venerdì 14 marzo 2025
Finito il digiuno da debito? A quanto pare, il nuovo cancelliere tedesco Friedrich Merz (nella foto) potrebbe tentare il miracolo del triplo salto mortale (sempre possibile in politica), trovando una maggioranza qualificata nel vecchio Bundestag, per rimuovere la scure costituzionale che fissa il deficit federale allo 0,35 per cento su base annua. Per farlo, però, Merz deve poter aggirare la minoranza di blocco rappresentata dalla somma dei seggi di Linke, Afd, Bsw nel nuovo Parlamento, cosa che gli impedirebbe l’approvazione della modifica costituzionale con la prevista maggioranza qualificata dei due terzi. Così, sfidando l’inopportunità politica e la scorrettezza istituzionale, il cancelliere in pectore, d’accordo con il suo futuro sodale Olaf Scholz, capo del Governo tedesco fino alla fine del mese, ha deciso di convocare il vecchio Parlamento per far passare con la prevista maggioranza qualificata la riforma dello Schuldenbremse, o “freno al debito”. Sono da ritenere scontati, a questo punto, i ricorsi dell’opposizione per bloccare la convocazione del vecchio Bundestag. In compenso, tutta l’Unione europea trattiene il fiato, in attesa del “momento Merz” che dovrebbe rompere il tabù dell’indebitamento tedesco, investendo centinaia di miliardi di euro in difesa e infrastrutture, in modo da rilanciare il settore manifatturiero in crisi recessiva. Sulla sua scia, monta la retorica di uno scatto d’orgoglio dell’Europa per fronteggiare la minaccia congiunta della Russia revanscista e dell’America transazionale di Donald Trump, che molti vedono come un complice delle malefatte di Vladimir Putin, attento solo ai propri interessi.
Con un gioco di sponda del tutto inedito, è stato proprio Merz il convitato di pietra dello scorso summit del 6 marzo al Consiglio europeo, convocato per discutere le misure di sostegno dell’Ucraina. Da lì, l’annuncio (concordato soprattutto con la Germania) del presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen di un piano (ReArm Europe) da 800 miliardi per gli armamenti, a carico sostanzialmente dei bilanci per la difesa dei singoli Paesi membri. L’altra grande novità con l’arrivo di Merz sarà la ripresa in grande stile della “entente cordiale” tra Berlino e Parigi, superando così il clima di diffidenza che si è instaurato dapprima con Angela Merkel e poi proseguito con Scholz. Il futuro incontro vedrà l’anatra zoppa Emmanuel Macron (privo di una maggioranza parlamentare, ma molto impregnato di una Grandeur che fu) e il nuovo cancelliere tentare ancora una volta assieme di riscrivere le regole comuni, per fare dell’Europa una potenza continentale, anche se il tempo gioca nettamente a loro sfavore. Mai come oggi, infatti, i due hanno interessi convergenti, volendo evitare che siano i populisti di destra, francesi e tedeschi, ad avere la meglio al prossimo turno elettorale.
Tra gli obiettivi condivisi, si citano la necessità di includere la Polonia come terzo partner dell’alleanza franco-tedesca, nonché di avviare un processo di semplificazione normativa nell’attuale Unione iper-regolamentata, mettendo finalmente in secondo piano l’eurocrazia di Bruxelles, in modo da ridimensionare il ruolo della Commissione europea, a vantaggio delle decisioni politiche di vertice, che non vanno “appaltate” a Bruxelles. Merz, tra l’altro, allievo del compianto ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, è favorevole al modello dell’Europa a più velocità (o per “cerchi concentrici”), sulla falsariga delle Coalition of the willing, per cui si può procedere con chi ci sta a costruire una sempre maggiore integrazione a livello europeo, anche coinvolgendo Paesi extra Ue, come il Regno Unito, in materia di difesa. Tuttavia, la futura luna di miele tra Parigi e Berlino potrebbe essere abbastanza effimera (The Economist ci scherza su con il calembour Merzi-beaucoup), dato che c’è da attendersi qualche frizione con Bruxelles da parte della nuova Grösse Koalition. Tanto più che il futuro cancelliere è un vero novizio sulla scena politica internazionale, non avendo mai ricoperto ruoli di governo, né all’interno, né all’esterno del suo Paese. Tra l’altro, Macron non ha molto tempo per rimettere le cose al suo posto in Europa, scadendo il suo mandato nel 2027, dato che la visione tra Francia e Germania sul futuro dell’Unione è fatta di molti distinguo e di interessi non proprio convergenti. Berlino, infatti è nettamente per il libero mercato, mentre Parigi è molto meno entusiasta da sempre.
Altra contrapposizione di rilievo: la Francia guarda con grande interesse all’emissione di eurobond per la difesa comune, del tipo di quelli che sono stati utilizzati per favorire la ripresa dopo la pandemia da Covid, mentre per la Germania l’argomento resta assolutamente tabù. Tant’è vero che Merz ha annunciato un piano nazionale di riarmo, da finanziare a debito con 500 miliardi di euro nell’arco di un decennio che, in sé, contiene più di un obiettivo. Il principale tra questi è, come accennato, l’esigenza assoluta di rimettere in piedi l’industria manifatturiera tedesca e, quindi, di riavviare la locomotiva germanica in panne, in modo che possa fare da traino alle altre economie nazionali europee. L’idea è di sostenere il riarmo della Germania con la conversione di parte dell’automotive in crisi, attestando di conseguenza la spesa per la difesa al 3,5percento del Pil, in linea con la richiesta della Nato. Oggi, l’economia tedesca, in recessione tecnica da due anni, è in crescita zero per il 2025, con un Pil praticamente identico a quello di cinque anni fa.
Tuttavia, nuove e inedite condizioni di convivenza tra Parigi e Berlino dovranno necessariamente essere individuate, dopo il sempre più accentuato de-linking tra Stati Uniti e Europa. Fatto quest’ultimo (probabilmente irreversibile) che costringerà Macron e Merz a trovare sempre e comunque un compromesso, in caso di dissenso su punti qualificanti, per far uscire l’Europa dalla policrisi attuale. La speranza è che l’Italia sia in futuro l’ago della bilancia per il riassetto dei nuovi equilibri tra le due sponde dell’Atlantico. Incrociamo le dita!
di Maurizio Guaitoli