi ci vuole fare affari imponendo a più di cinquecento milioni di cittadini i propri prodotti, i vari programmi finanziari e i conseguenti obblighi, deve passare dal “clan von der Leyen”. Qualche azienda media e grande, o qualche multinazionale non consolidata, tenta la furbata d’investire sui parlamentari Ue: di pagarne i buoni uffici perché si adoperino a convincere dell’affare i funzionari della Commissione. Capita che il “clan” scopra la manfrina, così qualcuno allerta la procura di Liegi.
Forse è partita così, in questi giorni, la maxioperazione della polizia giudiziaria belga: un centinaio d’investigatori, su ordine del giudice istruttore e della procura federale, hanno perquisito e fermato i lobbisti legati al colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei. Dalla Vallonia alle Fiandre si sono sentite sirene e visto sfrecciare auto della polizia come a Milano tra il 1992 e il ’93. Per elencare i sospettati di quest’ultima operazione non basterebbero i canti danteschi dell’Inferno. Sui lobbisti il sospetto d’aver corrotto circa una quindicina di attuali europarlamentari ed altrettanti ex rappresentati europei. Obiettivo delle elargizioni sarebbe stato favorire gli interessi commerciali della multinazionale in Europa. Ma chi ha allertato la procura? Sappiamo che Washington da anni cerca di marginalizzare Huawei nel mercato europeo. Sappiamo anche che Huawei è stata fondata nel 1987 da Ren Zhengfei, e che ha il quartier generale a Shenzhen, Guangdong (Cina): soprattutto quel quartier generale sta alla Cina come Langley (Virginia) agli Stati Uniti (Cia), o Echelon di Menwith Hill alla Gran Bretagna (MI6).
In apparenza i lobbisti sono tutti tra loro amorevolmente collaborativi. Le loro teste saltano quando non sono più graditi alla corte di Bruxelles, o perché i vertici europei vogliono dare a Washington il contentino che l’Ue elimina la potente multinazionale cinese. Ecco che i lobbisti della Huawei vengono tutti indistintamente accusati di “corruzione, falsificazione e uso di documenti falsi, riciclaggio di denaro e organizzazione criminale”. La domanda sorge spontanea: ma i lobbisti del chimico-farmaceutico, del finanziario o delle armi usano forse fiori o bruscolini per corrompere i funzionari Ue?
Questo scandalo aiuta non poco a togliere da sotto i riflettori i rapporti tra Commissione Ue e multinazionali degli armamenti. Utile ricordare che i lobbisti più influenti non trattano con i parlamentari europei, ma direttamente con l’alta dirigenza e con i vertici della commissione Ue. Ne sanno qualcosa i cosiddetti “lobbisti istituzionali” di Aselnan, Hindustan Aeronautics, Rheinmetall, Ati, Hanwha Aerospace, Saab, Rolls-Royce, Bharat Electronics, Leonardo, Bae Systems, Dassault Aviation, Thales, Melrose Industries, Howmet Aerospace, Axon Enterprice, Bwx Technologies, Curtiss Wright, Transdigm, Safran, Elbit Systems, Huntington Ingalls, Boeing, Lockheed Martin, Airbus, Bombardier, Heico, General Dynamics, Northrop Grumman, Mtu Aero Engines, Textron.
Il loro passaggio dal Parlamento di Bruxelles è sporadico, temono soprattutto le richieste di favori da parte degli europarlamentari, che reputano per la maggior parte (fatte le dovute eccezioni) una manica d’inutili peones. Si tratta di importanti “gruppi di pressione” (portatori d’interessi) il cui fiato pesa sui palazzi dell’Unione europea come l’alito pesante del capo sulla segretaria succube. È stato stimato che, annualmente i lobbisti investono su Bruxelles in pubbliche relazioni circa 1,5 miliardi di euro: soldi utili ad orientare scelte e politiche comunitarie, come far cambiare elettrodomestici ai cittadini od indurli a bruciare i risparmi (o indebitarsi) per rendere green la propria abitazione.
Ora la Commissione europea ha priorità ben più forti, e nessun peones può far indietreggiare Ursula von der Leyen: il piano consiste sullo scommettere gran parte delle risorse Ue sul settore degli armamenti, mettendo a garanzia i risparmi dei cittadini, gli stipendi e le pensioni della gente comune, soprattutto distraendo risorse da sanità pubblica e i trasporti. Una scommessa che parte da lontano, nel 2017 Bruxelles finanziava il settore armamenti con mezzo miliardo di euro, nel 2021 l’Ue aggiungeva circa otto miliardi di euro nel Fondo Europeo per la Difesa, a luglio 2023 veniva approvata la legge Asap che mira al “sostegno della produzione di munizioni”.
La legge Asap elargisce per tutto il 2025 i sussidi per incrementare l’industria bellica, per convertire aziende medie e grandi nella produzione di munizioni e armamenti vari. Negli anni passati molti lobbisti sono diventati vertici del parlamento Ue o della Commissione: l’esempio cardine è il francese Thierry Breton che, da amministratore delegato della francese Atos (tecnologie militari) assurgeva a Commissario europeo per “il mercato interno e i servizi”, ed ancora a capo della Direzione generale per l’industria della difesa e lo spazio dell’Ue (Dg Defis). O come il diplomatico spagnolo Jorge Domecq che, per i buoni rapporti con l’industria bellica francese, è passato dalla European Defence Agency (Ue) a consulente del ramo militare di Airbus. Porte girevoli europee sempre per i soliti e per figli, parenti e amanti dei soliti lobbisti.
Oggi Bruxelles supera Washington per numero di lobbisti presenti, molti di loro sono sotto mentite spoglie: soprattutto vengono appoggiati da uomini dell’intelligence dei paesi più ricchi dell’Ue. A Washington, media e rappresentanti al Congresso, sono abituati da sempre alla presenza dei lobbisti, e le istituzioni Usa mettono regole e limiti all’invadenza dei portatori d’interessi. Invece Bruxelles paga il prezzo del noviziato, quindi si concede a questi portatori d’interessi al pari d’una giovane ancella a cospetto del vecchio nababbo. Va detto che non c’è funzionario o peones della politica che non abbia figlio o nipote o favorita da sistemare, ecco che il lobbista provvede a far assumere i segnalati nell’azienda che rappresenta.
Capita che il Parlamento europeo abbia approvato le nuove regole per il registro dei lobbisti con base a Bruxelles. Ma i vari membri di Consiglio e Commissione europea continuano comunque ad incontrare privatamente, in amicizia, i vari portatori d’interesse. Bruxelles è la capitale mondiale dei lobbisti, ne conta 12.500 solo di registrati, altrettanti si dimenerebbero comunque in pratiche più o meno maldestre di “avvicinamento” delle istituzioni. Google, Airbus, Confederazione europea dei sindacati, Digital Europe, Microsoft, Camera di commercio americana presso l’Ue, Facebook, Association des Constructeurs Européens d’Automobiles e Euro Commerce sono le lobby che registrano gli incontri e fanno conferenze alla luce del sole. Ma le riunioni importanti tra lobbisti e legislatori, quelle che permettono di varare linee d’intervento, non si svolgono alla luce del sole: sono le riunioni determinanti e decisive, da cui poi scaturirà l’obbligo d’aggiornare gli elettrodomestici all’ultima classe Euro e categoria energetica, o probabilmente la conversione in munizionamenti dell’ormai vetusta fabbrica di lavatrici.
È da Bruxelles che parte tutta la frenesia, l’instabilità, la precarietà, quella mobilità europea che ci vuole tutti a girare come trottole e con sempre meno soldi in tasca.
di Ruggiero Capone