Putin e Stalin: 85 anni da Katyn e tre da Buča

martedì 11 marzo 2025


Vi è una sconvolgente continuità fra le fosse comuni di Buča, dove sono stati abbandonati i corpi delle vittime ucraine trucidate a centinaia nel marzo del 2022 dopo l’invasione russa del Paese avvenuta un mese prima, e le fosse di Katyn scoperte dalla Wehrmacht nei primi giorni di aprile del 1943 in Polonia. Molti ucraini sono stati giustiziati con un colpo di pistola alla nuca dopo essere stati legati con mani e piedi. Vladimir Putin ha sempre negato la responsabilità di Mosca in quella strage di innocenti al pari di ciò che fece Iosif Stalin con lo sterminio di quasi 20mila polacchi. 85 anni fa, nella foresta a oriente di Smolensk le modalità delle esecuzioni furono le medesime: colpi di pistola alla nuca, mani e piedi legati. Fra aprile e maggio 1940 con meticolosità “scientifica” fu decapitata gran parte della classe dirigente polacca. A essere uccisi furono militari (soprattutto ufficiali) imprenditori, professionisti, sacerdoti e molti funzionari pubblici. Intorno a quella mattanza la propaganda sovietica imbastì una gigantesca operazione di falsificazione allo scopo di attribuire la responsabilità della strage all’esercito tedesco.

E così fu fino all’arrivo alla guida del Pcus di Michail Gorbaciov, il quale nel 1989 ammise pubblicamente la responsabilità dei sovietici, pur dando disposizioni al direttore del Dipartimento generale – come documenta lo storico Viktor Zaslavskij in Pulizia di classe – “di custodire con la massima segretezza le carte relative alle fosse di Katyn”. Nel 1992 fu Boris Eltsin a fare cadere il segreto e a consegnare al presidente polacco Lech Wałęsa la documentazione relativa alla strage con gli ordini impartiti da Lavrentij Berija e Stalin. Eltsin pronunciò le testuali parole: “Perdonateci se potete”. Ci si illuse in quegli anni che altri particolari su quanto accadde nella foresta polacca sarebbero arrivati via via che fossero andate avanti le pratiche di desecretazione. Tutto andò diversamente. Infatti, nel 2004 Vladimir Putin fa chiudere a doppia mandata gli archivi, mentre nel 2020 ha ordinato addirittura la rimozione delle targhe in ricordo dei polacchi uccisi a Katyn negando, contro ogni evidenza storica, la responsabilità di Mosca. Del resto, è quel che il numero uno del Cremlino farà alcuni anni dopo con un altro crimine, il massacro di Buča: non ammetterà in alcun modo la colpevolezza della Russia.

Oggi, grazie a nuove acquisizioni documentarie, sappiamo che il falso storico confezionato sulla strage di Katyn potè contare sull’indifferenza degli anglo-americani in ragione della necessità di non compromettere a conflitto mondiale in corso i rapporti con l’Urss. Winston Churchill liquidò la vicenda definendola “di nessuna importanza politica”. Un atteggiamento ambiguo che si protrasse anche nel Dopoguerra e che permise a Stalin di lanciare una violenta campagna di delegittimazione nei confronti dei membri della Commissione medica internazionale – richiesta nell’aprile 1943 dalla Germania – e costituita da scienziati di grande prestigio. Fra questi vi era anche uno stimato accademico italiano quale Vincenzo Mario Palmieri. Gli scienziati giunsero alla conclusione, dopo un’accurata ispezione medico-legale dei corpi delle vittime, che il massacro di Katyn risaliva al 1940 e, pertanto, non poteva essere in alcun modo attribuito ai nazisti giunti in quei luoghi solo in un periodo successivo. A tre anni dall’invasione dell’Ucraina e dal massacro di Buča vale la pena di ricordare le parole dello storico Arsenij Roginskij (membro di “Memorial”, l’associazione nata per raccogliere materiale sui crimini del regime sovietico e chiusa su ordine di Putin) quando ammonisce che “lo sviluppo democratico della Russia dipende dalla sua capacità di fare i conti con il passato e con le tante atrocità commesse”. Un passato che a Mosca non vuole passare, mentre continuano le pratiche criminali.

P.s.: il professor Vincenzo Palmieri divenne nel Dopoguerra bersaglio di una violenta e volgare aggressione da parte del Partito comunista italiano. Studenti comunisti gli impedivano quotidianamente di fare lezione all’Università di Napoli, mentre un gruppo di docenti ne chiedeva l’allontanamento dall’Ateneo. Fortuna volle che il rettore fosse un autentico democratico come Adolfo Omodeo, che respinse con sdegno e determinazione tali richieste. Il regista di azioni così vergognose fu un dirigente di primo piano del Pci di quegli anni, Mario Alicata.


di Francesco Carella