mercoledì 5 marzo 2025
È giusto farlo? Può funzionare? La risposta è sì.
Il piano del presidente Donald Trump di trasferire i coloni arabi musulmani che attualmente vivono a Gaza ha scatenato forti reazioni da parte di politici, attivisti e media. Le obiezioni possono essere suddivise in morali e pratiche. I “moralisti” sostengono che è “sbagliato” trasferire la popolazione di Gaza, mentre i “pragmatici” ritengono che ciò sia impossibile. Entrambe le obiezioni sono infondate. La popolazione ebraica di Gaza è stata trasferita due volte, la prima dopo l’invasione e la conquista di Gaza da parte dell’Egitto durante la guerra d’Indipendenza del 1948-1949, e la seconda volta dopo il “disimpegno” del 2005, che eliminò con la forza 21 comunità ebraiche ed espulse le famiglie che vi risiedevano. Non solo i politici e i media non si sono opposti allo sgombero forzato delle comunità ebraiche di Gaza, ma tale mossa è stata salutata come un passo verso la pace regionale. Molti, se non la maggior parte, dei “piani di pace” propongono l’ulteriore trasferimento di centinaia di migliaia di ebrei che vivono in Giudea e Samaria per aprire la strada alla creazione di uno Stato “palestinese”. Tali piani, pur opponendosi al trasferimento dei musulmani di Gaza nei Paesi arabi, considerano gli ebrei residenti in “Cisgiordania” coloni e le loro comunità “insediamenti”, proponendo di trasferirli altrove. La risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è stata interpretata da molti politici e media come un obbligo per Israele di ritirarsi dal territorio, comprese alcune zone di Gerusalemme, dove vivono 450mila ebrei. Le stesse persone che insistono sul fatto che è moralmente sbagliato e irrealistico spostare 2 milioni di musulmani da Gaza ritengono moralmente giusto e fattibile reinsediare quasi mezzo milione di ebrei in Israele.
Gli oppositori della proposta di Trump non credono che spostare una popolazione sia intrinsecamente sbagliato, preferirebbero trasferire gli ebrei anziché la popolazione coloniale arabo-musulmana. Non sono contrari allo spostamento della popolazione, ma sostengono il terrorismo. Una volta chiarita la questione morale, che dire di quella pratica? È fattibile? Alcuni sostengono che la popolazione arabo-musulmana della Striscia di Gaza non potrebbe essere spostata senza “combattimenti casa per casa”. Ma la recente esperienza di Israele nella guerra successiva al 7 ottobre 2023 dimostra chiaramente che ciò non è vero. Nonostante le false accuse di genocidio, gli israeliani hanno ridotto al minimo le vittime civili evacuando quanti più “civili” possibile da una parte all’altra di Gaza. Nonostante fosse stato detto loro che era impossibile farlo, gli israeliani hanno evacuato centinaia di migliaia di abitanti di Gaza per lanciare le operazioni militari. All’inizio della guerra, circa un milione di gazawi hanno lasciato il nord per spostarsi nel sud della Striscia e l’Onu avrebbe in seguito affermato che fino a 1,5 milioni di coloni musulmani di Gaza erano stati sfollati. La maggior parte degli abitanti di Gaza ha eseguito gli ordini ed è fuggita dalle zone diventate campi di battaglia. Fuori da Israele gli esempi non mancano. Nel 1970, la cosiddetta guerra del Settembre Nero tra la Giordania e l’Olp causò la morte di circa 4mila terroristi e di almeno 25mila civili, secondo Yasser Arafat, e non meno 20mila “palestinesi” vennero trasferiti nei “campi profughi” in Libano.
Dopo la guerra del Golfo del 1991, il Kuwait punì i “palestinesi” che avevano collaborato con Saddam Hussein in Iraq, espellendone circa 280mila in una purga di massa a cui si unirono in seguito l’Arabia Saudita, il Qatar e altri alleati del Golfo, per un totale stimato dai sostenitori dei “palestinesi” intorno ai 400mila. Il Kuwait bombardò i quartieri “palestinesi” e mandò squadroni della morte a massacrarli. Furono schierati carri armati e truppe, istituiti posti di blocco e la maggior parte dei “palestinesi” fu cacciata dal Kuwait e i loro quartieri vennero distrutti. Zone di Hawalli, dove vivevano i “palestinesi”, furono rase al suolo e trasformate in un parco di divertimenti. Ciò venne fatto con il sostegno dell’amministrazione di George H. W. Bush. “Credo che ci aspettiamo un po’ troppo se chiediamo alla popolazione del Kuwait di vedere di buon occhio coloro che avevano spiato i loro connazionali rimasti lì, che avevano brutalizzato le loro famiglie e cose del genere”, disse Bush ai giornalisti in una conferenza stampa, il 1° luglio 1991. L’Arabia Saudita ha espulso più di 50mila “palestinesi”, il Bahrein, gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar, che nel frattempo è diventato uno Stato sponsor di Hamas, hanno iniziato a licenziare, respingere ed espellere i “palestinesi”.
