mercoledì 12 marzo 2025
Quello che sta accadendo in Siria è una storia già vista. Prima l’Iraq di Saddam Hussein, deposto nel 2003, il Paese è ancora in balia di correnti antagoniste che lo rendono molto meno sicuro di quando era governato da quello definito come il “dittatore Saddam”, che invece era il presidente di uno Stato islamico. Poi nel 2011 Muammar Gheddafi, deposto per interessi internazionali quando la Libia era unita e generalmente equilibrata nel suo “relativismo sociale”. Oggi ha due governi, contrapposti, uno a Tripoli, l’altro a Bengasi, e la regione del Fezzan governata da un centinaio di gruppi armati organizzati con assetto tribale. Mancava la Siria, la terza colonna della regione. Deposto Bashar al-Assad da un movimento islamista legato al jihadismo, e da una serie di interferenze internazionali, compresa quella della Turchia, l’attuale presidente jihadista golpista Ahmed al-Sharaa, ora con giacca all’occidentale, ma con barba islamista, dovrebbe governare la Siria, ma controlla, forse, non più di due terzi del territorio. Al-Sharaa ha costruito il suo curriculum alla scuola di al-Qaida, e prima di prendere il potere guidava il gruppo sunnita radicale Hayat Tahrir al-Sham, organizzazione sotto il mirino delle sanzioni internazionali.
Su queste basi era verosimile che l’attuale potere damasceno non potesse controllare tutto il territorio siriano, già parcellizzato sotto Assad. Infatti al-Sharaa governa appena la Siria centrale, a nord sussistono gruppi jihadisti anarchici, l’area del Nord-Est, denominata Rojava, controllata dai curdi, ma molta parte del territorio apparentemente sotto gestione centrale, è martoriato da varie tipologie di ribelli che saccheggiano chiunque in nome del jihadismo, ma soprattutto in nome dell’anarchia. Ma anche all’interno del gruppo dei governanti jihadisti tutti abbigliati all’occidentale, frange ribelli e sabotatori seriali esistono. È il caso dei cinque giorni di sangue, terminati lunedì, che hanno colpito la comunità alawita e i cristiani della costa, flagellando quelle poche sicurezze ostentate dal regime. Un’operazione militare per combattere le milizie alawite fedeli all’ex presidente deposto, e ancora organizzate ed operanti con modalità da guerriglia; ma come risulta dal comunicato dal Ministero della Difesa siriano l’operazione è conclusa. Sul numero dei morti i dati sono come sempre frutto di ipotesi, non essendo usuale contare le vittime dei massacri, comunque non meno di 1.500 persone hanno perso la vita.
A dimostrazione della precarietà del controllo del territorio siriano ricordo che l’innesco dell’offensiva governativa è dato da un attacco il 6 marzo da parte di un gruppo di miliziani alawiti dell’ex presidente Assad, all’esercito “regolare”, nella regione di Latakia, dove è concentrata la minoranza alawita. Risulta da informazioni siriane che l’ideatore delle recenti violenze è un certo Moqtar Fatiha, alawita, considerato uno scagnozzo del regime che da settimane fomenta azioni contro il nuovo governo. Fatiha ha accusato la sua stessa comunità alawita di essere traditrice, a causa di accordi di pace sottoscritti con il nuovo potere di Damasco. Lo scopo di fomentare ribellioni è quello di rendere instabile il sistema governativo e soprattutto di non rendere solidi quegli accordi di tregua istaurati fra le varie realtà religiose e confessionali ed il governo siriano. Insomma il nuovo potere a Damasco si muove sul filo del rasoio. Ha affermato il patriarca ortodosso di Antiochia, Giovanni X, che le zone prese di mira erano quelle degli alawiti e dei cristiani, e qui ne sono stati assassinati molti. Altro fattore che rafforza la certezza che in Siria operano gruppi anarchici è che, secondo fonti locali – ma la questione è nota – tra i combattenti che hanno commesso atrocità contro i civili c’erano anche jihadisti stranieri. In pratica, nonostante l’ostentata sicurezza da parte del capo del governo siriano di avere il controllo del Paese, e nonostante appaia quasi quotidianamente come sottoscrittore di accordi commerciali e di cooperazione in vari scenari dell’area mediorientale, la situazione è una lenta tendenza verso una guerra civile che si sta nutrendo del caos presente nel Paese.
In ultima analisi, non va dimenticato che la caduta di Assad ha mutilato la Mezzaluna sciita guidata dall’Iran, e proprio Teheran alleata del defunto regime, accusata dai media di avere contribuito ai cinque giorni di violenze, ha formalmente negato qualsiasi coinvolgimento. Sia Pechino che Washington, che le Nazioni unite hanno condannato le stragi, ma altresì Gideon Sa’ar, capo della diplomazia israeliana, ha esortato l’Europa a smettere di dare legittimità al potere transitorio siriano notoriamente dal passato terroristico. Intanto l’esercito israeliano come prevenzione aveva già sabotato le risorse belliche presenti in Siria, e le due basi russe nel Paese a Tartus e a Hmeimim sono tuttora operative. È evidente ed era prevedibile che la Siria è lungi dall’essere governata dall’attuale potere, in questo scenario il caos è presente, l’anarchia sembra in crescita, presupposti che se non franati conducono fisiologicamente verso la guerra civile con forti interferenze straniere.
Rimpiangere Bashar al-Assad? Non sarebbe una sorpresa.
di Fabio Marco Fabbri