mercoledì 5 marzo 2025
Donald Trump non si ama, si critica. E si imita. Magari un po’ sotto traccia, con discrezione. A parole, i leader occidentali prendono le distanze dal tycoon e promettono fuoco e fiamme. E intanto prendono appunti, come hanno fatto Parigi, Londra, Bruxelles e Berlino sull’immigrazione. E come sta facendo, dall’altra parte della Manica, Sir Keir Starmer, primo ministro e capo del partito laburista. Laburista, per mancanza di prove, visto la continuità acclarata non solo con le politiche migratorie restrittive avviate dal partito conservatore, ma anche con le politiche di austerità come l’eliminazione del bonus riscaldamento per i pensionati o la riduzione degli aiuti alla cooperazione internazionale. Giorni fa, Starmer ha infatti annunciato il taglio dei finanziamenti per gli aiuti allo sviluppo e alla cooperazione internazionale, che passeranno dall’attuale 0,5 allo 0,3 per cento del Pil nel 2027. Quota che potrebbe, in realtà, ulteriormente scendere allo 0,23 per cento, secondo quanto calcolato dal think tank londinese Centre for Global development, il contributo più basso nella storia del Regno Unito.
Le organizzazioni di settore hanno preso carta e penna, e hanno scritto al primo ministro definendosi “sconvolti” per la decisione del governo, finalizzata a recuperare i soldi risparmiati per investirli in ambito militare. Nella lettera, le Ong accusano Starmer, fa sapere il Guardian, di seguire proprio le orme degli Stati Uniti, accettando “la falsa scelta di tagliare gli aiuti britannici già diminuiti per finanziare la difesa”, e dunque dell’amministrazione Trump, che ha congelato i finanziamenti per Usaid, l’agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, con l’obiettivo di smantellarla. “Vi imploriamo – scrivono le 138 organizzazioni – di annullare questa decisione prima che si verifichino danni significativi sia allo sviluppo del Regno Unito che al lavoro umanitario e alla sua reputazione globale”. La retromarcia, l’ennesima, di Starmer da quando è a Downing Street rispetto alla stessa persona che in campagna elettorale prometteva di rilanciare lo stato sociale, viene visto dagli stessi ambienti laburisti come un tradimento non solo di quanto scritto nel programma elettorale, ma delle stesse battaglie storiche laburiste per sostenere i più poveri del pianeta.
Insomma, siamo alle solite. Si vincono le elezioni mandando a memoria il copione del perfetto leader del partito d’opposizione che sta per diventare maggioranza; e si governa facendo l’esatto contrario, con la scusa di una contingenza più forte del previsto, di una situazione economica ereditata dai precedenti governi, del famigerato “pilota automatico” che impone un percorso già tracciato dall’economia finanziarizzata e altri bla bla convenzionali. La decisione del governo, affermano le Ong, “distruggerà l’eredità del Labour sullo sviluppo internazionale” e “farà a brandelli l’ambizione del governo di essere un partner affidabile sulla scena globale”. Le aree che potrebbero essere interessate dai tagli includono i finanziamenti per i cambiamenti climatici, i programmi di aiuti umanitari, incluso lo Yemen, e i finanziamenti per Gavi, il programma di vaccinazione globale sostenuto da Bill Gates. Secondo gli esperti, i programmi che non verranno rifinanziati interessano Siria, Yemen, Afghanistan, Etiopia e Nigeria. I tagli alla cooperazione internazionale mettono a rischio anche molti posti di lavoro nell’Fcdo (Foreign, Commonwealth and development office), che ha già aperto un programma di licenziamento volontario per ridurre l’organico in mancanza di progetti.
Il problema è che la scelta dei laburisti sta scontentando gli stessi ambienti militari. Pur avendo chiesto al governo di portare le spese militari oltre il 2,5 per cento del Pil, il generale Lord Francis Richard Dannatt, ex capo di stato maggiore parla di “errore strategico”, decisione “miope” e “pericolosamente controproducente”. In un articolo scritto per il Guardian, Dannatt considera il taglio agli aiuti esteri un “fallimento dei nostri valori” che “rischia di renderci più deboli, non più forti”. Se prendiamo sul serio la sicurezza, scrive, “dobbiamo riconoscere che diplomazia, sviluppo e difesa non sono priorità concorrenti, ma complementari. Un programma di aiuti ben finanziato, insieme a maggiori investimenti nella difesa, garantirà che la Gran Bretagna rimanga un leader globale, sia in forza che in autorità morale. Non possiamo permetterci di sbagliare”. Citando il generale Jim Mattis, ex segretario alla difesa degli Stati Uniti (“Se non finanzi completamente il dipartimento di Stato, allora dovrò acquistare più munizioni”), Dannatt sostiene che la stessa logica deve applicarsi alla Gran Bretagna: “Ogni sterlina che oggi tagliamo agli aiuti allo sviluppo – rileva – rischia di costarci molto di più nelle future operazioni militari. L’autocompiacimento uccide, sia in guerra che nella pianificazione strategica”.
di Pierpaolo Arzilla