Niente di tutto questo ha suscitato grandi proteste o commenti. Tutto ciò avvenne con il sostegno dei governi occidentali che, come Bush, paragonarono questi eventi alle reazioni dei francesi contro i collaborazionisti dopo l’occupazione nazista, e la vita presto tornò alla normalità. Il reinsediamento di un gran numero di “palestinesi” si è già verificato in Medio Oriente. Anche se il trasferimento dei gazawi avverrebbe su scala più ampia, non sarebbe molto più esteso di quello avvenuto durante o dopo la guerra del Golfo. Un trasferimento di popolazione del genere è pratico e moralmente difendibile poiché non ci sono altre opzioni. Il problema di fondo del conflitto è che Israele ha reinsediato sul proprio territorio circa 800mila rifugiati ebrei espulsi dal mondo musulmano, mentre i Paesi arabo-musulmani che lo hanno attaccato non hanno fatto lo stesso. Insieme all’Onu, hanno continuato a dargli la falsa identità di “palestinesi” come un esercito di occupazione perpetuo, formando gruppi terroristici per una guerra senza fine con Israele. “Bisogna imparare dalla storia. Non si può continuare a ripetere lo stesso errore”, ha sottolineato Trump.
Per oltre trent’anni è stato fatto ogni sforzo possibile per creare uno Stato “palestinese”. Molteplici proposte di pace, concessioni territoriali, infiniti cicli di negoziati e finanziamenti dei contribuenti (oltre 2 miliardi di dollari versati ai “palestinesi” tramite l’Usaid solo dal 7 ottobre)...niente ha funzionato. Quando Israele si ritirò da Gaza nel 2005, lasciandosi alle spalle serre e progetti per nuove industrie, insieme a ingenti finanziamenti internazionali, Hamas trasformò la Striscia in una zona di guerra. I sostenitori della soluzione a due Stati continuano a ribadire che se Israele offrisse ancora più terra, espellesse e reinsediasse più ebrei, i terroristi musulmani finirebbero per accettare una pace permanente. Ma non è mai stata fornita alcuna prova che ciò avrebbe funzionato. Nessuna delle proposte o concessioni fatte da Israele dalla fine degli anni Ottanta ha portato a un qualsiasi tipo di pace. L’Olpe Hamas hanno costantemente fatto ricorso al terrorismo per fare pressione su Israele al fine di ottenere ulteriori concessioni senza dare nulla in cambio. I loro leader hanno ripetutamente dichiarato che intendono distruggere lo Stato ebraico. Dopo il 7 ottobre, finalmente tutti hanno dato credito alle loro parole.
I diplomatici sostenevano che non ci sarebbe stata pace senza l’espulsione e il reinsediamento degli ebrei dalla Giudea e dalla Samaria. Trump ha ribaltato la situazione affermando che non ci potrà essere pace senza il reinsediamento dei musulmani arabi da Gaza. Quale delle due opzioni è più logica? Continua a infuriare il dibattito sul ruolo degli Stati Uniti a Gaza. Molti americani e israeliani considerano il piano di Trump eccessivo. Preferirebbero che Israele si occupasse della questione da solo, con il sostegno politico degli Stati Uniti. Proprio come Bush senior fornì sostegno politico ai kuwaitiani per espellere la popolazione “palestinese” dal loro Paese. Trump è un visionario e la sua idea ha riformulato l’intera visione del conflitto e, sebbene possa essere solo un’apertura per una posizione negoziale (come la sua idea di annettere il Canada o la Groenlandia), non c’è dubbio che abbia stravolto l’opinione diffusa in Medio Oriente. La sua premessa di base, secondo cui Gaza è un luogo incantevole che continuerà ad essere fonte di conflitto finché sarà popolata da terroristi islamici e dai loro sostenitori, è ben fondata. Le obiezioni morali e pratiche sono infondate. Il reinsediamento è morale e realizzabile. Se i kuwaitiani e i giordani sono riusciti a espellere i “palestinesi” dai loro Paesi per motivi molto meno gravi delle atrocità del 7 ottobre, gli israeliani hanno certamente il diritto di farlo. I politici, i diplomatici e i giornalisti che hanno sostenuto lo sfollamento forzato di quasi mezzo milione di ebrei non hanno alcuna ragione morale per opporsi al reinsediamento dei musulmani di Gaza. E dopo aver provato tutto, compresi decenni di tentativi falliti di fare pace con i terroristi o di coesistere con loro in assenza di pace, è tempo di fare ciò che ha più senso per tutti e che è l’unica soluzione in grado di offrire qualche speranza di portare la pace nella regione.
(*) Tratto da Gatestone Institute
(**) Traduzione a cura di Angelita La Spada
di Daniel Greenfield (*)